25 Aprile 2024
Culture Club

Secondo Emanuele Severino

A Paolo Arecchi

Secondo Emanuele Severino (Brescia, 26 febbraio 1929 – Brescia, 17 gennaio 2020) scrivequesto suo Testimoniando il destino(Adelphi, Milano, 2019) l’«innegabile» volontà di «affermare» la verità è «la filosofia». Ma com’è possibile tale «innegabile sapere» nel nostro tempo? Scorrendo attentamente le pagine di questo volume si fa strada, a questo proposito, un’idea: la «conoscenza certa» (il sapere) dovrà «tramontare». Dunque occorre chiedersi: 1) perché avviene tutto ciò? e 2) qual è la caratteristica peculiare del nostro tempo, piuttosto che un altro tempo, che fa sì che proprio in questo tempo il sapere tramonti? La risposta alla prima domanda è che le cose stanno diventando altro da ciò che sono! La filosofia del nostro tempo ha portato al culmine, dunque, tale evidenza. La risposta alla seconda domanda è: perché no?Emanuele Severino, lo si sa, afferma che le cose (gli essenti) vengono fuori dal nulla e vi fanno ritorno… «All’interno di tale fede cresce la storia dell’Occidente». Per cui la storia, la società, la politica, il senso del tempo dell’Occidente giunge a negare ogni «innegabile» e ogni «inemendabile». Ma che caratteristica peculiare ha il nostro tempo? Severino dice che il nostro è quel tempo nel quale «l’essenza autentica del nichilismo ha il proprio culmine». Ma cos’è il nichilismo? E’ necessario che la totalità dell’interpretare rinvii a un interpretato che non sia a sua volta un interpretare. Il nichilismo (del nostro tempo) consiste nella «totalità» degli «interpreti» (e dell’interpretazione) che si rivolge a un «interpretante» equiparato a zero: la «totalità» dei valori si «annulla». Dunque se l’interpretare è la caratteristica dominante del nostro tempo, allora gli «interpreti» e «l’interpretazione» si annullano. Ma quali interpretazioni? Le interpretazioni che non hanno alcun rapporto con la Realtà. La «storia dell’Occidente» è quel «luogo» toponomastico nel quale è stata coltivata la «verità». Ma la dimensione dell’ «innegabile» è rimasta comunque fuori dalla «storia dell’Occidente». Cioè la «storia dell’Occidente» contiene, al suo interno, una «verità» (azzeramento degli «interpreti») che, nello stesso momento, ne è al di fuori. Questo stare al di fuori (al di fuori di cosa?) è quello che Severino chiama il «destino». Ma si tratta del «destino» non dell’Occidente ma della «verità». Severino per chiarire scrive: «La struttura originaria è il luogo la cui negazione è autonegazione». Tale «luogo» è l’apparire dell’esser sé dell’essente, ossia: è l’apparire di tutti gli essenti che appaiono. Se appare un’essente allora questo essente e questo apparire sono l’«innegabile». Ma questo «innegabile» è il senso della «necessità». Il «destino della verità» è il fatto – del tutto impossibile – che un qualsiasi essente non sia. Il panino che ho davanti è pur sempre qualcosa; è impossibile che esso non sia – sia pure minimamente – qualcosa. L’essente in quanto essente è qualcosa e non è qualcos’altro. Perciò si ha che è impossibile che il destino non sia. Severino afferma che l’innegabile non è il fatto che il destino sia eterno; tutt’altro; il fatto innegabile è che l’essente è eterno. «Anche ogni interprete e ogni interpretato sono quindi degli eterni». Il fatto «innegabile» che io – che sto scrivendo – pesi 100 chili e che fumi 60 sigarette al giorno è un «eterno»: cioè niccianamente io peserò 100 chili e fumerò 60 sigarette al giorno per l’eternità. Non può certo essere che io pesi 72 chili e che non fumi e invece vada a donne… E invece sì! Anche questo è un eterno! Gli «eterni» hanno una relazione tra di loro. Questa «relazione» avviene nei «cerchi eterni». In tali «cerchi» è il «destino» a mostrare i suoi tratti! Ovvero all’interno dei «cerchi eterni» il «destino» mostra la sua «struttura originaria»: l’«innegabile». Nella «terra isolata» l’essente appare dal