20 Aprile 2024
Sun

Pierantonio Pardi, Il baffo e la bestia, Edizioni ETS 2021, pp. 168

Siccome le vicende esistenziali (pene e gioie amorose, indicate aggettivando i nomi e, a volte, i cognomi delle diverse ancelle per indicare le “fasi”, la passione politica, il gusto delle frequentazioni periferiche, delle escursioni verso gli amati paesi dei Dintorni di Pisa, l’amore per i circoli popolari e per le bettole, le gargotte più o meno raccomandabili, per le letture e per lo studio) sono tantissime nella vita comune, in mezzo secolo di amicizia fraterna, mia e di Pierantonio, cercherò, per evitare acrobazie contenutistiche, passi avanti e indietro nel cortile della nostra microstoria e nel bosco dei ricordi, di parlare di questo suo ultimo libro per situazioni, per graduali avvicinamenti, per alfabeto di contenuti, tenendo di conto del fatto che la letteratura è suono e che le lettere, come diceva Novalis, sono acustiche e, forse, lettere a priori.

I come IRONIA
Uno dei caratteri, anzi il marchio DOC di Pierantonio è proprio questo. Lui, in tutti i suoi “viaggi” letterari, da Testimone il vino, scritto a sedici anni, a Grande Prof, ama molto giocare di fioretto con gli avversari, gli antipatici, i rompimenti di coglioni, i luoghi comuni e le psicosi del nostro piccolo mondo moderno, diventando appena appena più sconfinante nel sarcastico con uomini, con soggetti che potrebbero essere inquadrati nelle categorie stabilite dal professor Francesco Orlando del “monitorio – solenne” e del “frusto – grottesco”.
È una scelta liberatoria, le sua, in parte dovuta alle letture e all’amore per un genere privilegiato da alcuni autori a lui, a Pierantonio, molto cari: Stefano Benni, Achille Campanile, Gino Patroni, tanto per fare qualche nome. Fra questi, uno oggi meno noto ma che è stato l’inventore della suspense del riso, tal Manzoni Carletto, il meno famoso della triade di grandi umoristi con lo stesso cognome, don Lisander e Piero, l’artista irriverente, conosciuto a livello di massa per certa copro scultura. In parte, vista, sempre l’ironia, come un’arma per valorizzare l’intelligenza, per recuperare la creatività e la effervescenza rese morenti da una fase storica che vede vincente quella ottusità opaca che individua nel riso una manifestazione incomprensibile e sospetta quando non pericolosa e sovversiva. I trucchi retorici che Pierantonio usa per rendere spettacolari e acrobatiche le sue stoccate e i suoi affondi di fioretto sono il paradosso, l’iperbole, lo scarto, improvviso e imprevedibile, del ritmo e i passaggi di altezza per confondere, appunto, il cretino triste.

L come LESSICO
Pierantonio è un affabulatore torrentizio, sia quando parla sia quando scrive. Le parole si muovono velocissime, si attraggono, si respingono, si dispongono, si modellano essendo spesso l’una la causa dell’altra, la prima la motivazione della seconda. In quello che io chiamerei l’italiano estroso e accogliente del nostro scrittore, convivono, si fanno compagnia  termini dello slang, della patina toscana, e il linguaggio alto, sofisticato, fatto di improvvisi “ricordi letterari”, tra la citazione cosciente e il riflesso fonico. Lemmi che schioccano, martellano in uno spazio che ricorda, per velocità e per imprevedibilità del percorso, il flipper senza però il rischio del tilt.

T come TEMA
Beh, in questi tempi segnati dal Covid e dalla retorica ospedaliera (l’Italia è un paese che, forse per riscattarsi da una iracondia che nasce da una antichissima vocazione per le guerre fratricide, per emendarsi da una mancanza di coraggio civile spesso sostituito dalla violenza disperata e cieca specializzata nel colpire alle spalle, ha sempre bisogno di eroi di carta), dall’isolamento e dall’autoreclusione, Pierantonio ci parla di malattia, ma non di quella che si identifica nel bombardamento epidemico, ci parla del cancro, il sicario, il killer, il cecchino che colpisce in modo preciso, netto,  per conto di una mandante misteriosa e terribile, la signora in nero.  Lo fa, Piero dico, non per esorcizzare la sua paura o per raccontare il suo coraggio nell’affrontare la sfida o per spiegare a se stesso e a noi i trucchi per distrarre la signora e il suo cecchino, ma per sublimare, attraverso la letteratura, mediante la poesia, un aspetto fondamentale della condizione umana, il rapporto con la morte.
Nel libro del mio amico Pardi, ci sono tutte le cose che ho detto fino ad adesso, statene sicuri, ma anche qualcosa di più, che è impalpabile, leggero, un quid che io chiamo genialità, creatività pura, un lungo coltivato amore per la letteratura, che non si inquadra e non si riconosce nelle categorie dell’impegno o del disimpegno, perché vive dentro la parola, la misura, il buon gusto, l’armonia, la convivenza tra contenuto e forma, tra fuoco di passione e algida bellezza.