13 Ottobre 2024
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Il grande gioco dell’Ucraina

A primavera del 2014, la rivista “Affari Esteri” pubblicò un numero speciale in cui larga parte delle pagine era dedicata al tema dell’Ucraina. Gli articoli di quel numero 174 della rivista erano scritti da molti protagonisti vecchi e nuovi della politica internazionale come Giorgio Napolitano, Barack Obama, Federica Mogherini, Henry Kissinger, Bernard-Henry Lévy, Daisaku Ikeda e altri. In quel numero scrisse un articolo anche l’amico Marco Giaconi che collaborava dal 1993 alla prestigiosa rivista italiana e che faceva parte del Comitato “amici della rivista”.
Marco Giaconi è stato un analista di strategia militare e geopolitica e direttore di ricerca presso il Centro Alti Studi Strategico Militari del Ministero della Difesa e poi docente presso IASSP – Istituto Alti Studi Strategici e Politici di Milano. La sua fine erudizione e la vasta conoscenza degli scenari strategici internazionali sono stati per oltre un decennio anche al servizio di questa rivista online, di alleo.it.
Marco Giaconi ci ha lasciati nel 2020. Troppo presto per la sua età, troppo presto per noi, suoi amici, che siamo rimasti senza la sua enorme conoscenza. Qui di seguito pubblichiamo proprio l’articolo del 2014, tratto dal numero 174 di “Affari Esteri”.
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Sul piano strettamente geopolitico, l’annessione da parte di Mosca, con il Trattato del 18 marzo 2014, delle “regioni costituenti” della Repubblica di Crimea e della Città di Sevastopol e la loro riunione alla Federazione Russa come regioni autonome (1) è un indubbio successo russo, che ha “visto” a poker il bluff occidentale.
Per la Federazione Russa, in termini strategici, si tratta di completare il controllo del Mar Nero, del Mare di Azov (2), tra i quali è prevista la realizzazione del ponte (chilometri 4,5) che gli Zar desideravano e che Stalin, per il breve tempo della Conferenza di Yalta, fece costruire e poi distruggere (3); e quindi di creare una continuità strategica che va dal confine costiero occidentale dell’Ucraina fino alla regione del Donetsk.
Quindi, la Russia mette in sicurezza e pone fuori dal controllo NATO tutta la fascia di collegamento centroasiatica meridionale con lo Hearthland del Nord, e rende sicura la propria proiezione di potenza verso il Caspio e i Dardanelli, assicurandosi un canale verso la Turchia, seconda Forza Armata NATO dopo gli Stati Uniti e, in previsione, una proiezione autonoma verso il
Mediterraneo centrale (4). Quindi, Mosca ora controlla gli stretti di Kerch, con il canale Kerch-Yenikalsky, che permette il passaggio a navi oceaniche.
È il raggiungimento dell’autonomia strategica in Asia centrale e l’inizio di un controllo, da parte di Mosca, del sistema mediterraneo, senza dover pagare pegno ai siriani per il porto di Tartus (anzi, renderà ancora più forte la postazione mediterranea russa) e senza, allora, dover passare da aree controllate dall’Iran e da altri Paesi mediorientali.
Sarà da questa piattaforma che Mosca valuterà i suoi interessi nel quadrante libanese e nella trattativa sul nucleare iraniano con il P5+1 (5) e giocherà la sua partita strategica con il Mediterraneo meridionale, che sarà il centro di gravità (in crisi economica) del meccanismo di pressione russo verso l’asse franco-tedesco.
Non soltanto gas e petrolio, secondo la visione da “marxismo volgare” di molti occidentali, ma pura Strategia Globale che, naturalmente, incorpora anche minacce di tipo economico. Ma, naturalmente, il gas e il petrolio non sono certamente irrilevanti nell’equilibrio strategico tra la NATO e la Russia.
Gazprom dipende, per i suoi profitti, dal mercato europeo: le entrate dell’azienda diretta da Alexey Miller, che ha lavorato con Putin fin dall’inizio della “seconda vita” dell’attuale Presidente russo al Municipio di San Pietroburgo, sono calate ultimamente del 25 per cento in Russia.
Le esportazioni oggi, per l’Unione Europea e la Turchia, dovrebbero essere il 30 per cento del consumo europeo di gas naturale (6). Ma Mosca è anche il primo fornitore di petrolio all’Europa e, ancora, il primo per il carbone.