nulla a ritorna nel nulla. In questo libro di fondi, doppi fondi e bi-fondi, Severino dichiara che: «il destino è lo sfondo eterno in cui sopraggiungono gli eterni della terra, e la terra sopraggiunge nel suo essere isolata dal destino». Dunque ci si trova davanti a tre elementi: 1) la terra (che è isolata dal destino); 2) gli eterni che stanno in una relazione all’interno dei «cerchi eterni» e che sopraggiungono sulla terra in uno sfondo e 3) la terra che ha a che fare con essenti che soprag-giungono e spariscono (dal nulla al nulla). Emanuele Severino ha così tracciato il suo cosmo. Io posso dice di Mario: «era destino che morisse»! ma sto affermando questa cosa in termini linguistici! Il destino è testimoniato prima di tutto dal linguaggio. La terra – che è isolata dal destino – è, fra le altre cose, linguaggio. L’interpretazione è una macchina: la macchina severiniana che ha per imput la Realtà e per output l’interpretato: è una molla. Qualcosa che si muove solo dopo che le sia stata data una spinta. «Il fondo ultimo dell’interpretare è il destino». Alla base di ogni «interpretazione» c’è qualcosa che è insieme teoretico e pratico. Il destino attestato e testimoniato dalla verità è lo «sfondo» – che non è uno «sfondo» degli eterni ma è il «fondo» nel quale sono presenti tutte le condizioni di essi. Il destino stabilisce e detta dette condizioni e gli eterni, dal canto loro, sopraggiungono e poi svaniscono sulla terra. Il filosofo di Brescia, a questo punto, fa l’esempio della lampada. Certo, è necessario che la lampada (questa lampada) sia secondo il destino. Ma, del pari, questa lampada non è il destino. Però questa lampada segue il destino. Il destino perciò viene prima. Prima di cosa? Il fondo è fuori della terra. Lo sfondo è sulla terra. E il bi-fondo? Sulla terra (isolata) appaiono i cerchi eterni del destino. Come a Nazca in Perù… Il destino appartiene all’essente. Quindi ogni lampada (questa lampada) è un eterno solo nel momento stesso in cui sussiste. Chiamiamo questo sussistere. Realtà! ma ogni essente è sé stesso e non è altro. Severino va più a fondo. Ma perché ogni essente è sé stesso e non è altro? Jacques Derrida aveva affermato che ogni essente (quando appare, poi sussiste e poi scompare) lascia delle «tracce». Cosa sono queste «tracce»? Derrida, seguendo Platone, parla di una «caverna» all’interno della quale c’è l’«imene». L’imene è la «scrittura». Fra testo e linguaggio – come insegna Maurizio Ferraris – c’è un rapporto come – come ha scritto bene Markus Gabriel – tra mondo e contenitore. Non c’è nulla che esca fuori dal testo. Jὕrgen Habermas confermerebbe questa teoria: non si può uscire dal linguaggio. Come attesta anche il magistero di Felice Cimatti. La terra isolata dal destino non è la Realtà. Infatti in essa insiste e persiste un «doppio fondo»: si tratta della contemporanea (ma non contraddittoria) presenza di due nulla: e questo «doppio fondo» – direbbe Socrate – è linguaggio. Socraticamente il destino è solo «un concetto». Intanto «il linguaggio che testimonia il destino non testimonia la terra isolata»: dunque il destino è grammaticalmente e simbolicamente passibile di una estrinsecazione e di una forma di espressione «linguistica». Ma se si attesta che la terra isolata sia il «doppio fondo» allora ci si trova immediatamente nel «nichilismo». Occorre risalire a Nietzsche. I fatti non ci sono; ci sono solo le interpretazioni. Tutto questo destino del linguaggio è solo un’interpretazione di un essente. Che è «linguaggio». Cioè è un essente che pur sempre è «qualcosa». Cioè la lampada (una volta che esce dal nulla) è un «sistema simbolico» (Jean Baudrillard) che dice e afferma una sola cosa: «lampada». Ora, l’interpretare è l’isolamento della terra. E tale isolamento è la radice di ogni interpretazione. Severino dice: «l’interpretare è un rinvio all’infinito». Umberto Eco scrive: «la semiosi non è illimitata». Il destino (la semiosi) ha un doppio limite: il doppio nulla. I limiti sono, tanto per restare all’ombra di De Sassaure, i limiti del «testo». Il testo, alla Agamben, ha dei bordi e questi bordi posseggono dei contorni. Nei dettagli dei contorni il destino non arriva. Esiste un finale delle «interpretazioni»: l’essente. Le cose appaiono e poi «fanno qualcosa»: il loro aspetto fenomenico manifestaun «originario» aspetto noumenico. La scienza (Severino la chiama la «tecno-scienza») può osservare i fenomeni e salvarli.  