9 Dicembre 2024
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Ferruccio De Bortoli, Ci salveremo, Garzanti 2019, pp. 176, 16 euro

Ferruccio De Bortoli nel suo libro Ci salveremo. Appunti per una riscossa civica, parte da un dato: oltre 5 milioni di italiani sono residenti all’estero. E si domanda: che cosa ci sono andati a fare? Perché non se ne stanno all’estero per sempre?
È così che nascono altre quattro domande: 1) stanno all’estero di loro iniziativa o vi sono stati costretti? 2) stanno all’estero perché l’Italia non li ha voluti? 3) stanno all’estero perché il paese ospite è meglio dell’Italia? 4) stanno all’estero perché hanno tanti soldi?
De Bortoli si chiede allora: perché l’Italia ha investito su così tanti bravi ragazzi e poi li fa andare via? Parliamo ovviamente di persone privilegiate (l’Italia non è fatta per lo più di ricercatori e di grandi medici o grandi informatici). Parliamo di persone che il sistema educativo italiano ha formato (in maniera eccelsa: basti pensare al Politecnico di Torino e alla Normale di Pisa) e che poi scelgono di lavorare all’estero.

Brain power?
L’Italia è un paese dove non puoi continuare a fare ricerca? Oppure gli Stati Uniti fanno ricerca migliore? Seguiamo De Bortoli. “Brain power” è il potere della mente: cioè tutto quello che la mente umana può fare in determinate condizioni e secondo determinate regole. Il “brain drain”, invece, è la fuga dei cervelli.
Quando ero dottore di ricerca la nostra associazione (che si chiama ADI: Associazione Dottori di Ricerca e Dottorati Italiani) ci definiva “cervelli in trappola”. La mente umana può essere utilizzata per il male (e questo lo sappiamo) ma può anche essere utilizzata per scoprire la Relatività Generale. Dipende come la usi! Un po’ come – ci ricorda il vecchio Ferraris – dipende da come usi il cacciavite: lo puoi utilizzare per svitare una vite, per avvitare un rubinetto e anche per bucare la ruota di un’automobile.
De Bortoli ci spiega che questi ricercatori quando tornano in Italia (per i motivi più vari) rispettano molto meno il merito di quando erano negli USA. Fanno parte di quella che Umberto Galimberti chiama “Generazione Z”, non sentono il loro Paese come proprio, si ritengono “ospiti” a casa propria e appena possono se ne tornano negli USA. Insomma, per usare un linguaggio stigmatizzato nel libro, sono quelli che “hanno la testa in America e il culo in Italia”.

Civismo
Ci salveremo è un titolo che ha in sé un impegno e una speranza. Ma facciamo almeno otto passi indietro. Come si è verificata questa situazione? Cosa c’entrano gli USA? Cosa centra il rispetto per il tricolore? Cosa c’entra il fatto che se uno è un “cervello” (ma in genere si dice brain, cioè mente, come amerebbe dire Daniel Dennett) si forma in un posto e se ne va in un altro? Noi siamo figli dei bond subprime e della crisi finanziaria del 2008. Noi siamo figli delle Torri Gemelle. Noi siamo figli del Bataclan. Noi siamo figli di Nassiriya e del povero Nicola Calipari.
Noi ci salveremo se faremo un investimento sostanziale: il civismo. E ricordiamo che la domanda di De Bortoli non è una domanda, è un’affermazione. Egli è convinto che noi, assolutamente, ci salveremo.
Ricerca, innovazione, cultura e formazione sono i quattro settori nei quali il civismo insiste di più. Smettiamola di segare l’esile ramo della modernità sul quale siamo seduti. Smettiamola di farci del male come il buon Tafazzi. Smettiamola di credere che tanto, poi, andrà bene anche se facciamo il male. Oggi il Pianeta oggi è un posto nel quale, a fronte dell’emergenza epidemica, si parla di chiusura e revisione dei progetti di vita. Politicamente c’è solo l’alt alle frontiere, la chiusura (ancora per poco) dentro le nostre stanze blindate da serie Tv, libri, musica e poco altro. Altro che la frase di Nanni Moretti: “Apritevi, ma non squartatevi”. Qui ci si chiude e ci si squarta gli occhi a guardare Netflix! In fondo, dice De Bortoli, è come se lo studio e il sacrificio non contassero più nulla.
E il mercato? Anche quello qualche volta fallisce. Mattarella che fa? Parla di senso di comunità. Noi italiani non riusciamo a fare comunità. E noi italiani (ma questo vale anche per gli americani) abbiamo bisogno di una riscossa. Una riscossa civica e civile; una riscossa che parte dalle strade di Roma (come fa il bravo Alessandro Gassmann) e pulisce i quartieri. Ma arriviamo qui a un punto rispetto al quale De Bortoli secondo noi sbaglia. Infatti, egli parla di assenza di passioni civili. No, le passioni civili ci sono. Ci si appassiona civilmente contro Salvini, Meloni, Conte, eccetera. Non è questo il punto.

