27 Luglio 2024
Words

Navalny muore?

Sembra che i media internazionali stiano parlando di una morte promessa. Dopo 20 giorni di sciopero della fame, la salute di Alexei Navalny – principale oppositore politico di Putin – sarebbe “appesa a un filo”. Il dissidente russo, 44 anni, aveva subìto un tentato avvelenamento con Novichok in agosto. Tornato in patria a gennaio era stato immediatamente arrestato. Ora è in ospedale.
E mentre Mosca minimizza (“sta solo cercando di attirare l’attenzione”) gli Usa avvertono che se Navalny muore “ci saranno conseguenze” e la Germania definisce Mosca una “minaccia diretta per la sicurezza europea”.

Quando basta un dissidente
Al Cremlino si considera ormai Navalny un problema di sicurezza nazionale. E dire che, almeno dalla fine delle grandi manifestazioni di piazza del 2011-2013 in cui aveva avuto un ruolo centrale, fino a poco tempo fa Navalny era considerato una “minaccia minore”. E tale sarebbe potuta restare se Putin non avesse contribuito a farne un simbolo del malcontento e, nell’ultimo anno, un eroe internazionale. Insomma, forse la più grande insidia alla stabilità di Putin negli ultimi vent’anni è frutto di una “creazione” interna.
Segnale di debolezza o un modus operandi già visto? Mosca non è nuova a prendere di mira dissidenti e oppositori anche in fasi di ascesa economica e geopolitica, dal caso Politkovskaya (2004) a Skripal (2018). Ma oggi il caso giunge in un momento in cui le tensioni internazionali sono alle stelle.

La patata bollente di Putin
Navalny non è l’unica “gatta da pelare” nei rapporti Russia-Occidente. Oltre alle interferenze politiche denunciate da Washington si sta riaccendendo l’attenzione anche sull’Ucraina, dove dopo l’annessione della Crimea gli scontri non sono mai veramente finiti e oggi rischiano seriamente di esplodere. Riportando così (guarda caso) la Russia al centro della scena: tanto da spingere Biden a definire il paese una “grande potenza” (dopo che Obama, nel 2014 e proprio a seguito dell’annessione della Crimea, l’aveva declassato a “potenza regionale”) e a rilanciare il dialogo bilaterale.
Un dialogo che, se l’affaire Navalny dovesse finir male, si complicherebbe assai. Se c’è infatti una cosa che può compromettere le prove di disgelo è proprio un caso internazionale di questa portata. Anche per questo è legittimo chiedersi se, su Navalny, Mosca abbia calcolato bene le proprie mosse.

[a cura di ISPI]