19 Aprile 2025
Words

Terre e alleanze rare…

Circa due settimane fa l’Unione Europea ha rilasciato un documento che alcuni storici sarebbero orgogliosi di chiamare di “storia del futuro.” The future of rare earths mining in Ukraine. Il documento UE si intitola Il futuro delle attività mineraria per le terre rare ucraine. Le conclusioni sono agghiaccianti: “In the context of increasing geopolitical competition, the US and EU each have a large stake in the future of Ukrainian rare earth mining. The question remains which power stands to benefit the most. Much will depend on future investment strategies, regulatory frameworks, and Ukraine’s own alignment.”
Quel che stride è il resto del documento del 27 marzo rispetto a quanto successo dopo: il 10 aprile infatti USA e Russia discutevano di tutto tranne che (direttamente) di Ucraina al consolato russo di Istanbul US, Russia delegations hold talks in Istanbul on diplomatic missions, mentre alla NATO (Brussels) si organizzava contemporaneamente la forza direassurement per l´Ucraina. Che senso hanno allora le parole del testo UE “the US and EU each have a large stake in the future of Ukrainian rare earth mining”?

Nel documento UE, notiamo che la mappa di fattura ucraina mostra depositi di terre rare (non meglio precisate) nel settore attualmente occupato. Vediamo però come l’UE potrebbe utilizzare meglio i suoi vantaggi, o almeno le sue leve geoeconomiche, per essere più competitiva sulla scena mondiale.
Per quanto riguarda l’Ucraina, ci sono una serie di punti che non tornano:

  1. perché e come fu bloccata nel 2016 l´iniziativa INOGATE formulata tra Tbilisi e Kiev nel 1996;
  2. in che stato è la BSEC che riunisce dal 1992 i Paesi del Mar Nero (il Mare del nord ottomano, mentre quello meridionale mediterraneo era il bianco);
  3. e passando alle vie di terra con trasporto multimodale (gomma, rotaia) in che condizioni versa dal 1993 il TRACECA, Transport Corridor Europe-Caucasus-Asia. Il General Jean vi aveva dedicato uno studio una ventina d’anni fa con Franco Angeli, sarebbe da riprendere. Forse la situazione è complicata rispetto a quando scriveva lui dalla mancanza netta di idealismo vagamente progettuale: un ottimismo impalpabile che faceva atmosfera.

Malauguratamente oggi si cercano approvvigionamenti azeri senza aver buoni legami con la inaggirabile Turchia: sotto Borrell (2019-2024) l’Europa non è riuscita a garantire alla Turchia un ruolo diverso da quello di guardiano/prigione per i migranti provenienti dal vicino Medio Oriente. E forse questo passaggio, con la correlativa politica di espansione dell’UE verso i Balcani (congelata ancora una volta?) può indebolire ulteriormente il già fragile (se non destabilizzato) fianco orientale.
Mentre si pensa a come “portare dentro” l’Ucraina, si lascia da parte il promontorio per eccellenza e per etimo, i Balcani, verso i quali ogni Paese UE pensa per se stesso: come potrebbe beneficiare del loro ingresso l’Austria? Cosa ne trarrebbe la Croazia? Sono dinamiche note magari a chi studia la materia all´università mentre in sede europea si fa finta di non vedere. Per esempio l’Ungheria e la Croazia sono riuscite a deteriorare i loro rapporti che storicamente erano stati più sani ai tempi del Kosovo. Anche questo pesa. È evidente che quando la situazione è pericolosamente in ebollizione, si deve intervenire nei Balcani in un modo o nell’altro.

Forse non avevano poi torto gli Asburgo – ce l’ha ricordato il Gen. Jean – a sviluppare la logistica secondo l´asse nord-sud, più che ovest-est. Anche perché fu il cavaliere barzellettiere a coniare la formula, quasi un marchio pubblicitario, “Barcellona-Kiev.” In questo caso la storia è stata prima farsa e poi tragedia.