L’immagine del mondo
L’ascensore sociale che, in passato, conduceva il proletario a diventare borghese, oggi non sale più. Il povero è destinato a essere e restare sempre più povero e il ricco a farsi sempre più ricco.
Gli immigrati regolari, per la maggior parte, sono colf e badanti. Ma chiaramente gli altri, quelli irregolari, non ci piace vederli per le stradeIl Sud ha scommesso sul funambolismo di Luigi Di Majo e sulle capacità autoriali e attoriali di Matteo Salvini. Salvini ha stravinto sul tema dell’immigrazione. Eppure era stato Marco Minniti ad aver contenuto i flussi migratori… Insomma il quadro è fatto! Noi italiani e noi statunitensi abbiamo pregi ma anche difetti. Il nostro paese ha un avanzo primario, ovvero il saldo fra entrate e uscite (al netto del debito) positivo. Non siamo messi male, dunque. E allora perché le nostre migliori brain a volte tornano in Italia, dopo essere state al MIT di Boston o al Caltech di Pasadena, rinnegando i meriti dell’Italia? Sputando sul piatto dove hanno mangiato fino a oltre 20 anni? Negando che l’Italia sia un centro di ricerca interessante? Non è mica questione di lavoro: qualche contratto a termine ce l’avranno pure qui, no! È questione di “testa”. Brain appunto.
Chi va all’estero, perché l’Italia non gli piace o perché ci va a lavorare, che immagine ha, dell’Italia e del mondo, nella testa (mi viene in mente il libri di Valentino Braitemberg, L’immagine del mondo nella testa, Adelphi 2008)? E soprattutto: con che razza di idee in testa sta andando negli Stati Uniti?

Evasione fiscale scontata a botte di condoni, rottamazioni, sconti e pace fiscale. Noi italiani abbiamo due difetti: abbiamo smesso di fare i Padri per fare gli amici e quindi siamo irresponsabili nei confronti della “Generazione Z”; siamo indifferenti nei confronti dei beni pubblici. Siamo un paese chiuso, barricato, bloccato, blindato e allo stesso tempo impassibile (noi e gli USA) nei confronti dei figli e del bene comune. De Bortoli si chiede quale immagine meriterebbe il nostro Paese. Un Paese che non faccia “cattive figure”. I cinquantenni di oggi sono figli di una generazione che ha cercato di fargli capire che l’educazione è importante, ma adesso facciamo brutte figure: i ricercatori rinnegano l’Italia, le starlette televisive rinnegano i ricercatori, ci danno una moneta digitale e paghiamo in banconote. Siamo figli dei figli dei figli della figura di merda. Ricordo che davanti a Vittorio Colao un uomo, un giorno, se ne uscì con una frase: “Voi italiani siete amabili, ma non siete affidabili”…
La nostra solita Italietta, direbbe Moretti. La nostra solita Italietta degli spaghetti e del mandolino, del volemose bene, della pasta col sugo, della partita su Sky, l’Italietta dei bigliardini (del povero Guido Ceronetti), l’Italietta delle espadrillas e delle infradito, di Adriano Pappalardo e di Massimo Ciavarro. Sembra non ci sia una via d’uscita.

L’Italietta dello ius sanguiniis
Se questa è l’Italia, cioè l’Italietta, serve rifare gli italiani con un colpo di genio. Ecco dunque la questione degli immigrati e della cittadinanza. Per essere cittadino italiano devi avere almeno uno tra questi quattro requisiti: 1) devi essere nato in Italia; 2) devi avere almeno un genitore, anche straniero, che ha cittadinanza italiana e vive in Italia; 3) ti devono adottare due cittadini italiani; 4) devi nascere sul territorio italiano da genitori italiani ma non essere apolide. Forse potremo passare dallo ius sanguiniis allo ius soli?

Educazione civica
De Bortoli porta l’esempio dell’assessore del Comune di Bergamo, Loredana Poli, la quale ha fatto una proposta: reintroduciamo l’educazione civica nelle scuole. La Poli sostiene che i ragazzini non capiscono il tema della cittadinanza e hanno pregiudizi sugli immigrati, che non conoscono la Costituzione, ecc. Allora si deve tornare a imparare l’educazione civica. Loredana Poli è convinta che stiamo transitando in una società dell’indifferenza. E che i bergamaschi si stanno sgretolando: stanno diventando individualisti. Manca il senso della comunità, come dice anche il Presidente della Repubblica che invita sempre al “rispetto delle regole”. Ricapitoliamo: situazione attuale, errori storici, civismo, figuracce, uso della Rete. Ferruccio cosa ci ha voluto dire? Ci ha voluto dire: siete in un mondo quasi perfetto e digitale, potete fare quello che più vi piace, potete divertirvi e fare sesso, potete inventare e creare con gli strumenti digitali, potete studiare e approfondire molte attività e cose, eppure non conoscete davvero il mondo in cui vivete?
Serve una nuova educazione:  il civismo.

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.