23 Gennaio 2025
Movie

Accordi e (soprattutto) disaccordi sulla rappresentazione di un politico che ha fatto la storia d’Italia: “Berlinguer. La grande ambizione” di A. Segre (ITA 2024)

Autore di Io sono Li, uno dei film piú sensibili e emotivamente coinvolgenti del secondo decennio di questo secolo (2011) nonché di altri lavori di qualità anche se poco noti come La prima neve (2013), o L’ordine delle cose (2017), sociologo e documentarista attentissimo alla tematica dei migranti, Segre ha scelto di avere successo. E lo ottiene con questo Berlinguer. La grande ambizione: critiche ottime, successi nelle sale, e ovazioni al festival del cinema di Roma. Un film politico e che si è basato, come da didascalia iniziale, su ricerche e documenti. Un film che non può non essere sottoposto anche ad una analisi storica e politica. La sceneggiatura è del regista e di Marco Pettenello.

In diversi, mi avevano descritto il film di Segre come “non celebrativo”. Critici numerosi lo hanno ritenuto a loro volta privo di retorica. Devono aver visto un altro film, anche se non saprei dire quale. Perché è innegabilmente, vuole essere, un ritratto senza ombre, di un pur grande personaggio della politica italiana, sul cui valore e onestà nessuno può avere da ridire. Ma ciò non toglie che la pellicola di Segre non faccia altro, sistematicamente, dalla prima scena, che dipingere un Berlinguer (interpretato con intensa convinta immedesimazione da Elio Germano) come uomo esemplare nel privato e nel pubblico. Sul privato dirò subito: un ruolo centrale nella costruzione del ritratto di Berlinguer lo ha la rigorosa pacatezza, l’intelligenza, la tenerezza dell’uomo, che seppur spesso assente da casa per i suoi impegni è accompagnato da una famiglia splendida, da una moglie ironica e acuta e innamorata, senza un dissidio, con una partecipazione piena dei figli alle vicende del partito (di solito i figli adolescenti entrano in contrapposizione con i genitori, ma qui non se ne vede l’ombra). Non possiamo dubitare che fosse cosí, come di norma per quegli anni in famiglie di formazione non liberale.
C’è poi qualche informazione storica che non ci permettiamo di definire forzata o faziosa, ma fatta quanto a modalità espressive e tecnica filmica di enfasi significative, e con qualche silenzio di troppo. Modalità che non aiutano lo spettatore ad avere una idea di quella lontana e drammatica stagione (gli anni 1973-1978) e della sua complessità, sia dentro che fuori il Partito Comunista Italiano.
All’inizio del film – in gran parte montato con un alternarsi di immagini di repertorio e ricostruzioni in fiction – con largo spazio lasciato come detto ai momenti della vita privata, come agli interventi nelle direzioni di partito, nelle sezioni e nelle strade, il Berlinguer neosegretario del PCI (lo divenne nel 1972) è presentato come avversario temutissimo dalla gerontocrazia del PCUS e degli stati satellite dell’est. Nei mesi del Cile di Allende e del colpo di stato di Pinochet, Berlinguer si trova in Bulgaria, dove è dapprima contrapposto in una discussione a un vecchio burocrate, quindi è fatto oggetto di un attentato, o comunque incorre in un grave incidente d’auto. Lo avrebbero voluto uccidere, questa l’impressione che si ricava dalla scena (la sequenza sembra tratta da Duel di Spielberg): una camionetta o un pulman verdastro, color verde militare, deliberatamente e con violenza tampona di lato l’auto su cui viaggia il segretario. Muore un interprete, che aveva appena manifestato la sua passione per Fellini, e col quale il segretario aveva stabilito una immediata relazione di simpatia, cosí come in Italia avrebbe voluto venire a vivere un altro dirigente bulgaro (pure in quell’auto) che nella stessa sequenza guarda con dolcezza e ammirazione Berlinguer, rappresentante a quanto sembra già affermato del comunismo dal volto umano (comunque siamo diciassette anni dopo Budapest e Imre Nagy, non dimentichiamolo). Un po’ malconcio, a seguito dell’accaduto, Berlinguer racconta ai suoi familiari di essere convinto che lo si volesse eliminare. La notizia venne fuori molti anni dopo per iniziativa di Emanuele Macaluso, e ciò non smentisce la volontà di Berlinguer, che per senso di responsabilità non voleva che questa cosa si sapesse, come dice ai suoi.