Le liberalizzazioni europee del mercato energetico, dal 2009 in poi, hanno generato sia il fiorire dei mercati spot, che hanno limato le unghie di Gazprom, sia il contrappasso dantesco, per il colosso energetico russo, di investire in vario modo nelle utilities energetiche (e non) europee, creando un
link geoeconomico tra il “libero mercato” dell’Unione Europea e le necessità strategiche russe (7).
La crisi del gas prodotto nell’Unione Europea (8) è grave e Mosca, anche con l’operazione Crimea, raddoppierà la sua capacità di esportazione verso il Vecchio continente entro il 2020 (9).
È ovvia la logica strategica dell’operazione Crimea, quindi: si tratta di eliminare l’Ucraina (che faceva passare l’80 per cento del gas russo diretto in Europa sul suo territorio) e, con le nuove reti terrestri in fase di costruzione, porre il centro di gravità degli idrocarburi direttamente sul suolo russo.
Viene in mente qui il vecchio testo di Anatoly Golitsyn, un alto ufficiale del KGB (10), che defezionò verso gli Stati Uniti. Nel volume si prevedeva tutta la fase del golpe bianco del Primo Direttorato del Servizio verso gran parte del PCUS, l’inizio della perestrojka, la maskirovka (11) dello scontro UnionenSovietica-Cina, e infine la caduta del Muro, per trasformare il controllo della penisola eurasiatica da costoso e “vecchio”, militare e politico, con gli esosissimi Partiti comunisti in Occidente e il Patto di Varsavia da mantenere in un moderno, nuovo, non costoso, anzi redditizio sistema di pressione indiretta sulla NATO; e per attirare (la maskirovka) i capitali occidentali al fine di evitare il fallimento finale del sistema sovietico, una condizione che Putin ha definito nel 2005 “il più grande disastro geopolitico del Ventesimo secolo” (12).

Quindi, tornando al gas naturale, il Cremlino voleva, e ha avuto, South Stream, che va nel Mar Nero fino alla Bulgaria e poi passa i Balcani fino a Trieste, ed è perfettamente controllato dalla securizzazione della Crimea. Inoltre, è riuscito a bloccare Nabucco, dalla Georgia delle rivolte “arancioni” (13) alla Turchia fino all’Austria, che marginalizzava il territorio russo.
Mosca ha già provato la febbre della paura e della dipendenza (oltre che della incompetenza strategica) europea più volte.

Con la guerra russo-georgiana del 2008 ha bloccato di fatto l’entrata del Paese in cui nacque Stalin nella NATO (14). Con il sostegno russo alle “resistenze” antioccidentali in Transnistria, Ossezia del Sud, Magorno-Karabakh (15) ha creato un cuscinetto di instabilità verso la penetrazione dell’Alleanza Atlantica, che non può manomettere quelle aree a meno di una escalation militare immediata e credibile di Mosca. Ha, poi, bloccato l’accordo tra l’Unione Europea e l’Armenia, offrendo a Yerevan (era la “radio” del dissenso sovietico, lo ricordiamo) un posto nella Unione Eurasiatica a direzione russa (16), l’unione economica dei Paesi ex-sovietici in ponte dal 2011 (17).

La Eurasia di Putin, in linea con la geofilosofia di Alexander Dugin (18), coprirà anche la Turchia, che vuole espandersi nella sua direzione neottomana verso Est, perfino la Siria, che vuole presto una unione doganale con Mosca, l’Iran e poi l’India, e farà arrivare il rayonnement geopolitico e economico della Shangai Cooperation Organization, l’anello esterno della sicurezza cinese, verso la metà del Mediterraneo.
Un “doppio anello” per la penetrazione-sottomissione dell’Europa, che è la versione più ampia, geopoliticamente più fine e certamente meno ingenua della vecchia diatriba NATO-Patto di Varsavia, un inutile spreco di risorse, per i russi.
Quindi, ci sarà una nuova “cortina di ferro”, che andrà dal Baltico al Mar Nero (19).
E senza nessuna dottrina efficace dell’Alleanza Atlantica, che non sa più dove si trova, non ha capacità di risposta in guerra economica, che peraltro farebbe divergere gli interessi dei Paesi membri; e non conosce ancora bene quella G4G, la guerra di quarta generazione, dove i confini tra civile e militare sono minimi, le nazioni contano poco, il terrorismo è un mezzo, vi sono scarse gerarchie e la guerra psicologica è al centro della scena (20).

È la lunga fase che si è aperta con l’11 settembre per il mondo arabo, è il ciclo in cui si muove ritmicamente Mosca oggi, è il progetto di penetrazione prima economica e poi strategica (ma per i teorici della guerra senza limiti cinesi non c’è differenza sostanziale) della Cina in Medio Oriente, utilizzando la geopolitica russa a sud, verso il Mediterraneo centrale e l’Africa. Il gioco del go e quello degli scacchi, di cui i russi sono appassionati maestri. La Germania, in questa fase di crisi, perderebbe da un congelamento dei rapporti economici con Mosca 300.000 posti di lavoro con 6.200 aziende chiuse, senza contare l’elevatissima dipendenza energetica.
Le economie deboli dell’Unione Europea meridionale sarebbero travolte dalla chiusura degli investimenti e delle forniture russe, senza contare le certe invasioni di profughi dall’area ucraina, con connessa crisi umanitaria.
Gli Stati Uniti hanno assoluto bisogno della collaborazione russa per chiudere le partite ancora aperte in Afghanistan, Iran, Siria, e nel sistema egiziano-saudita (21).
Non vi sono altri partner disponibili e chiedere un sostegno alla Cina per queste operazioni avrebbe un costo geopolitico e economico, per Washington, distruttivo.
Il gioco sarà a somma zero: se l’Ucraina si stabilizza, malgrado tutto, e se l’ascensione agli estremi non si materializza, per Vladimir Vladimirovic Putin potrebbe essere l’inizio della fine, e il vecchio capo del KGB a Dresda lo sa benissimo.
Si innescherebbe all’interno della Russia l’alleanza di tutti i suoi nemici, che sono molti, e la crisi latente dell’economia postsovietica, che ha bisogno della sua nuova proiezione di potenza a sud come l’Unione Sovietica l’aveva verso l’Europa continentale a ovest e alla “linea di Ravensburg”; mentre i meccanismi associativi tramite il petrolio e il gas si rivolgerebbero oggettivamente
contro Mosca, proprio come accadde con il Comecon (22).

