20 Aprile 2024
Words

Marco Pannella, il politico di ogni alterità possibile

Pannella se ne è andato. Non è stato mai nominato senatore a vita. Non so se avrebbe accettato la nomina. Ma la politica italiana, che in queste ore lo piange, non ha avuto il coraggio di conferirgli il laticlavio. Non ha avuto i riconoscimenti che meritava, e di questo soffriva. Ha prevalso l’ostilità, o forse il timore, la diffidenza verso chi metteva a repentaglio tutti i conformismi, le certezze acquisite, e sottoponeva alla discussione pubblica lo scomodo, anzi l’impensabile. Di chi non sottostava ai giochi delle alleanze. Aveva il culto della legalità e delle regole. In sessant’anni di attività non è mai stato sfiorato da uno scandalo che non fosse connesso alle sue “battaglie” (il termine che si usa più spesso in queste ore), la questione morale non rientrava nei suoi slogan: l’onestà è stata una delle cifre pratiche, concrete, vissute, della sua persona. Si dovrebbe riflettere su questo. Vi dovrebbero riflettere coloro che pongono ostracismi a chi riceva un avviso di garanzia. Inconcepibile per un garantista come Pannella.

Mi riesce difficile parlarne. Non posso scrivere di lui senza il filtro di una commozione e della gratitudine per il molto che ho appreso nell’ascoltarlo, della stima, talvolta venata da fastidio perché sapeva suscitarne, ma che poi sempre rientrava. L’ho conosciuto solo pochi anni fa, una sera a cena invitato da amici che mi proposero di sedermi accanto a lui. Parlammo per quasi un’ora. Aveva un appetito pantagruelico e mi parlò soprattutto dei tempi del secondo dopoguerra, del “Mondo”, dei suoi rapporti con gli eredi del Partito d’Azione, e con il PCI di Togliatti. Riuscivo a fatica a seguirne alcune allusioni: lui mi guardava come dire “hai capito che intendo?”. Amava enormemente la politica, tutto per lui era politica e emerse anche in quella serata per me indimenticabile. Gli ricordai una frase che amava dire dei radicali “siamo uomini e donne d’altri tempi, tempi futuri”. Ebbi modo anche di intervenire a un’assemblea dei radicali fiorentini a cui era presente, tempo dopo, e criticai le sue posizioni recenti e quelle di una parte del ceto dirigente degli ultimi anni, che a mio parere difettava di capacità comunicativa e aveva commesso sotto la sua direzione una serie di errori. Ebbi l’onore di un suo intervento subito dopo di  me, e mi dette senza tanti fronzoli dell’autoreferenziale e accademico.

Nato nel 1930 da una famiglia abbiente abruzzese, di madre svizzera, conobbe la famiglia di Benedetto Croce e in particolare la figlia Elena. Entrò nell’Unione Goliardica Italiana, facendone un organismo politico, diventando prestissimo uno dei leader della sinistra liberale e fondò con altri nel 1955 il Partito Radicale dei Democratici e Liberali, vicini a Mario Pannunzio. Inviato del ‘Giorno’ a Parigi negli ultimi tempi della guerra d’Algeria, successivamente animò innumerevoli iniziative spesso condotte in solitudine o con  pochi compagni del partito (che voleva così fosse chiamato, come a dire partito vero, partito come dovrebbe essere). Al 1962 risale il suo primo sciopero della fame. Leader referendario, impossibile non ricordare la centralità dell’apporto suo e del suo movimento, con poche forze economiche che contribuivano a costringerli a azioni ritenute teatrali e alle forme della disobbedienza civile per divorzio, aborto, obiezione di coscienza, fame nel mondo, caccia, nucleare, finanziamento pubblico dei partiti, diritti degli omosessuali, responsabilità civile dei magistrati, antiproibizionismo sulle droghe, fino alla procreazione assistita, eutanasia, carceri e di nuovo giustizia in generale e altri temi ancora, come l’informazione, l’europeismo. Successi, insuccessi, capacità di sensibilizzare comunque, e di proporre riforme, sui vuoti della legislazione e sui problemi della società italiana. Negli anni del terrorismo e del conflitto tra fascisti e estremisti di sinistra andò controcorrente, talvolta schierandosi dalla parte dei giovani di destra, senza pregiudizi. Contestatissime furono anche alcune sue scelte di candidare al parlamento personaggi come Toni Negri o Cicciolina. Era quello il partito di fine anni ’70 e anni ’80, dell’ostruzionismo, dei pochi parlamentari capaci di maratone oratorie per bloccare il passaggio di leggi ritenute sbagliate, con presidenti della camera Nilde Iotti e Pietro Ingrao.

