15 Ottobre 2024
Words

Da Cacciari alla terza dose

L’interpretazione è il vero maleficio dei nostri tempi. Quando l’informazione viaggiava a ritmi di una tartaruga e il bene prezioso erano l’oro e le spezie, il tema interessava una parte ridotta della schiera umana. Oggi che le informazioni sono un bene prezioso e ce ne sono in quantità eccessiva perché chiunque possa star dietro a una parvenza di sapere civile individuale tutti sono Enzo Biagi, ma che dico, di più, Isaac Asimov. Ma che dico, di più, Albert Einstein. Ma che dico, di più, Agamben e Cacciari…
Purtroppo ci siamo ridotti così. Anche quelli che si pensa abbiano del sale in zucca in verità hanno perso ogni prudenza e sparano minchiate a più non posso, dimostrando in un sol momento quanto fossero sopravvalutati i lori saggi di divulgazione filosofica scritti fumosamente, oppure quanto fossero obnubilanti certe teorie allungate come il chewing-gum per centinaia di pagine.

Si diceva appunto dell’interpretazione. Un’infermiera di Terni perde il lavoro giustamente (anche il giudice le dà torto) per non voler fare il vaccino. Un imprenditore italiano di stanza a Miami muore di Covid-19 negandone l’esistenza. Un minchione settentrionale è entrato e uscito firmando già tre volte dall’ospedale perché non riconosce il Covid-19 da cui è affetto e rifiuta le cure e adesso è in terapia intensiva… Tutto a spese del servizio sanitario nazionale, cioè nostre.
L’ermeneutica attuale è impazzita o mostra i limiti ormai osceni dell’imbecillità umana. E l’imbecillità ormai non teme più razze, religioni, sesso, condizione sociale e neppure libretto universitario o cattedra accademica. L’imbecillità non ha confini e ha la sfacciataggine di mostrarsi a qualunque livello e ovunque.

Resta il fatto che un barlume di reale c’è ancora e i numeri in rialzo dell’occupazione delle terapie intensive italiane sta lì a dimostrarlo. Ma la notizia interessante, in questi giorni di piazzate incoscienti e di dichiarazioni di politici sciacalli, è che uno studio pubblicato su NJEM spiega che gli anticorpi nel sangue predicono il rischio di contagio post vaccino.

Lo riporta l’ANSA, scrivendo che gli anticorpi neutralizzanti presenti nel sangue possono predire il rischio di venir contagiati dal Sars-Cov-2 dopo esser stati vaccinati e possono essere un marcatore predittivo affidabile per valutare la necessità di una terza dose per proteggere dalle varianti emergenti. Lo dimostra uno studio basato sui dati di quasi 11.500 operatori sanitari in Israele, pubblicato sul New England Journal of medicine. (Nejm).
Tra gli operatori sanitari sono stati identificato 39 lavoratori che erano stati infettati da SARS-CoV-2 nonostante fossero completamente vaccinati con doppia dosa di Pfizer-BioNTech, andando incontro alla cosiddetta “breakthrough infection”. Tutti avevano sintomi lievi o nessuno. Per 22 dei 39 lavoratori gli autori sono stati in grado di ottenere misurazioni anticorpali effettuate il giorno in cui sono state rilevate le infezioni o nella settimana precedente. I ricercatori hanno anche esaminato i dati di 104 lavoratori completamente vaccinati che non sono stati infettati pur essendo stati a contatto con il virus. Il confronto ha mostrato che i livelli di anticorpi neutralizzanti erano più bassi tra coloro che sono stati infettati, fornendo la prima prova diretta di questo effetto.

I risultati rafforzano i dati precedenti raccolti durante gli studi clinici sul vaccino Oxford-AstraZeneca relativi a un legame tra livelli più elevati di anticorpi neutralizzanti e una minore probabilità di infezione. Lo studio “è un passo importante nell’ulteriore convalida dell’uso del titolo di anticorpi neutralizzanti diretti contro il virus come un elemento correlato della protezione” o marker, afferma Miles Davenport, immunologo presso l’Università del New South Wales a Sydney, in Australia. Ma concludono i ricercatori, “l’analisi non fornisce un livello specifico di anticorpi associato alla protezione, e su questo è necessario ora indagare”.