27 Luglio 2024
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Ora ripartenza. Ma era chiuso per finta

Quante aziende riapriranno, e come, da maggio? E quante sono già aperte?
Uno studio della Fiom ci dice che in Lombardia sono 23mila le domande e le autocertificazioni a norma di legge già presentate nelle prefetture di tutta la regione. Ma sono 450mila le aziende che sono già aperte, oltre la metà delle 800mila imprese censite in tutta la Lombardia.
A livello nazionale (questo lo spiega una ricerca di Confindustria) ci sono ben 2,3 milioni di attività di ogni tipo ancora aperte, su un totale di 4,5 milioni.

Il lockdown è quindi uno strumento selettivo, che definisce imprese necessarie e aziende “che possono chiudere”, ma sempre con specifiche molto attente e analitiche. Nella sola area metropolitana di Milano, la locale Camera del Lavoro ci riferisce di 520mila lavoratori stabilmente occupati, nella cosiddetta “filiera dell’essenziale”, una cifra che è un terzo della forza-lavoro totale del Gran Milan. A questi vanno aggiunti altri 50mila lavoratori, che rientrano in azienda grazie alla modifica via Decreto del Presidente del Consiglio, dei codici Ateco, e i circa 20mila lavoratori che ritornano in attività dato che hanno fatto comunicazione di ripresa del lavoro in Prefettura.

Il codice ATECO è una combinazione alfanumerica che identifica l’ATtività ECOnomica di una impresa. È obbligatoria la citazione del codice in ogni comunicazione ufficiale dell’azienda. Le lettere riguardano il macro-settore economico, mentre i numeri indicano le categorie e le articolazioni specifiche dell’impresa in oggetto. I codici ATECO nuovamente consentiti per la riapertura dall’ultimo Dcpm sono cento.
Quindi, quanti sono i lavoratori che hanno subito davvero il lockdown? Sempre nell’area vasta milanese, oltre 600mila.

Eppure, in tutta Italia quelli che hanno proseguito a lavorare, per tutto il periodo della pandemia, sono stati e sono il 55,7% del totale della nostra forza-lavoro (dati Istat). In tutto il Mezzogiorno, però, la quota dei lavoratori attivi ha largamente superato quella presente nel Nord.

Nelle grandi città, a Nord e a Sud, sono andati al lavoro mediamente il 69,6% a Genova, a Bari il 68,7%, a Roma 68,5%, ad Ancona il 68,4%, a Trento il 68,3%, a Bologna il 67,7%, a Milano il 67,1% e infine a Palermo il 66,6%.

Il carico delle restrizioni quindi è sulla vasta area del “non-lavoro”, del turismo, della ristorazione, del commercio al minuto. E invece il minimo della pressione restrittiva (pure se con attenzione per la salute e la prevenzione) dentro le fabbriche. E la prevenzione delle infezioni è stata pagata quasi sempre dagli imprenditori per riaprire prima possibile.

In sostanza è cambiato il modo di lavorare; non si è fermata l’attività produttiva. Per esempio, Lodi (epicentro della prima area rossa) manda al lavoro il 73,1% dei suoi operai, con Crema che ha il 69,2% di occupati rispetto al totale pre-virus.
In Commissione Industria del Senato i funzionari di Banca d’Italia hanno detto che, in tutta la fase dell’emergenza Covid-19, la caduta della produzione nazionale è stata del 15%. Mentre Confindustria prevede, in questi giorni, una diminuzione della produzione del 16,6%.
Il 70% delle aziende bergamasche è già aperto, solo otto sono state bloccate dalla Prefettura. E stiamo parlando di Bergamo, triste primato di infezione da coronavirus per tutta l’Italia, malgrado i biglietti gratis e gli aperitivi ottimisti, all’inizio della pandemia, di qualche leader politico.
A Brescia, altra zona-chiave della pandemia lombarda, prima delle recenti aperture del Governo, erano già attive 49.542 imprese, di cui solo 7mila grazie a deroghe e autocertificazioni, su un totale della zona di 121mila aziende.

Solo il 2% delle aziende italiane rimarrà chiuso, di fatto, dopo le ultime normative della Presidenza del Consiglio. Il 70% delle autocertificazioni, e stiamo parlando di tutto il territorio italiano, non è stato però ancora esaminato definitivamente dalle Prefetture. E questo è il dato verificato all’inizio della possibilità di riapertura.
Il Governo, vista la situazione, ha compiuto l’unica scelta tecnicamente possibile: avvalersi, nelle verifiche di legittimità della riapertura, della Guardia di Finanza e dei dati delle Camere di Commercio, altro Ente ingiustamente “punito” da uno stile normativo che trasferiva, forse inconsciamente, lo stile da assemblea di condominio nei vecchi enti territoriali a carattere tecnico e settoriale.

I dati all’8 aprile scorso ci riferiscono verifiche, in totale, solo per circa 38.524 imprese su un totale di 105.707 aziende che hanno riaperto l’istruttoria, in tutta Italia, con soli 2.296 provvedimenti di sospensione delle attività.
Sono quindi 64.897 le imprese che sono già riaperte senza ancora un controllo finale di legittimità, che è in carico alle Prefetture, che si riscoprono essenziali ma povere di personale dopo che, per anni, ci hanno ammorbato con la storia della “fine delle istituzioni locali non-elettive”. La prefettura, infatti, non è una “istituzione locale”, ma l’ufficio territoriale dell’Esecutivo.