Il fenomeno (ciò che appare) non si iscrive nella verità innegabile. La lampada è vero che appare ma può darsi che non vi sia una corrispondenza tra la parola «lampada» e la cosa che ho qui davanti a me e che chiamiamo «lampada». Esiste una «struttura originaria» che, khunianamente, è fratta, frammentata, segmentata in diversi «paradigmi» – fra scienza normale e scienza rivoluzionaria – e questi paradigmi (la verità è un paradigma) sono «modulari». La verità è «un progetto gettato» (Martin Heidegger). «Secondo gran parte della scienza (con la più o meno probabile eccezione della fisica quantistica), la realtà esiste indipendentemente dalla soggettività ricercante e quindi non può essere direttamente colta dall’osservazione». Esiste cioè una «crasi» tra l’osservazione (del fenomeno) e la soggettività (del noumeno): ovvero tra l’apparire e il soggetto che «osserva» l’apparire. Per cui soggetto e oggetto sono «separati» dal principio di indeterminazione di Heisemberg. Ovvero: l’osservatore «osservando» influenza l’esperimento. Ma questo non è né un libro su Kant, né un libro sulla scienza, né un libro sui cambiamenti della storia della scienza: è un libro di ontologia. Sorge una domanda: se gli essenti sono eterni questo vale perché essi pro-vengono dal nulla? Oppure perché ri-tornano nel nulla? Da una parte c’è il nulla, poi un essente (il contrario del nulla) e poi di nuovo il nulla. Siamo alle prese con una contraddizione. Il linguaggio che testimonia il destino smaschera questa contraddizione. La soggettività linguisticamente è destino (transitorio – tra un nulla e l’altro) per cui l’altro essente – cui si rapporta il destino – è un «vocabolo». La contraddizione insista in ogni essente è che esso appare come quell’essente che è ma, nello stesso tempo, anche come «messaggio» del destino. Severino a questo proposito parla di «rinvio». Dal cerchio eterno il destino «rinvia»allo s-fondo(«innegabile») dei due nulla un essente che appare e scompare… Il «destino della verità» è che esiste una struttura originaria che è «incontrovertibile». L’ «innegabile» era il destino – ma esso stava fuori dalla terra isolata. Ma, del pari: l’incontrovertibile e la verità stanno «fra gli essenti». Noam Chomsky ha introdotto lo studio delle grammatiche generative. Il destino, a questo punto, diventa una «grammatica generativa» dell’iperteso. E’ come se il World Wide Web e il brand di Amazon«generassero» uno youtuber che, nello stesso tempo, fosse anche un fricchettone. Si tratta di un insieme modulare e ricorsivo (come la filosofia di Baruch Spinoza) attraverso il quale vengono prodotti performativi. La scienza (o la tecno-scienza) performativamente produce griffe. La griffe del destino… Roberto Cavalli, just! «La matematica, come ogni specializzazione scientifica, implica necessariamente un tratto non matematico». Ogni disciplina scientifica contiene una parte metafisica e una parte matematica. Kurt Gödel aveva affermato, a suo tempo, che l’ontologia si riverbera all’interno del metodo scientifico generando paradigmi modulari di tipo estetico. Severino a questo aggiunge: «nel destino appare che nella terra isolata la scienza è necessariamente filosofia». La filosofia – da cui si era partiti all’inizio- diventa a questo punto, passando per l’estetica dei «Programmi di ricerca scientifici» (Imre Lakatos), diventa una «politica». Infatti le leggi della scienza (o della tecno-scienza) non sono delle verità assolute: sono concetti e il concetto di bellezza non è il bello se non c’è una politica della cultura che ne disciplini ogni aspetto. L’ «Originario» era «che X è non X». Ma, e lo stesso Severino lo dice: «il contenuto della contraddizione normale è un nulla».  