6 Dicembre 2024
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Smog, colpevole a metà…

Lo smog è un alleato della Covid-19 ma non è un vettore in grado di diffondere e trasportare il virus SarsCov2. Non lo trasporta dunque, ma chi è stato a lungo esposto all’aria inquinata, se contagiato, potrebbe andare incontro a una malattia più seria. Lo sostengono i massimi esperti internazionali, bocciando l’ipotesi di un diretto coinvolgimento dello smog nell’escalation dei contagi, in occasione del Webinar “Air pollution and Covid-19”, organizzato dalla Fondazione Internazionale Menarini nell’ambito del progetto RespiraMi.
Lo smog, dunque, potrebbe comunque avere un ruolo nel decorso della malattia in chi sia stato contagiato: chi è stato esposto all’inquinamento è più fragile di fronte al virus e ha perciò un rischio maggiore di andare incontro a conseguenze più serie in caso di Covid-19. Secondo gli studi disponibili, gli inquinanti non possono infatti agire come “trasportatori” di particelle infettive del virus e l’inquinamento atmosferico quindi difficilmente responsabile di un’impennata nei contagi, ma l’esposizione allo smog può avere effetti negativi sulla salute generale, rendendo più fragili e aumentando la prevalenza di patologie cardiovascolari, metaboliche e respiratorie, accrescendo così la quota di soggetti con un rischio più elevato di conseguenze peggiori in caso di contagio. E’ cioè sempre più evidente come lo smog sia un terzo incomodo tra il virus e il corpo: quando l’organismo è più compromesso, i danni sono maggiori. SarsCov2 “viene trasmesso soprattutto tramite le goccioline respiratorie di una persona infetta; il contagio da superfici infette è più raro, mentre alcune indicazioni suggeriscono che il virus possa rimanere infettivo nell’aerosol di un ambiente chiuso – osserva Sergio Harari, direttore Unità Operativa Pneumologia, Ospedale San Giuseppe di Milano -.
Invece, l’ipotesi che il particolato atmosferico possa “trasportare” il virus e quindi contribuire a diffonderlo per via aerea non sembra plausibile: il particolato può veicolare particelle biologiche come batteri, spore, pollini e anche virus, ma appare improbabile che i Coronavirus possano mantenere intatte caratteristiche e proprietà infettive dopo una permanenza più o meno prolungata all’esterno perché temperatura, essiccamento e raggi UV danneggiano l’involucro del virus e quindi la sua capacità di infettare. Perciò un legame fra le fluttuazioni giornaliere del particolato e l’incidenza dei contagi non è ad oggi confermata né plausibile”. L’ipotesi che l’inquinamento potesse essere direttamente responsabile di un incremento della probabilità di contagio deriva dalla diffusione di Covid-19 in Pianura Padana, una delle aree più inquinate
d’Europa; tuttavia gli studi sembrano indicare che l’epidemia si muove con le persone, non attraverso lo smog. “Per un’epidemia con contagio per via respiratoria il maggior determinante della diffusione sono la frequenza e la vicinanza dei contatti tra le persone – interviene Pier Mannuccio Mannucci, professore Emerito di Medicina Interna all’Università degli Studi di Milano -. La Pianura Padana è una delle aree più industrializzate del Paese, con un numero elevato di contatti internazionali, e questo assieme all’elevata densità abitativa può essere considerato il maggior determinante dell’impennata dei contagi nei mesi scorsi.
Anche il calo drastico delle infezioni a seguito del lockdown e del distanziamento sociale suggerisce che nella trasmissione del virus il particolato non sia decisivo”. Il particolato inquinante, inoltre, comporta un incremento della risposta infiammatoria a livello polmonare e questo, in presenza di SarsCov2, potrebbe favorire la comparsa di sintomi più gravi. Tuttavia, conclude l’epidemiologo Francesco Forastiere, “ad oggi
non abbiamo dati sufficienti per essere certi dell’impatto dell’inquinamento sul decorso dell’infezione da SarsCov2 e per arrivare a dati conclusivi sono necessari ulteriori studi”.

[tratto da ANSA, Manuela Correra]