27 Luglio 2024
People

Roberto Bacci

a cura di Giovanni Maria Tosatti

Pontedera

Vorrei fare di quest’intervista una piccola scalata. E allora come tu m’insegni dobbiamo, per farlo, partire dalla pendici del monte, dalla pianura, che qui assume le forme della Val d’Era. Parlando con Ermanna Montanari (2) le ho sentito definire Pontedera un luogo mistico. Qual è stato e quale continua ad essere il vostro rapporto con una città così priva di caratteri e caratteristiche, sorta attorno ad una fabbrica (3) e dalla così labile identità? Ho iniziato molto lentamente a scoprire Pontedera. Il modo di entrarci è stato singolare, possiamo dire che somigli più ad un accerchiamento, per certi versi lungo e faticoso. E’ stato necessario incontrare alcune persone importanti, gli amministratori, i maestri dei figli, i negozianti e coloro con cui entriamo in contatto tutti i giorni. Tutto questo ha reso il nostro teatro permeabile al territorio. E’ come se queste persone fossero per noi delle porte attraverso cui il nostro teatro entra ed esce dalla città. Ho sempre creduto che i teatri, come d’altronde tutto il resto, non si costruiscano coi mattoni, ma con la fiducia e con la capacità di esistere non nella topografia, ma nel tessuto sentimentale della città. E penso che se non avessimo fatto valere questi principi anche in una certa strategia politica, non ce l’avremmo mai fatta a portare avanti quest’avventura. Con gli amministratori, coi funzionari, ho sempre parlato da un punto di vista sinceramente umano, perché credo che in questo modo qualcosa possa trasmettersi davvero, oltre le carte, alle persone che sono attente al tuo lavoro. Credo che tutti abbiamo le stesse domande come uomini, e se dimostriamo che il teatro può essere un interlocutore a questi interrogativi, allora si può pensare davvero che gli altri ci diano una sorta di credibilità che ci permetta di essere riconosciuti. In questo senso non abbiamo mai fatto campagne di massa perché il teatro diventasse simpatico alla città per forza. Abbiamo preferito lavorare su due fronti, quello “delle formiche” nel costruire contatti e relazioni quotidiane coi cittadini attraverso esperienze significative con alcuni giovani, con gli anziani e coi “Cento spettatori da adottare” (4) per i quali abbiamo portato qui i teatri da tutto il mondo, realizzando attraverso un lungo e duro lavoro dei risultati che permangono nel tempo, capaci di creare dei rapporti reali in cui le persone inizi a conoscerle per nome, cognome e famiglia, e non come “gli spettatori”. L’altro fronte è determinato dal valore che la nostra esperienza ha avuto a livello internazionale e nazionale, qualcosa che s’è sviluppato fuori dalla città e che fa sì che molti pontederesi sentano parlare di noi e ci scoprano andando all’estero.
 
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