La negazione della contraddizione «è la negazione di ciò che essa afferma (ad es. che X è e non è X)». Severino agisce di conseguenza: il finito (quello che viene definito il mondo umano) appare incontrovertibilmente come esso è nella struttura originaria. Esiste un gap tra il finito e l’essente. Questo è ovvio: da una parte ciò che appare e scompare e dall’altra l’eterno. Ma la struttura originaria della verità ha un’altra caratteristica: è impossibile che essa sia nulla. Per cui la verità del finito sfugge alla contraddizione. Il finito è. Ma se c’è la verità non ci sono i due nulla. Ecco che la terra isolata diventa «l’essenza linguistica dell’Originario». L’Originario è il destino in quanto indicato dal linguaggio. L’essente (eterno) si rappresenta un certo destino ma non il destino. Il finito scarta di lato(Francesco De Gregori) rispetto al destino: nel finito che accade? Accade che il destino(sia esso individuale o collettivo) viene a trovarsi inserito nel divenire. Per cui, esso stesso, è transunte. Ora, le cose che non appaiono, non per questo non ci sono. Per esempio: la luce della lampada adesso non c’è (la lampada è spenta) ma non per questo la lampada non fa luce… Esiste però nella terra isolata una «fede». Si crede che gli essenti – attraverso la verità – appaiono e scompaiono! E’ la verità! Severino afferma che: «l’originariamente innegabile non può esser l’esser sé in quanto unito a una qualche determinazione persintattica, quale l’eternità dell’essente, appunto perché, come sopra si è richiamato, l’autonegazione della negazione dell’esser sé si costituisce coinvolgendo non altro che l’esser sé dell’essente in quanto essente». Dunque l’«Originario» è «l’esser sé dell’essente in quanto essente». L’ «Originario» «non può essere contraddizione», dunque è «identità» (A=A). L’ «Originario» è un principio non innegabile ma incontrovertibile. Ma ciò che non si può opinare è il destino della verità. L’«Originario» è «eresia»: una fede non creduta, per quanto fede essa sia, è pur sempre eretica. Il destino della verità – come sa bene Cassandra – è quello «di non essere creduta» … Dice a questo punto Severino: quando un essente incomincia ad apparire nel cerchio del destino è necessario che appaiano due cose: 1) l’essente e 2) l’apparire. Ma questo apparire è «un cominciare ad essere e un cessare di essere». Severino scrive: «che questa lampada sia accesa è incontrovertibile solo se, da un lato, il suo esser accesa appare, sì che l’apparire di questo essere accesa appare cooriginariamente a questo esser accesa, e dall’altro lato solo se appare che la negazione di tale essere accesa ( e del suo apparire) è autonegazione». Severino ne conclude: «quest’apparire dell’autonegazione di tale negazione si distingue ma è necessariamente unito all’apparire dell’apparire di quell’essere accesa». Dunque esiste un’unione fra due apparire: 1) l’apparire del nulla e 2) l’apparire dell’apparire. Questa tesi è «innegabile»! Infine c’è un ultimo passaggio da fare: nel destino non appare mai la totalità degli essenti: questo fatto è «assurdo»! Per esempio un essere umano (attraverso i due occhi) può vedere da casa sua fino a un certo punto (ad un certo palazzo) ma non è che la città finisce dopo quel palazzo. Ma sorge, lo stesso, «un dubbio». La verità è incontrovertibile ma «esce dal nulla» … Dunque: X appare e il suo apparire è la verità, certo X esce dal nulla ma -alt! – anche questo nulla è verità… Dunque è «incontrovertibile» che Aseguaa X. Per cui X è la causa di A. Ma anche il cessare di essere da parte di X è il cessare di essere della causa di A e quindi di A. «Lo scomparire di un essente è cioè l’incominciare ad apparire i un altro essente».  