30 Aprile 2024
Poetry

Anna Achmatova: la poesia nella “corsa del tempo”

Di colpo nella casa tutto tace

e l’ultimo papavero è sfiorito,

sono caduta in un lungo sopore,

la prima tenebra mi viene incontro.

 

Il portone è sprangato,

la sera scura, il vento quieto.

Dov’è la gioia, dov’è l’affanno?

dove sei tu, dolce promesso?

 

L’anello misterioso non si trova,

molti giorni ho aspettato e aspettato;

tiepida prigioniera, nel mio petto

una canzone si è spenta.

 

 

Vi sono anni che hanno deciso la sorte di milioni di persone, e non finiranno mai di far parlare di sé, esplorati in lunghe sterminate bibliografie, e anni che scorrono rapidamente nei ricordi personali di chi li ha vissuti, scivolando in posizioni a volte accessorie, come se preparassero eventi più grandi. Il 1917 rientra sicuramente nella prima tipologia; forse, anzi, è tra i più esposti nella storia del Novecento. La Grande Guerra, la Rivoluzione russa, Caporetto, tanto per citare qualche passaggio che si offre al nostro sguardo come una finestra su un panorama continuamente e variamente percorso dagli studiosi, e al cui interno si svolgono le vicende di uomini e donne che a volte lasciarono traccia del loro passaggio, dando un punto di vista originale, non di rado spiazzante (almeno per noi che presumiamo, a distanza, di possederne il senso complessivo), sull’evento che stavano vivendo. È con un sentimento del genere che mi avvicino alla poesia di Anna Achmatova e scelgo, fra tante, la poesia Di colpo nella casa tutto tace, datata appunto 1917, dalla raccolta antologica curata e ottimamente tradotta da Michele Colocci, La corsa del tempo. Liriche e poemi (Einaudi, Torino 1992).

Forse il 1917 non è solo quello che i manuali di storia, nella giusta considerazione dei destini generali dell’umanità, ci ripetono: fu anche, per molti, un anno come tanti, fatto di gesti e parole quotidiane, di speranze e sogni che andavano a comporsi in maniera apparentemente casuale sul drammatico pentagramma della storia. È importante che quanti hanno attraversato quell’anno, e ne hanno lasciato memoria in un taccuino, in un diario o in un libro di poesie, si ricordino di collocare le proprie vicende personali in una cornice più ampia? A pormi il dubbio è proprio la poesia sopra citata dell’Achmatova, scritta nel pieno di avvenimenti epocali, ma affatto priva di ogni riferimento ad essi, come se fosse fatta di un’altra materia che, nella sua purezza lirica, la lancia fuori dalla piccola orbita di una cronologia provvisoria, in una cerchia di anni sufficientemente lontana da garantirne l’incolumità allegorica e, a distanza di tempo, una sua perenne freschezza sorgiva. Siamo sicuri che questa poesia parli solo di una vicenda d’amore conclusa (il tormentato rapporto con il marito Nikolaj Gumilëv), e non anche di una forma di “esistenza mancata”, ovvero di un sentimento della propria inadeguatezza a comprendere quel che stava accadendo intorno a sé, in una coscienza dolorosa di inappartenenza, che si traduce in un registro lirico inteso a chiudersi, di fronte ai dilemmi della storia, nel guscio della sua tradizione? Quella “casa” in cui «tutto tace», «il portone è sprangato», è semplicemente quella in cui la scrittrice abita con il figlio ancora piccolo, mentre intorno infuria la guerra e la rivoluzione, o non è l’allegoria di un desiderio antico di tranquillità e pace, che abita nell’uomo anche quando la storia impone delle scelte decisive per noi e per gli altri? Non è la stessa casa della vita di altri versi come «Lascio la casa bianca e il muto giardino / deserta e luminosa mi sarà la vita»? E che dire della «sera scura» del «vento quieto», in cui oscurità e quiete sembrano creare un’ansia di attesa nell’imminenza di una pace non solo individuale, ma collettiva? E quindi che dire dell’«anello misterioso», simbolo di una circolarità matrimoniale, non spezzata, ma nascosta, o della canzone che si spegne e rimanda, come una sorta di fessura metareferenziale, a qualche canto popolare? Ecco, il paradosso della lingua della poesia è anche questo: che essa parla al di là di se stessa, a volte nonostante se stessa. Così, dopo cento anni, le immagini in cui si era fermato il breve sogno di un amore deserto, sembrano stagliarsi in una prospettiva decisamente nuova, aprendosi a una lettura più profonda che scopre in quelle parole le suggestioni di una situazione storica retrocessa (ma non rimossa) sullo sfondo.

Probabilmente siamo davanti a un passaggio nodale della stessa poetica dell’Achmatova, la quale assiste, nel suo piccolo, al vano sforzo di una trasformazione strutturale della cultura di un popolo, che negli intenti del Proletkult di Bogdanov, presto naufragati, sarebbe dovuto diventare da oggetto a soggetto di una rivoluzione purtroppo sempre più aggiogata agli intrichi di potere del partito unico di Stalin. La Achmatova, già protagonista della grande stagione delle avanguardie europee con il movimento dell’“acmeismo”, continuerà a lavorare in solitudine sulla sua opera, ai margini del corso degli eventi storici (che non finiranno certo di colpirla: il marito fucilato, il figlio deportato nel gulag, lei espulsa dall’unione degli scrittori per estetismo e disfattismo), per farsi testimone, nell’intimo, di una condizione crepuscolare, che non si traduce in fuga, tanto meno in rassegnato minimalismo, di fronte alle ineluttabili conseguenze di una utopia tradita.

 

Salvatore Ritrovato

Salvatore Ritrovato (1967), poeta, critico, docente di letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università di Urbino. Fra le sue ultime pubblicazioni, la nuova edizione di La differenza della poesia (Puntoacapo, 2017), e la breve raccolta di versi, Cercando l’isola (Fiorina edizioni, 2017).