19 Aprile 2024
Sun

Andrea Bajani, Il libro delle case, Feltrinelli, Milano 2021

Questo libro di Andrea Bajani è un pasticcio illuminato da lampi di autentica letteratura. Ma non è un pasticcio perché si tratta di un libro pasticciato; tutt’altro; lo è per stile: faccenda imbrogliata, situazione difficile, tensione che va a viene.
Ma Bajani è in gamba: gestisce alla meglio tutto questo pasticcio attraverso date (numeri di anni), case che vengono cambiate (i luoghi in cui esse si trovano a mio giudizio sono sei: Roma, Torino, periferie varie, Londra, Parigi, case al mare), numeri di capitoli (se ne contano, alla fine, 78), personaggi denominati alla maniera dei cartoni animati o del fumetto – Io, Padre, Madre, Sorella, Nonna, Nonno, Moglie con Bambina, Donna con fede, Parenti, Gemelli, ma anche Pier Paolo Pasolini (detto Poeta), Franco Basaglia («E tutti i matti d’Italia liberati») e naturalmente Aldo Moro detto Prigioniero – costruzioni adibite ad abitazione per una o più famiglie (un oggetto) e, nello stesso tempo, un insieme di fogli che contengono un testo stampato o manoscritto (rilegati e provvisti di una copertina). Visto che Io scrive evidentemente poesie.

Dunque non un pasticcio nel senso, lo abbiamo detto, di un libro pasticciato ma un «soggetto» che contiene due «oggetti» (libro e casa) diversi.
O forse un unico «oggetto» (libro=casa) che contiene una serie di «soggetti» che attraversano  la «storia» (prevalentemente) d’Italia degli ultimi 46 anni. Insomma Il libro delle case è immediatamente il libro della storia delle case (libro=storia) e, contemporaneamente è, anche: la storia del libro delle case.
Si tratta, in definitiva, del libro di uno storico e di un fenomenologo. Se si parte dal presupposto che il «fenomeno» sia l’apparizione di una casa (tutto ciò che può essere osservato e studiato attraverso una conoscenza diretta) e che fenomenologia sia la descrizione di un complesso di case così come si manifestano a Bajani, al libro e alla storia allora se ne ha che questo Il libro delle case è immediatamente una storia della fenomenologia ma anche una fenomenologia della storia.

1994: «Il luogo è una cittadina di provincia, il fondo indistinto dell’Italia settentrionale, una cittadina equivale a un’altra cittadina di provincia. Usciti da Torino, il resto è provincia sconfinata in ogni direzione». 2021 (in piena era-Covid): «Roma dunque è sempre Roma, ma senza corpi per la strada, è perfetta per la foto dai balconi, dove sta asserragliata la cittadinanza. Ma nessuno vuole farle, le foto, la bellezza senza uomini spaventa, svela la sua natura di invenzione e di commercio, il suo nesso col capitalismo: se non c’è nulla da vendere c’è poco da guardare».
Provincia profonda, «nesso col capitalismo», e poi – in un libro democristiano come questo: adulteri, tumori, problemi familiari, gite fuori porta, un’Italia che forse non va «a cento all’ora» ma che transita nella «Casa signorile di Famiglia» nel 2011 (in piena era-berlusconiana): simbolo di progresso e «cattolicesimo», di «Si sale solo di due strade, ma di parecchio nella scala sociale, da popolare con conforto a facoltosa borghesia di lunga data», forse di rivalsa economica  e sociale.
Nella periferia nord- ovest di Milano, solo un anno prima, alle spalle di Milano 2 in via Olgettina al numero 5 (tra il comune di Milano e quello di Segrate a poca distanza dall’ospedale San Raffaele) si consumano intenzioni, riti e miti e anche ambizioni di un’Italia che ha visto scardinate tutte le sue certezze (non ci sono più i partiti, la Chiesa è quello che è, non c’è più il sociale sostituito dal social, ci sono muri – ed è qui che Bajani troneggia e fa davvero letteratura quando scrive – «Se offrirà soltanto muri per le svastiche e la Roma») e sostituite dai dettami di un capitalismo (oramai globalizzato) che nei Moloch e  nei Tycoon vede gli emuli dei tronisti e dei corteggiatori dei programmi di Maria De Filippi. La legge del 13 maggio 1978 (Io ha tre anni) è nota soprattutto come «Legge 180»; essa è in tema di «Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori»: l’esatto contraltare dell’Italia – siamo nel 1978, l’anno in cui «Se io s’infilasse gattonando dentro il rettangolo di luce del televisore  che sta nella sala da pranzo della Casa del sottosuolo. Percorrerebbe un lungo corridoio che nessuno vede. All’altra estremità di quel corridoio, Prigioniero vedrebbe un bambino venirgli incontro in pannolino e canottiera. Lentamente, e forse senza neanche accorgersi dell’uomo che lo guarda, Io arriverebbe fino a lui. A quel punto non potrebbe non vederlo. Io si aggrapperebbe forse alla gamba dell’uomo per tirarsi in piedi. Prigioniero lo solleverebbe. Forse, più probabilmente, io lo guarderebbe tenendosi a distanza»  – che sarebbe diventata televisiva (la cosiddetta «legge Mammì», tanto per fare un esempio, è del 6 agosto 1990 n. 223), poi internauta e quindi «scettica», «liquida», e che «Sta bene sotto ogni padrone». Tre anni prima – precisamente la notte del 2 novembre del 1975 – si genera in questo paese quella ferita di dolore che non si è mai più rimarginata.

Bajani scrive: «Che sia coupé, che sia un’Alfa Romeo, è ciò che la tenebra trattiene  e che il libretto di circolazione custodisce, con accanto il nome di Poeta. E’ l’ultima sua auto, gli è sopravvissuta dopo averlo lasciato solo, riverso in mezzo al fango, all’Idroscalo». «Gli unici a sapere che cos’è successo, ma senza poter testimoniare, sono il pianale, il semiasse, la coppa dei cerchioni». E’ questa la «casa» estrema – Famiglia si trova nella «Casa del sottosuolo»; l’Italia è ancora innocente: non ha visto tatoo, hipster, cocaina consumata in interni borghesi, televisione televisione televisione, influencer, imbecillità.

Andrea Bajani confeziona così un «libro» di  fenomenologia applicata: la casa (l’ennesima casa) è «oggetto» di un’esperienza storica che diventa, alla fine, geopolitica e che resta sempre sul piano di una dinamica esistenziale. Il libro delle case – pur tra qualche ingenuità e qualche passaggio ridondante – è un bel libro; godibile; scritto bene e pensato anche meglio.
E, come si diceva all’inizio, contiene alcuni lampi di vera letteratura. Qualche esempio? Di fronte a un tumore: «Nel buio tace la massa imbarazzata del ridicolo esercito dei sani». Di fronte alle «case» costruite e abitate a ridosso del governo Berlusconi IV (dall’ 8 maggio del 2008 al 16 novembre del 2011): «Il quartiere non è incline alla filantropia, il che non esclude qualche spiccio di sentimentalismo: fa bene all’umore e cementa lo spirito di classe.
E’ impastato con la malta di un cattolicesimo diventato classe dominante, contiene l’emozione e un po’ di ambientalismo».

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.