Il mondo (il cosmo severiniano) è «finito» per cui, in esso, il destino non può apparire. Per cui il destino è un «eterno» che appare nella verità e nella «Gloria». Ovvero nel «luogo simbolico» nel quale si raccolgono tutti gli eterni «in cerchio». Nel mezzo – tra un nulla e l’altro – c’è l’apparizione. Qualcosa appare e scompare. Che cos’è questo qualcosa? L’apparizione è la testimonianza del destino. Quel qualcosa che appare è la verità, una forma della verità… L’incontrovertibile originario mostra incontrovertibilmente la propria astrattezza… Severino sta, in tutto il libro, affermando una cosa che vale per il complesso della sua carriera accademica: gli esseri umani sono testimoni e condannati della terra isolata; e gli esseri umani sono anche condannati dalla terra isolata! Gli essenti, per finire, posseggono una caratteristica importante: essi sono in divenire. E’ eterno l’apparire di un gatto ed è necessario che esso appaia anche quando necessariamente non appare. Ma il divenire è una grandissima «contraddizione»; infatti in esso appare A ma appare anche non A… Il volume in questione è un ottimo testo di divulgazione della filosofia severiniana ma difetta di una certa apertura rispetto alle pretese del lettore. Sembra quasi che Severino, spinto da forze occulte, stesse cercando di sbrigarsi di consegnarlo all’editore… Una lampada può essere accesa o spenta. Una lampada può essere accesa o può essere spenta. Questo «potere» della lampada (e più in generale il «potere», anche quello politico) è pura «possibilità». Esempio: una nuvola sarebbe potuta non apparire eppure è apparsa. Oppure una nuvola sarebbe potuta apparire e non è apparsa… In sostanza: Severino sembra dirci è possibile che appaia oggi ma, nello stesso tempo, è, del resto, possibile che non sia apparsa ieri… Il divenire è potere! Potere di apparire. Gli eventi (ciò che, essendo un fatto, si sviluppa nel tempo: un evento è un fatto nello spaziotempo) possono apparire: questa è la loro verità. Allora si ha che il nichilismo si configura come qualcosa che dice: gli eventi che non appaiono sarebbero potuti apparire. Quando cadde il Muro di Berlino il comunismo non era affatto finito. Qualcosa che non era apparso (la fine del comunismo) stava dietro all’evento. A questo punto Severino introduce il concetto di «contingenza». Essa è una particolare forma di divenire che afferma: gli eventi «pur essendo potuti rimanere nel non essere» permangono nell’essere. La «contingenza» non è qualcosa che «non appare» e «non può apparire» ma fino a un certo punto. Infatti essa non è «autocontraddittoria». Dunque la  «contingenza» è qualcosa che appare ma non doveva apparire. Qui entra in scena il concetto di «libertà». La libertà è un «inoltrepassabile» L’ «inoltrepassabile» eterno fa sì che fa si che la terra isolata sia destinata alla «Gloria». Ma c’è un errore. Il destino della verità nega l’errare e l’errore (che è la contraddizione) per cui nella terra isolata giaceva l’errore e questo errore annuncia: le cose (tutte le cose) divengono e non sono mai le stesse. L’errore stava nell’aver pensato che nel divenire qualcosa sussistesse… In fondo questo è l’errore di Parmenide. Il filosofo torinese ex-postmodernista Gianni Vattimo nel suo volume Della realtà. Fini della filosofia (Garzanti, Milano, 2012) introduce un «problema». La considerazione effettualmente linguistica (cui Vattimo giunge dopo una lunga frequentazione con i testi di Nietzsche, Heidegger e Rorty) non esaurisce lo spettro semantico della contraddizione. In soldoni questo vuol dire: esiste un problema interno alla simultanea presenza di A e non A. E questo problema è dato, non dalla contraddizione, ma dall’ «apparire». L’«apparire» non è autocontraddittorio infatti; è l’inconscio dell’uomo. Insomma, è chiaro: qualcosa che non