19 Aprile 2024
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Nicola Dal Falco, Giona Nella pancia del Pesce Cane, La Vita Felice 2016, pag.64, € 10,00

Nicola Dal Falco è uno scrittore raffinato che sa usare la parola poetica con la dovuta parsimonia e profondità. Carica di simbolismi e rimandi culturali originali, che spaziano dal mito, alle Scritture, alla leggenda. La dichiarazione ricorrente di poetica sottolinea la sua cura del verso, volta alla riduzione, ogni volta ad una nascita nuova che spunta da un vortice umido e magmatico e fascinoso, in cui il poeta dimora sentendo sulla pelle il desiderio e la paura, quasi un fremito di alta sensualità. Prima di dare alla luce l’essenziale e unico. Il resto va lasciato al silenzio.

Il frutto di questa fatica non morirà – questo è il messaggio che si coglie – come non muoiono l’onda a e la duna, e porterà con sé il mistero e l’emozione: “dello spirito divino la poesia/è riduzione/e così di questa/la preghiera”.

Il divino trascorre e si manifesta attraverso gli elementi naturali che popolano i versi, e fa pensare al divino di Luzi, o addirittura a “Pan l’eterno/che sull’erme alture/a quell’ora e ne i pian solingo va”, di derivazione carducciana. Scrive infatti Dal Falco: “Sono gli dei del mezzogiorno che cacciano/ i giovani vagabondi, presi nell’ombra/del bosco, re assonnati sotto il pino”.

Ma la sensazione che resta più forte è una presenza materica, una abbondanza di allodole e gheppi e cornacchie, alberi del bosco, e fichi e rose e peri, orti, poggi assolati, piane, spiagge, monti, mare.

Con le loro voci e i loro odori. Il mare che si spacca sulle rive del Tirreno è una presenza costante, il suo richiamo e il suo ritmo accompagnano il verso: “E non lontano, sulla spiaggia/mormora la sabbia”.

C’è aderenza agli elementi della natura, quasi in una specie di nostalgia per cose-affetti passati, che il verso torna a recuperare. Elementi umanizzati e vicini, come quelle “Nuvole notturne,/traghetti lenti verso il giorno,/” che “volgono la fronte, frastagliate/ e bellissime,/tenui come braccia addormentate,/ versando per il cielo un fiato/leggero”. Elementi su cui si proietta il desiderio di essere accolti, riconosciuti: “oggi è il mare/che guarda me”.

E’ una natura che esplode di rosso, di giallo, di oro, di verde, non esente tuttavia da sofferenza, quella che sta simbolicamente nella “lepre presa per le orecchie/e quei passi, levati a forbiciate, mentre si ferisce/un fico per il becco del tordo”. Quando grandina  scende “ruvida pioggia in capocchie di vetro”. E della metamorfosi di Dafne si coglie “il grido che taglia/il petto della ninfa”.Una natura anche complice nella sua apparente generosità perché il grido di dolore “si stampa già in un bisbigliare/ di foglie”.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.