Il primo tema messo in scena da Segre riguarda dunque il preciso intento di Berlinguer, fin da poco dopo la sua entrata in carica, di staccarsi dal controllo asfissiante di Mosca, dunque senza dubbio presente fino agli Settanta, cioè dopo Budapest 1956 e Praga 1968. Che ciò col tempo sia avvenuto e che il PCI abbia avuto una sua netta diversità anche dagli altri partiti comunisti occidentali nei confronti di Mosca è storia (basti pensare a un confronto con Marchais e il PCF). Che sin dal 1973 fosse Berlinguer considerato a tal punto eversivo che sicari dell’est europeo volessero ucciderlo appare invece assai incerto, ed è discusso da storici e giornalisti. È probabile che si fosse trattato di un incidente stradale e non di un complotto antiberlingueriano ordito dai paesi del blocco orientale (cf. Vladimiro Satta, Berlinguer in Bulgaria 3 ottobre 1973: incidente o attentato? in “Ventunesimo Secolo” 2020, pp. 158-188). Il motivo del distanziamento dall’est è offerto allo spettatore come un dato di fatto evidente e condiviso da larga parte dei comunisti italiani del tempo. Rimaneva in quel partito però, e nella sua base, una connaturata simpatia e poi connessioni molto forti con il socialismo reale, e non importa esemplificare. Gli ideali dell’eurocomunismo, del “comunismo nella libertà”, della scelta di permanere “sotto l’ombrello della Nato”, sono stati certamente espressi, non erano solo slogan, ma non si sono mai neppure affermati con chiarezza, e in particolare per l’ultimo di questi riferimenti, quello relativo alla permanenza nel patto atlantico, la NATO e le relazioni con gli USA, esso non è mai stato digerito né dai vertici né dalla base, come è facile riscontrare a ritroso ancora oggi. E neppure si vede come si sarebbe potuto realizzare da parte di un partito anticapitalista (compaiono a un certo punto ritratti i grandi nemici del tempo: Thatcher e Reagan) naturalmente teso a privilegiare i rapporti con la classe operaia, e come tale tratteggiato a più riprese anche nel film. Per quello che riguarda i finanziamenti da Mosca, e il ruolo di Giovanni Cervetti, che Berlinguer sostituì nella funzione di coordinatore dei rapporti con Mosca ad Armando Cossutta, oppositore dell’ipotesi eurocomunista, non ci pronunciamo, non conosciamo i risultati da questo punto di vista dell’apertura degli archivi russi dopo la glasnost, ma si può dire, crediamo, che non è mai stato chiaro se il flusso di finanziamenti sia finito con questo avvicendamento Cossutta-Cervetti o se sia proseguito fino al 1990 circa. Un secondo elemento centrale della sceneggiatura e del profilo politico di Berlinguer riguarda i rapporti con la DC, con Andreotti (caricaturizzato come da imitazione di Oreste Lionello) e con Moro (interpretato da Roberto Citran, che parla con inflessione veneta, ma poco male). Il compromesso storico, l’accordo con la DC poggiato sull’unità delle masse cattoliche e comuniste, fu senza ombra di dubbio una componente della “grande ambizione” berlingueriana, costituita anche da un più ampio spettro di obiettivi, in definitiva riconducibili alla vittoria di un nuovo modello di comunismo, che fosse altro da una forma meramente socialdemocratica, e fosse in grado di governare un paese come l’Italia e di fungere da programma ‘pilota’ per più estese applicazioni. L’idea del compromesso storico, legittimata dal periodo buio del terrorismo e del rapimento e uccisione di Moro (unico vero interlocutore democristiano di Berlinguer), viene nell’opera di Segre già accennata e è sottesa già per la vicenda del divorzio. Anche in questo caso, in un film che è anche una narrazione politica, sembra che nulla esistesse in Italia di buono di cui non si facesse carico Berlinguer e il PCI, come eroici e stoici faticatori per il bene del paese. Il divorzio, come diritto ottenuto per legge nel 1970 da socialisti e liberali Fortuna e Baslini e dai radicali della LID, poi messo in discussione dal referendum voluto da Fanfani e votato nel maggio 1974 viene presentato come una lotta del popolo comunista diretta da Berlinguer. Ma dovrebbe essere cosa nota che numerose furono le perplessità dei comunisti, e tardivo il loro sostegno ufficiale alla campagna referendaria per il no all’abrogazione della legge.