appare, appare lo stesso. Certo: il linguaggio risolve i problemi ma se esiste un compito (qualcosa da fare) allora il linguaggio deve ritrovare ciò che è in grado di risolvere o di svolgere quel compito. L’intelligenza, a questo punto, è la capacità di risolvere problemi complessi. Il compito è svolto intelligentemente quando la contraddizione è messa da parte e si passa direttamente all’ «apparire». Altrettanto intelligentemente, per Severino, a questo punto, A e non A non sono più un problema. Nell’inconscio (che per Jacques Lacan, quasi per paradosso, «lavora come un linguaggio») si riconosce il sentiero che la terra isolata è destinata a percorrere. Ma questo sentiero è un sentiero non di apparizioni e sparizioni (ad esempio per l’essere umano: nascita e morte): esso è invece un sentiero di non-contraddizione. Cioè, un attimo: dal momento che le cose escono dal nulla, ebbene da quel preciso momento tutto è stabilito. Si tratta della verità del destino non del destino della verità; infatti il destino della verità è terrenomentre la verità del destino è la «Gloria». Ogni lampada, a questo punto, è ogni lampada, ogni sedia è ogni sedia, ogni tavolo è ogni tavolo… le cose si compongono e si dispongono… Ci si può orientare… Tenendo sempre fermo il principio che il Terzo è sempre escluso… E’ il divenire eracliteo… E’ il principio di identità (A=A)… Ma la «Gloria» non è affatto il destino; anzi, tutt’altro: la gloria è la «necessità». E’ necessario che A divenga non A… Qui siamo dalle parti di Carl Schmitt: è infatti «necessario» che la «lotta» (fra Amico e Nemico) conduca alla politica. E’ altrettanto «necessario» che la legna divenga cenere… E’ «necessario» che l’amore divenga noia… E’ necessario che, a un certo punto della vita, i neri capelli di Marco divengano bianchi… Ma l’apparire della contraddizione è la «Gioia». La storia è il semplice fatto (non è un evento, infatti) che A divenga non A. A questo punto la «Gioia» è storia della salvezza (o, come dice Severino, dell’«oltrepassamento») della «contraddizione». La storia ha questa caratteristica: essa emette un giudizio e inoltre questo giudizio non può essere «negato».  Ma è altrettanto «necessario» che la terra isolata entri nella costellazione dei cerchi del destino. Ogni «cerchio» è il «superamento» non dell’«apparire» (che, in quanto tale, rimane un fenomeno, ciò che appare…) ma della contraddizione nel senso che il principio di identità salva i fenomeni ma condanna i noumeni. Insomma: l’«oltrepassamento» avviene non al livello dell’apparire della contraddizione ma al livello della «contraddizione stessa». La «contraddizione» avviene tra il nulla e il destino. Ora, e siamo all’epilogo del libro di Severino: nel momento stesso in cui l’essente «sporge» dal nulla: questo è nichilismo. Nichilismo, come afferma Massimo Cacciari, è il principio ma, come affermerebbe Karl Marx, è anche la fine. Nella dottrina classica marxista lo Stato dopo la conquista del potere e il comunismo è destinato a «estinguersi». Ma a questo punto giova chiedersi: se al principio c’è il nichilismo e se alla fine c’è il nichilismo, durante la «fase» dell’essente tra i due nulla cosa c’è? Ma questo lo si è visto: durante il divenire le cose rimangono uguali a sé stesse (A=A): realismo. Per cui, essendo stato scritto questo libro nel 2019: Nuovo realismo. Per dirla in termini spiccioli: il nulla (i due nulla, il passato e il futuro) sono nichilismo, il presente è Nuovo realista! Ma il nichilismo «entifica» il nulla: lo fa diventare «un ente»: ma in questo caso siamo nel «principio di non contraddizione». Ma la faccenda si complica: il nulla e il non nulla sono «eterni» e però il divenire ha relazione e «commercio» solo col nulla… Dunque la necessità (essa stessa un eterno) fa sì che l’ente e il nulla siano due «oggetti» del «divenire»… Dunque l’eterno è necessario.

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.