13 Novembre 2024
Words

Ferragnez contro Radetzky

Il tema non sono soltanto i diritti civili o la beneficienza. Non è soltanto una storia su Instagram o un set sul palco del Primo Maggio. Il tema è la politica che non c’è. E visto che, dopo il Risorgimento e la Resistenza, siamo tutti a identificare il PNRR (Piano nazionale di Ripresa e Resilienza) come il terzo punto di svolta positivo per la crescita italiana, dovremmo tutti chiederci dove andremo a finire.

Fedez fa scalpore perché è l‘unico che ci mette la faccia e sostiene una causa giusta: tutti sono uguali di fronte alla legge e la violenza in uno stato di diritto non è ammissibile contro nessuno, anche se non crede nella famiglia tradizionale (quella che ha prodotto 112 femminicidi nel 2020).
La Ferragni fa scalpore perché, mentre aziende italiane fregano oltre 10 milioni di euro per mascherine mai consegnate alla Regione Lombardia, lei con suo marito convince 206mila donatori e in meno di un anno recupera 4milioni e mezzo di euro per l’ospedale San Raffaele, come tanti altri affogati dalla pandemia.
In quest’ultimo anno passato i Ferragnez si sono dimostrate due persone solidali, generose e intelligenti. Non è poco in questa nostra Italietta ipocrita.

Questo modo di agire non è il vezzo di due giovani ricchi che cercano di farsi pubblicità. Questo modo di agire ha radici lontane che affondano nella borghesia milanese ottocentesca. È in questa città che è nato il migliore spirito unitario nazionale. Non a Torino, dove il nobile casato sabaudo ha sempre guardato dall’alto in basso alla nazione italica. Non a Roma, dove la sedimentazione delle antiche glorie e delle vecchie miserie hanno reso egocentrica la popolazione, della serie: “noi semo romani e voi nun siete un…”.
È a Milano, con le Cinque Giornate, che nasce il Risorgimento, cioè l’Italia. Come scrive Luciano Bianciardi nel suo Daghela avanti un passo (Longanesi 1992): «…i milanesi in quei giorni vissero di reciproca solidarietà: chi aveva dette liberamente agli sprovveduti. Ogni casa patrizia teneva la porta aperta a chiunque, scioglieva ben volentieri i cordoni della borsa, vuotava le dipense, imbandiva le tavole. Nessuno morì di fame perché tutti potevano entrare e sedersi al desco, ciascuna casa era la casa di tutti. E, si badi bene, in quei cinque giorni di “disordine” regnò in città un ordine nuovo, spontaneo, entusiastico. Basti pensare che non fu segnalato un solo caso di furto. Milano stava vivendo in un clima morale del tutto nuovo».
A metà Ottocento c’erano tre donne milanesi che fecero la differenza e che segnarono un punto a favore del mutuo soccorso. Non erano comunarde e non credo sapessero manco di Marx ed Engels. Semplicemente erano persone serie, consapevoli che non si vive da soli, in completo isolamento, ma che una città (e di conseguenza una nazione) è una comunità di persone più o meno fortunate, più o meno capaci, più o meno “normali”.
Laura Solera Mantegazza, Teresa Casati Confalonieri e Adelaide Bono Cairoli attivarono tante di quelle azioni di conforto materiale per i poveri, di sostegno alle ragazze abbandonate, di cura dei combattenti contro il regime austriaco che sono state base e fondamento del mutuo soccorso delle origini. Lo riconobbe anche Garibaldi in una lettera del 6 ottobre 1848 (pubblicata per la prima volta su Il Riformista del 6 maggio 2011), dove si congratulava con la Solera Mantegazza per il supporto ai garibaldini feriti nelle lotte in corso.

Non vogliamo dire che Chiara Ferragni sia come Laura Solera Mantegazza. Più semplicemente c’è una borghesia meneghina che viene da quelle storie, da quelle origini. Ci sono imprenditori e persone benestanti che operano per il bene delle proprie comunità. Non serve citare il sempre ammirato Adriano Olivetti. È notizia di questi giorni quella di Danilo Dadda ad di un’azienda di Mapello che paga i propri dipendenti se leggono un libro e durante l’orario di lavoro si prendono la briga di raccontarlo ai propri compagni e colleghi di lavoro. Ci sono persone che agiscono per diffondere buone pratiche sociali. A queste persone, come Fedez e la Ferragni, non si può chiedere di fare politica e non si può rimproverare di fare solo beneficienza. La politica progressista dovrebbe riprendere un ruolo in questo Paese malato e corrotto che è l’Italia, dove un consigliere leghista alla Regione Liguria, può permettersi di pronunciare, qualche anno fa, questa frase: «Se avessi un figlio gay lo brucerei nel forno».
Citando questa frase (e altre di politici leghisti) nel suo intervento sul palco del Primo Maggio, Fedez ha voluto opporsi all’ostruzionismo che il partito di Matteo Salvini sta facendo contro il ddl Zan, proposta che vuole aggiungere i reati contro omosessuali e transessuali nelle norme che puniscono la propaganda e l’istigazione a delinquere per discriminazione razziale, etnica o religiosa.

Ci sono tre pensieri terribili in quella frase. Il primo pensiero orrendo è il mancato riconoscimento dell’omossessualità; il secondo pensiero inaccettabile è la parola “forno” che rimanda ai forni crematori nazisti; il terzo pensiero osceno è la proprietà del figlio inteso come oggetto e non come individuo.
Ma c’è un quarto pensiero dietro a questa frase. Ed è quello più pericoloso. Cioè come viene usata questa frase dalle persone che la ascoltano. Sì perché di stupidità e disumanità è pieno il Mondo. E purtroppo, in Italia questi due tratti negativi sono concentrati in altissima percentuale nei dirigenti e negli elettori della Lega, come se questo partito avesse il primato di essere rappresentato da una manica di scriteriati, con a capo Salvini, il Radetzky di turno.

E c’è di più. Come se le frasi degli odiatori da tastiera che attaccano i gay e Fedez già non bastassero a determinare un profilo di demenza e cattiveria sociale diffusi, c’è la “ciliegiona” sulla torta.
Due dirigenti Rai (una è la vicedirettrice di Rai Tre, pare in quota Partito Democratico) hanno tentato di censurare l’intervento di Fedez al concerto del Primo Maggio. Lo si può vedere nel video pubblicato su YouTube (https://www.youtube.com/watch?v=MyH6BArutKc) in cui i due della Rai tentano di spiegare a Fedez che non è il caso di citare le frasi di alcuni politici leghisti in diretta tv, per questioni di “contesto”…

Fedez, difendendo l’autonomia creativa dell’artista, si dichiara imbarazzato per loro.
E anche noi, come Fedez, siamo imbarazzati per loro. Siamo imbarazzati per i politici che stentano a rappresentare le qualità positive e progressiste di questo Paese in declino, per i dirigenti scelti per appartenenza fiduciaria e non per competenze che dirigono la RAI e tante altre istituzioni pubbliche, e ci vergogniamo di avere la classe dirigente e le élite più malate d’Europa. Ma forse è il popolo italiano a essere totalmente allo sbando.
La strada verso il futuro è dura e non sarà piacevole percorrerla in una penisola malata e corrotta.