Il focus su quest’uomo idealizzato e la sua leadership non lascia spazio nel film a riferimenti a Craxi, difficile avversario di Berlinguer, socialista col quale Berlinguer non volle mai tentare una alleanza (cosí come Craxi non favorí questo tipo di opportunità) e ‘vissuto’ male, e ad altre figure di spicco della politica italiana, democristiane e non. Dal punto di vista della ricostruzione politica tutto si chiude col 1978.
Dopo la vicenda Moro, sofferta disperatamente da Berlinguer, e dal partito favorevole alla linea delle non trattative con le BR, si salta direttamente alla scena finale, con i funerali descritti con immagini di repertorio   – e davvero oceanici e pieni di commozione vera furono – , come un enorme fatto di massa (il comunismo lo fu, non c’è da sorprendersi, e François Furet ci illumina su come e perché). Si riprende il bagno di folla impressionante alla salma del leader (morto a seguito di un malore avvenuto durante un comizio nel 1984), i fiori gettati, gli operai e la gente comune, i militanti col pugno chiuso e le bandiere rosse a dare l’ultimo saluto al segretario. Si tratta di una vera e propria apoteosi (in senso tecnico) della grande figura di leader. Tra i personaggi partecipanti alla cerimonia Segre monta però rapide inquadrature mirate sugli attori e registi, Fellini, Scola, Mastroianni, Vitti, Ralli. C’era anche il missino Almirante, tuttavia, ci erano tutti i politici, come normale data la natura anche istituzionale dell’evento. Ma Segre ritrae solo il popolo comunista, i cineasti e gli attori. Qual è il significato di questa ultima scena, che nell’economia della pellicola ha il sapore di un’appendice avulsa dal resto e quale l’impressione che ne può ricavare uno spettatore che per semplici motivi anagrafici non ha vissuto quegli anni? Senza dubbio la celebrazione di Berlinguer, ma anche la sostanziale nobiltà del comunismo (non solo italiano), e l’idea che il cinema italiano è stato ed oggi più che mai è antifascista. Tutto questo è legittimo. Cosí come è legittimo comunicare agli spettatori più giovani, e forse meno provvisti di anticorpi critici (il che non significa essere di destra o peggio), dando voce al protagonista del film dipinto in termini esclusivamente positivi e dai toni talvolta a suo modo oracolari, quanto sarebbe bello vivere in un mondo di sano socialismo dove “Tutti avranno ciò che gli serve, ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”. Non accadde quello in quei paesi e secondo quel modello. Come ha scritto Andrea Minuz: “Chi non sa nulla lo scambierebbe per il nostro Churchill, si prende il paese sulle spalle, lo tira fuori dall’ora più buia…”.
Forse, fosse stato insufflato nel lavoro di Segre qualche dubbio e elemento di contraddittoretà in più, qualche chiaroscuro in più, non avrebbe nuociuto. Ma regia sceneggiatura interpretazione principale sono di chi quegli anni per ragioni banalmente anagrafiche non li ha conosciuti e non può averne che una nozione indiretta. E tutto forse non si può dire in due ore.

Per approfondire:
Alcuni link a recensioni con punti di vista diversi:

<https://www.ilfoglio.it/cinema/2024/10/18/news/com-e-grigio-questo-segretario-berlinguer-visto-come-un-padre-della-patria-7060668/>

<https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/11/16/berlinguer-grande-ambizione-mummificazione-neoliberista-turrini/7766866/>

<https://www.vogue.it/article/berlinguer-la-grande-ambizione-recensione-film-festa-cinema-roma-2024>

<https://duels.it/sogni-elettrici/berlinguer-la-grande-ambizione-di-andrea-segre-il-progetto-politico-per-salvare-la-democrazia/>

 

 

 

 

 

 

 

 

Giovanni A. Cecconi

Professore di storia romana e di altri insegnamenti di antichistica all'università di Firenze. Da sempre appassionato di cinema, è da molti anni attivo come blogger su alleo.it per recensioni, riflessioni, schede informative, e ricordi di attori e registi. È stato collaboratore di Agenzia Radicale online e di Blog Taormina. Ama il calcio, si occupa di politica e gioca a scacchi, praticati (un tempo lontano) a livello agonistico, col titolo di Maestro FIDE.