La sua visione è sempre stata in grande anticipo sui tempi, ma sarebbe ingeneroso considerarlo un limite.
Alla sua scuola si formarono molti politici poi trasmigrati in altri gruppi o che hanno cessato di farne. Alcuni di essi senza dubbio furono costretti ad andarsene da Pannella, giovani di talento, come Giovanni Negri. Lo stesso è valso più di recente per l’altrettanto talentuoso, ma di discutibile coerenza, eccessiva aggressività e ambizione, Daniele Capezzone. Importanti personalità gli furono vicine a costituire l’ossatura del partito in anni fertili, quando in Italia esisteva una componente dell’elettorato alle politiche e alle europee oltre il 3% stabilmente radicale: Sergio Stanzani, Gianfranco Spadaccia, Adele Faccio, Adelaide Aglietta, Mauro Mellini, Massimo Teodori, Roberto Cicciomessere, sino a Emma Bonino (una lista a suo nome raggiunse l’8.5% alle europee del 1999), altra eccezionale figura da ultimo unita a Pannella dalla comune esperienza della malattia; legatissima a Pannella solo recentemente ha avuto con lui un grave dissidio. Con un Pannella stanco, forse meno lucido, forse infelice per un orizzonte troppo vicino, ma sempre inesausto e certo della necessità di mantenere la leadership del movimento, diviso in una galassia che fa capo da fine anni ’80 al Partito Radicale Transnazionale, una geniale anticipazione che rifletteva una visione delle interazioni sociali ed economiche, esperimento di politica globale prima della globalizzazione. Ma già in anni precedenti i radicali avevano riunito congressi e disseminato idee e militanze al di fuori dell’Italia.

Le sue scelte hanno sempre avuto al centro alcuni valori e metodi: la nonviolenza (non capìta), i digiuni che la esprimevano (non capìti e sbeffeggiati), la libertà dell’individuo, dunque i diritti civili. Provocatorio e anche “cattivo” nel senso politico del termine era dotato di una grande umanità che traspariva a chiunque lo incontrasse. Parlava con tutti, con lo stesso rispetto: dall’avventore del bar, al passante, allo statista illustre, con chiunque con uguale testardaggine e passione cercava di far passare le sue idee.
Ricordava spesso che per i suoi obiettivi si doveva fare un millimetro al giorno. Per raggiungerli se ne infischiava delle alleanze tattiche con segmenti di quella che chiamava “democrazia reale” o “partitocrazia”. Anche in questo sta la sua diversità, inclassificabilità: la sua noncuranza dell’ideologia e disprezzo per le “etnie” politiche (sebbene un po’ etnici e settari, anche nel linguaggio e nell’orgoglio di appartenenza i radicali lo siano: “questo è radicale, questo a metà, questo no…, io sono un radicale storico…”), potendo dunque privilegiare rapporti talora sconcertanti che inevitabilmente gli hanno procurato infiniti strali e ingiurie da sinistra ancora oggi non dimenticati. Del resto, all’interno del PCI era strutturalmente detestato e insultato più di ogni altro politico italiano. Lì c’era la percezione, a mio avviso, che la sua fosse veramente politica di sinistra, certo non avendo di riferimento un modello socialista di società ma un modello liberale.

Un’altra sua grande invenzione è stata Radio Radicale, fondata nel 1976. Da questa radio senza pubblicità, come sino ad oggi, che registrava le dirette dal parlamento a titolo gratuito, sin quando a seguito di un’asta pubblica la radio cominciò a ricevere un finanziamento per queste dirette parlamentari: altra ragione di accusa tralatizia e patentemente pregiudiziale, di prendere soldi dai cittadini. Radio Radicale è tuttora un esempio di giornalismo. Convegni scientifici, dirette da congressi di tutti i partiti, reportages di inviati in zone di guerra, militanti o meno, anche finiti tragicamente (come Antonio Russo, o prima Andrea Tamburi) e ancora le sue divertentissime e a volte tesissime conversazioni domenicali con quell’eccellente e colto giornalista (ancora pubblicista?) che è Massimo Bordin. Bordin cercava di riportare alla comprensibilità degli ascoltatori le digressioni infinite della oratoria pannelliana che per chi sapeva seguirle erano peraltro comprensibili. Una babele di ragionamenti contorti per i più. Più limpida indubbiamente la sua eloquenza dei suoi anni di gioventù e maturità, rileggibile nei discorsi parlamentari. Il suo lessico, personale o mutuato da altri, pieno di inventiva e metafore, di paretimologie, di giochi di parole, capaci di rappresentare ottimamente le sue idee, meriterebbe una ricerca.

