10 Ottobre 2024
Italic

Il viaggio, i giovani, le radici

In una parte della mia vita ho viaggiato un po’ (Senegal, Capo Verde, Uruguay, Cile, Argentina, Nicaragua). Mi sono chiesto spesso il senso del viaggio, senza cedere però mai alla suggestione della vita “on the road” e, francamente, al contrario di  Jack Kerouac, non credo che la strada sia vita, perchè la vita non dovrebbe ridursi ad una inseguimento di luoghi lungo asfalto e terra. Precariamente e con il tempo sono perciò arrivato alla convinzione che il viaggio è scoperta ed incontro; quindi non sempre è necessario alzarsi in volo o calarsi in mare, ma può essere sufficiente passeggiare lungo strade sconosciute di luoghi conosciuti. Si viaggia con l’anima oltre che con il corpo; ed ogni viaggio ha anche bisogno di pause e riposo. Però questa spiegazione del viaggio non mi convince del tutto, perchè contiene l’insidia della “comodità”; una spiegazione insomma che tiene insieme radici e movimento; troppo facile e forse anche troppo consolatoria, perchè comunque Kerouac aveva ragione quando scriveva che si “può sempre andare oltre, perchè l’oltre non finisce mai”. Quindi non ho ancora una risposta alla domanda che cosa sia il viaggio, quale il suo significato dentro una vita. Sento però che la risposta a quella domanda contiene in sé tutto il senso stesso della vita; e con il senso della vita definisce la ragione del vivere sociale oggi. In tempi di società aperta, di globalizzazione e di mondo a portata di clic possiamo immaginarci immobili e digitalmente curiosi o mobili e frugatori nei diversi luoghi che ci si aprono davanti. Qui -forse virando troppo bruscamente- arriviamo al punto che più mi preme: che direzione possiamo indicare ai nostri giovani che della società dovrebbero essere i protagonisti per garantirle la sopravvivenza o meglio la sua evoluzione? Sono anni che discutiamo di quanto le nostre scelte abbiano compromesso il loro futuro; che ci interroghiamo su come restituire alle giovani generazioni speranze, stabilità e certezze, che poi, in sostanza,  per il sentire comune si riducono ad un lavoro e alla possibilità di un mutuo per comprarsi l’auto e una casa. Però mi chiedo se tutto questo non sia un modo per tarpare le ali ed impedire il viaggio, che poi da giovani significa cercare, provare, sperimentare, anche solo a pochi metri da casa. Insomma, la metafora (ma neanche troppo) del viaggio mi ha portato al cuore del ragionamento che ci interroga come “padri” e “madri”; quale società immaginiamo per i nostri figli. Davvero la risposta all’inquietudine dei nostri giovani sta tutta nel richiamo a parole come stabilità, tempo indeterminato, mutuo ventennale? Stiamo ipotizzando un progetto di vita o una sorta di “prigione” dell’anima?  Per lavoro, nei giorni scorsi, ho presieduto un Concorso per assumere un impiegato in Comune e mi hanno colpito le interviste di giovani ventenni che -come tanti “rassegnati” Checco Zalone- aspiravano e aspirano (a vent’anni!) al posto fisso, per poi farsi una casa, mettere su famiglia. Liberi certo di farlo, ma liberi anche di scegliere altro. Quindi si torna al viaggio ed al suo senso. Il primo e fondamentale significato (e valore) sta proprio nella libertà di partire o di stare fermi, di alzare i piedi da terra o alzarsi in volo. Come ha scritto in una bellissima poesia Pablo Neruda, l’amore unisce con aroma e non come fili. Allo stesso tempo, una società o meglio una comunità (che presuppone un legame anche affettivo) dovrebbe “legare” i suoi giovani con “aroma”, sogni, progetti, movimento, libertà e non con radici, vincoli ed un futuro già scritto come l’oroscopo (scontato e prevedibile) di una cartomante in fondo ad un settimanale. E forse, per il tempo che resta, dovremmo ricordarcelo anche noi che non siamo più giovani, ma lo fummo e, troppe volte, non abbiamo osato andare “oltre”, non ci siamo spinti a cercare un “oltre” che c’è sempre.