Elisabeth Ȧsbrink, 1947, Edizioni Iperborea 2018, pag. 316, € 18, traduzione dallo svedese di Alessandro Borini
Il percorso che Elisabeth Ȧsbrink compie attraverso il 1947 è il risultato di un paziente lavoro di ricerca di archivio, di interviste, di biografie, che induce a riflettere sulla nostra attualità, perché determinate scelte di allora hanno indirizzato e condizionato la Storia degli anni a venire. La Ȧsbrink, scrittrice e giornalista svedese, riporta mese per mese tutto ciò che accade in Europa e nel mondo, ed allo stesso tempo dà voce all’esperienza di suo padre, ricostruendo il dramma di un bambino orfano ungherese, in uno spaccato di grande tenerezza:
A più di un anno dalla fine della guerra l’Europa ha ancora tutte le ferite aperte: miseria e fame, città distrutte, masse di persone che fuggono in ogni direzione. Fuggono dalla Germania i nazisti che trovano nella Svezia una potente organizzazione di estrema destra guidata dal fascista svedese Per Engdhal, che li protegge, li nasconde e li fa espatriare in Argentina, complice il governo locale che intasca soldi.
Si fugge dall’est per paura del regime comunista ma soprattutto fuggono verso la Palestina gli ebrei sopravvissuti, mentre migliaia di bambini ebrei finiscono in un orfanotrofio tedesco, a Struth, in attesa del loro turno per la Palestina.
Il 10 febbraio è il giorno dell’ultima firma del trattato di Parigi e le parole che dominano sono denazificare, demilitarizzare, decentralizzare, democratizzare, nella volontà di dimostrare che la democrazia è migliore di uno stato autoritario.
Nella Berlino divisa in zone di occupazione non si sa che storia insegnare; Primo Levi, dopo il rifiuto di Einaudi, riesce a pubblicare Se questo è un uomo; Orwel anticipa il futuro con 1984; entra sul mercato un’arma nuova che prende il nome del suo inventore, Kalashnikov, viene istituita la CIA, intanto Dior lancia il suo stile nella moda, non senza critiche,
Gli Inglesi assistono alla fine del colonialismo in India ed alla divisione tra indù e musulmani con migliaia di vittime da entrambe le parti.
Dopo una lunga battaglia viene finalmente riconosciuto a livello giuridico il crimine di genocidio: “se l’omicidio di molte persone riuscirà ad indignare tanto quanto quello di una sola, il mondo diventerà un posto migliore”. Questo è il pensiero, che oggi potremmo definire illusione, di Raphael Lemkin, giurista di diritto internazionale che per tale riconoscimento giuridico si è speso.
Tutto si decide quest’anno: la divisione tra est ed ovest e l’inizio della guerra fredda; gli innumerevoli processi contro i responsabili dello sterminio, quello di Norimberga il più conosciuto; la formazione di una commissione Onu che decida sul destino della Palestina alla partenza degli Inglesi che non vogliono mettersi in conflitto con i Paesi Arabi; la riscoperta della Jjiad da parte dei Fratelli musulmani, gli attacchi del terrorismo sionista dopo la dichiarazione Onu della nascita dello Stato d’Israele; la cacciata degli arabi dalle loro terre -con la chiave di casa in tasca e gli occhi rivolti all’indietro- verso i campo profughi.
Dal Cairo parte un battaglione per la Palestina già ad ottobre, in difesa degli Arabi, prima di quella votazione ONU sulla nascita dello stato d’Israele che viene definita “l’origine di tutti i mali”, se si considerano le sue conseguenze fino ad oggi
C‘è divisone sul destino degli ebrei in fuga: non ne devono entrare in Palestina più di 1.500 al mese, secondo gli Inglesi, ma il presidente americano Truman vuol farne entrare 100.000. Del resto Truman pensa di subentrare agli Inglesi nel controllo dell’area, per evitare l’infiltrazione sovietica. Ha lo stesso scopo il piano Marshall, ideato dal suo Segretario di Stato, che prevede l’investimento di 17 miliardi nella ricostruzione di 16 paesi europei in quattro anni.
“Il mondo è sempre più spaccato in due”. Ma si fa strada un nuovo pensiero ed una speranza: “Allo stesso tempo, da più parti si va sviluppando il pensiero di una terza potenza, un’Europa unita, l’idea di far saltare i confini nazionali pur mantenendoli”.
Sarà per i corsi e ricorsi della Storia se anche oggi ci sono navi bloccate come allora, diversi comunque i passeggeri: l’Exodus, ma si chiamava in realtà President Warfield, carica di 4500 persone contro le 400 che poteva trasportare, viene bloccata nel porto francese di Sete, i fuggitivi non obbediscono all’ordine di scendere, la nave prende il largo senza autorizzazione ma viaggia affiancata da due cacciatorpediniere inglesi che minacciano i fuggitivi col megafono: lo scontro avviene nella notte quando gli Inglesi prendono il controllo della nave al largo di Gaza, portano i fuggitivi ad Haifa, li disinfettano con antiparassitari contro il tifo, li riportano in un porto francese e di lì ad Amburgo. Gli Inglesi, nel loro antiebraismo, sono accusati di disumanità.
“Forse non è l’anno che voglio ricomporre,- scrive la Ȧsbrink – la ricomposizione riguarda me stessa. Non è il tempo a dover essere tenuto insieme, sono io, io e il dolore frantumato che provo ed aumenta sempre più. Il dolore per la violenza, la vergogna per la violenza, il dolore per la vergogna”.
Resta da chiederci a che livello oggi sia sceso il dolore per la violenza, e se esista ancora il senso della vergogna.
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