Il modello radicale, inventato da Pannella, dovrebbe anch’esso essere studiato. Alle lotte civili del suo partito, venate almeno in Pannella di un anticlericalismo religioso (quello che prendeva di mira l’oro e il potere ecclesiastici per immaginare e plaudere a ogni traccia di un richiamo ad un cristianesimo di impianto evangelico), ha devoluto gran parte del suo non trascurabile patrimonio personale. Fu apprezzato anche da Pasolini, che scrisse dei radicali prima di intervenire a un loro congresso, ciò che gli fu impedito dal suo tragico assassinio: “Siete riusciti a trovare forme alterne e subalterne di cultura dappertutto: al centro della città, e negli angoli più lontani, più morti, più infrequentabili. Non avete avuto alcun rispetto umano, nessuna falsa dignità, e non siete soggiaciuti ad alcun ricatto. Non avete avuto paura né di meretrici né di pubblicani, e neanche – ed è tutto dire – di fascisti”. Fu probabilmente solo un tratto di strada comune, un momento di incontro, ma significativo.

Un erede sembra mancare, un erede non lo ha forse voluto. Se ciò fosse vero, potrebbe rivelarsi uno degli sbagli che ha fatto in questa ultima fase della sua lunga esistenza. C’è da considerare tuttavia, nel valutare questo tipo di faccenda, anche la piena autoconsapevolezza del suo essere irripetibile. E poi con la sua morte ora che se ne parla e se ne continuerà forse a parlare i giovani potranno saperne di più e scegliere se è un esempio che merita di essere considerato. E, più in generale, incidentalmente, se il principio del voto utile sia davvero sano. Perché ogni volta che i radicali sono stati nelle istituzioni le hanno controllate, come watchdogs, e modificate, oltre i limiti delle loro forze.
Pannella è stata una grande figura, lo si sente dire continuamente in queste ore, per passione, visione, irruenza, ambizione di cambiare tutto. Ha dato molto a questo paese, il cambiamento che ha portato all’Italia è indiscutibile. Dobbiamo essergli grati. Lo si sente dire anche da chi farebbe meglio a tacere per decenza o per coerenza. C’è chi invece lo può dire, ed è innanzitutto, a mio avviso, la maggioranza degli italiani. Vedremo se gli storici e gli scienziati della politica riconosceranno nei libri le sue qualità. O se la correttezza politica e accademica, dopo i primi momenti di commemorazione, prevarranno ancora e per sempre.

Ora Marco sta raggiungendo da qualche parte i suoi amici e precedessori, compagni, quelli che menzionava come un mantra nelle sue tracimazioni radiofoniche: Romolo Murri, Gaetano Salvemini, i fratelli Rosselli, Aldo Capitini, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Leonardo Sciascia, Enzo Tortora. E Giorgiana Masi, la giovanissima militante radicale che fu uccisa da una pallottola vacante a Ponte Garibaldi, probabilmente della polizia, durante una manifestazione, il 12 maggio del 1977. La compresenza dei vivi e dei defunti, la formulazione capitiniana che negli ultimi anni ricordava più spesso, forse perché sentiva la fine della sua straordinaria vicenda umana, è nel suo caso e sarà un motivo di conforto, una prospettiva, un dato di fatto.

Giovanni A. Cecconi

Professore di storia romana e di altri insegnamenti di antichistica all'università di Firenze. Da sempre appassionato di cinema, è da molti anni attivo come blogger su alleo.it per recensioni, riflessioni, schede informative, e ricordi di attori e registi. È stato collaboratore di Agenzia Radicale online e di Blog Taormina. Ama il calcio, si occupa di politica e gioca a scacchi, praticati (un tempo lontano) a livello agonistico, col titolo di Maestro FIDE.