Italietta Spalletti
L’Italietta di Luciano Spalletti è uscita agli ottavi contro una Svizzera che ha fatto la partita e dominato su tutto il campo. Gli azzurri, o una loro brutta copia sbiadita (come le giacche-vestaglia dei tecnici in panchina), hanno dimostrato quanto il calcio possa essere uno sport noioso, lento, incomprensibile.
Gli appunti che vengono fatti oggi sono molti. Qualcuno critica il fatto che il commissario tecnico abbia messo titolare Fagioli, ripartito a giocare dopo uno stop lungo di circa otto mesi. Eppure gli unici due guizzi in verticale della squadra, verso la porta degli svizzeri sono stati proprio di Fagioli. Qualcuno fa notare che non puoi far giocare Di Lorenzo, dopo che aveva fatto una stagione disastrosa e delle prime prove insufficienti anche a questo europeo. Altri spiegano che Verratti, Insigne e Immobile saranno anche “anziani”, ma che in confronto ai titolari Distante, Retegui e Scamacca, sarebbero stati dei “campioni” da sfruttare. Altri ancora commentano che non puoi fissarti di giocare a tre per tenere il modulo Inter comunque, quando ti rendi conto dalla prima partita che il cosiddetto “blocco Inter” fa acqua da tutte le parti. E allora c’è chi ancora critica il fatto che un allenatore serio non avrebbe lasciato a casa Bonaventura, Colpani e Politano. E di nuovo c’è chi sostiene che Mancini, aveva almeno provato a far crescere in nazionale alcuni giovani di buone promesse, come Camarda, Cambiaghi, Casadei, Pafundi, che al contrario Spalletti non ha manco preso in considerazione.
In tutto questo alcuni commentatori si sono concentrati sul fatto che, intorno a questa nazionale modesta e insignificante, la federazione e il commissario tecnico stesso abbiano voluto costruire una narrazione eroica e mai come in questo caso lontanissima dalla realtà. Questo discorso si è raggrumato intorno al commento che Di Biagio ha fatto su Barella, paragonandolo a De Bruyne e Kroos – una similitudine fuori da ogni comprensibile ragione. E allora si è cominciato a proporre paragoni impossibili, tipo che Calafiori non è Bonucci, che Di Marco non è Maldini, e che Fagioli e Jorginho insieme non fanno una scarpetta da gioco di Pirlo. E tutto questo è più che evidente agli occhi anche dei meno esperti.
Diciamo anche che questa nazionale sarebbe potuta uscire subito, vista la partita orribile con la Croazia, salvata dal pareggio oltre il 90esimo di Zaccagni. Ma anche vista la prima partita vinta contro l’Albania. Per non parlare della prova insufficiente con la Spagna.
Se imponi un blocco-squadra di debosciati, fai girare il pallone in orizzontale e indietro anche quando perdi di due gol, non hai giocatori che riescono a stoppare bene il pallone, non saltano mai l’avversario, sono lenti e non verticalizzano, che cosa si pretende?
Possiamo dire che quella di Spalletti, finora, è stata la peggiore nazionale italiana di sempre. Ma se questo è vero, non può essere soltanto colpa dei giocatori o di un commissario tecnico, senz’altro presuntuoso, ma arrivato da meno di un anno. Le colpe sono altrove. Si dice: il pesce puzza dalla testa…
La Serie A è un torneo che sta perdendo appeal internazionale, e non esprime certo le migliori squadre europee, né il miglior gioco. Allenatori e squadre sono tutti ancora invischiati tra il difensivismo alla Nereo Rocco e la bruttissima copia del “calcio totale” di decenni fa. Nessuna squadra (a parte forse l’Atalanta di Gasperini) ha energia nelle gambe per durare 90 minuti.
Il VAR ha distrutto le azioni veloci che portano a gol con gli attaccanti in fuori gioco per 1 centimetro. Il VAR ha dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, la propria insindacabile partigianeria, cioè l’impossibilità di uno sguardo oggettivo sul fallo in area di rigore.
All’orizzonte non c’è nessuna proposta di riforma di un sistema calcio impallato da se stesso, non si vede all’orizzonte nessun investimento sui vivai, non c’è nessuna proposta di mettere un tetto alla presenza di giocatori stranieri tra i professionisti.
Si diceva: il pesce puzza dalla testa…
Dunque le responsabilità di Federazione e Lega sono enormi. Ed è evidente l’incapacità a dirigere un mondo complicato come quello del primo sport nazionale. A questo punto servirebbe, vista la disfatta dell’Italietta a questi europei, un ricambio generale e potente, a partire dalle dimissioni o dalla destituzione del presidente della Federazione, Gabriele Gravina.
Il ministro dello sport Abodi, nei prossimi mesi, ha la possibilità di decretare una svolta che preveda un futuro di ricostruzione del sistema calcio. Al contrario può far finta di nulla, ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti. E più insisti nel mantenere un asfittico statu quo, più i problemi si ingigantiscono.