27 Luglio 2024
Words

2 Mattei dicono di aver vinto…

I due Mattei. Renzi e Salvini. Tanti ne hanno parlato, tanti li hanno messi a confronto trovando molte analogie. Eccoli qua.

Non conosco Matteo Renzi, ma è come se l’avessi conosciuto da sempre. È il classico toscanello di paese che dal tavolino del bar (Arci o preti è uguale) pontifica su tutto. “Gnene direi io, a ‘i Trumpe, ‘ome si fa con la Cina!” oppure “macché bancadithalia, lo so io ‘ome si fa la riforma delle tasse”!
Nessuno lo scalfirà mai in questo suo egotismo a buon mercato, né i tecnici veri né tutti gli altri. In fondo, questo è proprio il brodo di coltura iniziale del grillismo, uno uguale a uno, solo che il mio uno è incomparabile con tutti gli altri “uni”. È il mito democratico che ha prodotto quella che un filosofo tedesco a me molto caro chiamava “la boria della plebe”. Infatti, quando Renzi era presidente del consiglio, mi raccontarono che, durante la sua visita in Cina, nel settembre 2014, con il sostegno fortissimo del povero Cesare Romiti, e senza di lui sarebbero stati dolori, i dossier italiani sulla dirigenza di Pechino erano rimasti del tutto intonsi, mentre quelli cinesi su di noi sembravano appunti di anatomia. Avevano l’apparenza di libri. Casomai ci fosse da studiare. Anche un Bignami sarebbe faticoso, per questi qua.
Renzi era noto, tra i dirigenti dello Stato, che lui trattava malissimo (e poi si sono vendicati) per fare le slides di leggi che non erano state ancora scritte, talvolta nemmeno pensate. Modernità d’accatto, e voglia di prendere in giro, come al suddetto bar di paese. È contento di quel che sa, il Matteo Universale, ovvero nulla, ma galleggia tra giornali e (poche) riviste. Quando Renzi andò in visita in Tunisia, assiso nel suo costosissimo Air Ribollita One, per imitare il suo “amico” Baracche Obama, l’unica cosa che lesse (non furono le relazioni dei nostri servizi) fu il fascicolo di una rivista d’intelligence, dove c’era un mio saggetto tunisino.

Per l’altro Matteo milanese mi si dice che, costretto a recitare il Padre Nostro, non lo seppe fino in fondo. Ecco, boria immensa, certo, ma niente su cui poggiarla davvero.
In qualsiasi professione o mestiere seri sarebbero stato rapidamente messo ai margini, ma la politica italiana è esattamente il refugium peccatorum di tutti quelli che credono di essere tutto essendo nulla. Quest’altro Matteo, il Salvini, è nato nel 1973. L’anno in cui il Regno Unito diventa membro della CEE, ironia della sorte, della fine della guerra del Vietnam, oppure della fondazione, sul fronte, diciamo così, “autonomista”, del Fronte Polisario, nel deserto marocchino. Solo che il Frente sparava davvero, non erano le decine di migliaia di leghisti armati previsti da Bossi. Studi sgangherati, a parte una maturità classica. Per il Matteo toscano, invece, la solita laurea in legge che ormai te la tirano dietro.
Mi ricordo che quando Giorgio Bassani voleva davvero offendere qualcuno, lui che era fin troppo beneducato, diceva che “non ha fatto studi regolari”.

Tratto comune tra i due Mattei è comunque una scarsissima formazione, nessun interesse culturale serio, nessun lavoro serio. Il Renzi va a fare il dirigente delle strane società di suo padre, il Salvini, dopo aver tentato di studiare, va a fare il giornalista a “Radio Padania”. Nessuna esperienza del mondo reale, quindi, ma un lavoretto che deriva dalla protezione di qualcuno. Quando Garibaldi parlava da Caprera, diceva sempre che occorreva “studiare bene chi fossero i candidati” ma gli italiani attuali, modellatisi sulla plebaglia dei B movies sottoproletari e romaneschi, o delle curve calcistiche, forse nemmeno sanno chi era il condottiero dei “Mille”.
La desertificazione culturale è il cancro che distruggerà definitivamente questo Paese. E vale anche per le classi dirigenti, che escono da università che sono il fantasma di ciò che furono. La politica è sempre ridotta a pollaio, dai due Mattei: tutto un gioco di ripicche e accordi personali, mentre si produce un fumo di chiacchiere derivante dal giornalese: “fare la riforma del fisco”, ma quale? Non lo sanno.

L’Italia è stata espulsa dal Mediterraneo, e che ti dicono questi qua? “saremo operatori di pace”. Banalità e retorica fuse insieme, mentre si pensa solo a una cosa, la sola a cui pensasse anche il cav. Mussolini: “durare”. E anche farsi vedere. Il pathos narcisistico è, appunto, patologico.
Certo, la crisi economica durissima, che non sarà – ve lo dico prima – attenuata dal Recovery Fund (fund e non found! – maledetti angloprivi) la paura del virus che si chiama come una birra, la crisi occupazionale, la caduta dei redditi e dei risparmi, favorita da quei cretini della cashless society, tutto farà sì che si cominci a scegliere gente più seria.
Ma i bravi sono schivi, parlano poco, studiano, magari usano parole difficili (ormai tutte, meno che il grugnito) non sono simpatici e sono élites, quelle vere, non quelle di plastica dei politicanti. Quindi, non credo che l’elettorato uscirà molto dai canali consueti, o lo stile, si fa per dire, dei due Mattei o l’uno vale uno dei bibitari del San Paolo. La gente vota le schifezze perché è schifosa.