2 Maggio 2024
Different

Il virus non è una partita di rugby

Dobbiamo tutti cercare di superare le nostre aspettative.
Beh, questa è una bella frase. La coglie in bocca a Nelson Mandela, in un film, Clint Eastwood. Dobbiamo. Tutti. Cercare. Superare. Le nostre aspettative. Quante cose. In quel che “Invictus” racconta c’è l’esito di una partita: il Sudafrica batte la fortissima Nuova Zelanda e conquista nel 1995 la coppa del mondo di Rugby. Oltre le migliori aspettative. La squadra di rugby fino ad ieri odiata dalla maggioranza nera, composta da giocatori bianchi – tutti meno uno: Chester Williams – in un solo anno si trasforma nel segno forte di una nazione, di un popolo, bianchi o neri che siano. Il film è bellissimo ma la storia e gli uomini che racconta superano tutte le aspettative: la sfida andava colta e coglierla portava al risultato. Ma come sappiamo una bella lezione resta nelle pagine di un racconto, nell’emozione di un ricordo, riaffiora, scompare. Al massimo ognuno la tiene per se. L’ambizione.
Ogni giorno lasciamo che centinaia di nostri vicini cadano falciati dalla pandemia. Ogni giorno subiamo i segni di un impoverimento aggressivo: descritti per cerchi come categorie ognuno racconta il disagio, il pericolo, il diritto. Non basta. Non saranno mai sufficienti le misure a sostegno. Come si dice: necessarie ma non sufficienti. La forza micidiale del nemico è il rapporto sinergico tra il Covid e le sue varianti e il degrado della qualità della vita di ognuno. Fermi, isolati, incerti, a rischio e soprattutto ogni giorno più poveri.
I destinatari, cioè tutti meno i vaccinati, da oggetto possono diventare soggetto? Inebetiti dalle statistiche, increduli nelle visite al sito per la prenotazione troppo spesso rosso, fermo, muto. Aspettative frustrate. È così che hanno il sopravvento i dettagli, le anse, le orme, il vuoto. Tutto contrappuntato dalla cattiva fama di AstraZeneca che oltre a tradire le attese, come la cipolla torna a gola. Come non bastasse ora si aggiunge l’incertezza su Johonson & Johonson. Quindi mi pare urgente e improbabile il ritorno a qualcosa: fiducia ?
Aiuterebbe vedere prendere corpo la rete dei facilitatori capace di superare le nostre aspettative. Noi, come tutti gli altri, vorremmo uscirne in qualche modo ma uscirne, passare oltre, passare ad altro. Sono così tante le vite che possiamo ancora trascorrere insieme.
Il pensiero più pesante da sopportare è quello di restare sospesi tra l’attesa del vaccino e la minaccia di una pandemia ancora virulenta. Ogni giorno migliaia di contagi, centinaia di vittime. In Europa si è superato il milione di morti. Un guaio che non risolveremo indugiando su quelle che possono apparire ragioni, giudizi, pretese e pretesti. La recriminazione ha altre stagioni, forse. Quel che occorre ora è il coraggio e la determinazione. Non si mette in discussione il risultato, si persegue. Tutti gli strumenti possono costituire l’opportunità da attrezzare, da cogliere. Ricordate Dunkerque? La salvezza non è negoziabile. Come, quando, a quale costo è conseguenza della determinazione e della capacità. La rete di antenne che avvicinino, garantiscano, accompagnino ed infine diano conto è quello che serve ora. Come allora la flotta spontanea e solidale di ogni natante disponibile sottrasse alla morte circa 400.000 soldati. Agirono obbedendo e provvedendo. Subito. Ma è sul questo subito che ora cade l’asino. Da un lato ci sono i vecchi veri, in carne ed ossa, che trascorrono le ore con quel che si sente in giro, con quel che riferiscono i vicini, i nipoti, la compagna di una vita, dall’altro chi, persino a ragione, li rappresenta con la migliore intenzione. Forse avremmo dovuto dirne meno e farle meglio. Comunque staremo a vedere. Ho paura si tratti di un film in quattro tempi. Già si parla di una Serie Netflix: quella volta che presero ad uscire in fila per uno e in ordine sparso.