Fra l’altro, la Russia è fortemente dipendente dalle banche occidentali, e una crisi del rublo si diffonderebbe immediatamente nel sistema finanziario europeo. Ma se gli Stati Uniti se ne vanno di fatto dall’Europa, puntando tutto sul sistema del Pacifico per accerchiare la Cina e gestire una futura e maggiore entente cordiale con Pechino (23), Mosca si prenderà parte della Europa del sud e le sue vecchie reti balcaniche, e Washington pagherà un prezzo altissimo anche per le successive mediazioni che chiederà a Pechino (la chiusura della tensione con Taiwan e il Giappone) e a tutto il resto della rete dei BRICs.
Si ridisegneranno, quindi, nuove regionalizzazioni della potenza militare e della geoeconomia, entro l’ormai vacuo maremagnum dell’ormai superata globalizzazione indistinta.

NOTE
(1) Cfr. la traduzione non ufficiale (di Anatoli Pronin) del Trattato di Annessione al link https://www.academia.edu/6481091/A_treaty_on_accession_of_the_Repub l i c _ o f _ C r i m e a _ a n d _ S e b a s t o p o l _ t o _ t h e _ R u s s i a n _ F e d e r a t i o n . _ U n o ff i c i a l _ E n g l i s h _ translation_with_little_commentary?
(2) Cfr. sul tema anche il testo al link http://www.equilibri.net/nuovo/sites/default/files/focus_ivelina_black%20sea.pdf
(3) www.lookoutnews.it 21 Marzo 2014 area search La tecnica staliniana di impressionare gli avversari e gli amici con le realizzazioni ad hoc e di breve durata è descritta da Paul Hollander, Pellegrini Politici, intellettuali occidentali in Unione Sovietica, Cina, Cuba, Bologna,” Il Mulino”, 1988.
(4) Cfr. al link https://csis.org/blog/crimeas-strategic-value-russia

(5) Il P5+1 è formato da Cina, Russia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania. Sull’ultimo stadio della trattativa con Teheran da parte dei Sei, v. http://www. a rm s c o n t ro l . o rg / I m p l e m e n t a t i o n – o f – t h e – J o i n t – P l a n – o f – A c t i o n – A t – A – G l a n c e
(6) Vedi i dati più recenti al link http://www.revenuewatch.org/sites/default/files/country_pdfs/russiaRGI2013.pdf

(7) Vedi al link http://uk.re u t e r s . c o m / a rt i c l e / 2 0 1 4 / 0 2 / 0 7 / l i t h u a n i a – g a z p ro m –
idUKL5N0LC2HU20140207
(8) Cfr. http://www.bruegel.org/nc/blog/detail/article/1283-can-europe-survive-without-russian-gas/
(9) Cfr. Iana Dreyer and Jonas Graetz, After Ukraine: Enhancing Europe’s gas security, CSS, ETH Zuerich, March 2014.
(10) Cfr. A. Golitsyn, New Lies for Old, New Tork, GSG & Associates Pub., 1990.
(11) Per il concetto di maskirovka, un insieme di camuffamenti, operazioni di deception, contro-informazione e finte mosse sul terreno, vedi KP. Keating, Maskirovka, the soviet system of camouflage, US Army Russian Institute, Garmisch, 1981.
(12) Cfr. http://news.bbc.co.uk/2/hi/4480745.stm

(13) Sulle rivolte “arancioni”, che nascono dalle operazioni statunitensi con il movimento OTPOR in Serbia, cfr., mi si scusi la autocitazione, M. Giaconi, Violenza rivoluzionaria e delegittimazione del potere, GNOSIS, “Rivista di intelligence”, AISI; n. 3, 2011.
(14) Vedi http://www. a f c e a . o rg / c o m m i t t e e s / c y b e r / d o c u m e n t s / T h e R u s s o – G e o rgianWar2008.pdf, soprattutto per quanto riguarda la dottrina russa della cyberguerra.