9 Dicembre 2024
Movie

“Il tempo che ci vuole” ( F. Comencini, ITA 2024)

Il romano, di famiglia abbiente, Luigi Comencini (1916-2007) è stato un’importante figura del cinema italiano, cinefilo, critico cinematografico e regista. In quest’ultimo ruolo, ha diretto molti attori fra i più celebri (da Totò, a De Sica, alla Lollobrigida, ad Alberto Sordi) ma non ha mai realizzato sul grande schermo un film davvero importante, con le uniche eccezioni (volendo essere generosi) di Tutti a casa (1960) e La donna della domenica (1975).  Ce ne restituisce un ritratto interessante la figlia Francesca, cineasta di approccio documentarista e politico, e autrice con altri della serie Gomorra (2014-2019). Luigi Comencini (interpretato nella fiction da un Fabrizio Gifuni un po’ fisso e non particolarmente in vena) sarebbe stato, e evidentemente fu, un padre attento, affettuoso, sensibile. Che sua figlia nel crescere peró vede anche come un ingombro, un elemento di confronto, una personalità soverchiante per quanto amata e rispettata. Francesca (nel film Romana Maggiora Vergano, classe 1997, presente in C’è ancora domani di P. Cortellesi), nata nel 1961, soffrí personalmente il suo essere parte della generazione in assoluto più esposta alle dinamiche e alle tentazioni della lotta politica estremista, della tossicodipendenza e del fricchettonaggio e fece studi irregolari. Tuttavia, la condivisione della passione per il cinema, il coinvolgimento da parte di Luigi della ragazza nel proprio lavoro, finirono con l’incoraggiarla a cercare una strada nello stesso mondo. È sempre difficile raccontarsi senza scadere nella retorica o nell’autocompiacimento. Ebbene, in questo caso la rappresentazione di questo legame tra padre e figlia è stata espressa ne Il tempo che ci vuole, a mio avviso con una intuizione intelligente, come se nella famiglia Comencini non esistessero altri componenti, né una madre o una compagna, né le tre sorelle, tra le quali la più nota Cristina, a sua volta regista (e, per i curiosi, madre di Carlo Calenda). L’intero film mette in scena solo Luigi e Francesca in un sodalizio apparentemente esclusivo, non esitando a rappresentare (con sequenze di maggiore qualità e capacità di trasmettere empatia e altre più banalizzanti come quando il padre commosso vede in tv la figlia premiata a Venezia per il suo primo successo in esordio [Pianoforte, 1984]) le fasi più aspre della vita di Francesca, quella dei “passaggi” di cui sopra e anche della sua fuoriuscita da quei passaggi. Molto bello l’immaginifico sorprendente finale, con il volo nell’Ouranós di padre e figlia al momento della separazione da questa terra, mano nella mano, sino al distacco, con lui che vola su e lei che torna giù. Ha dichiarato con sincerità l’autrice: Dopo tanti anni passati a fare il suo stesso lavoro cercando di essere diversa da lui, ho voluto raccontare quanto ogni cosa che sono la devo a lui: ho voluto rendere omaggio a mio padre, al suo modo di fare cinema, al suo modo di essere, all’importanza che la sua opera e il suo impegno hanno avuto per il nostro cinema, all’importanza che la sua persona ha avuto per me.

Diremmo che Il tempo che ci vuole vale una serata in sala, e puô far riflettere e discutere. Un film autobiografico, sul rapporto tra un padre e una figlia e sul cinema (e sul cinema come strumento di dialogo con la gente più semplice), ma anche sulle traversie della vita, sul ruolo del lavoro, sulla capacità di cadere e rialzarsi.

Voto: 7.

Giovanni A. Cecconi

Professore di storia romana e di altri insegnamenti di antichistica all'università di Firenze. Da sempre appassionato di cinema, è da molti anni attivo come blogger su alleo.it per recensioni, riflessioni, schede informative, e ricordi di attori e registi. È stato collaboratore di Agenzia Radicale online e di Blog Taormina. Ama il calcio, si occupa di politica e gioca a scacchi, praticati (un tempo lontano) a livello agonistico, col titolo di Maestro FIDE.