20 Aprile 2024
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Economia russa a gonfie vele

Una finestra sull’economia russa dopo cento giorni di guerra la offre, sorprendentemente, un documento del 1944: la deposizione dell’ex governatore della Banca d’Italia Vincenzo Azzolini al processo di epurazione a suo carico nella Roma liberata dal nazifascismo. Azzolini, en passant, rivela una pratica dell’Italia mussoliniana che la Russia di Vladimir Putin ha tutti i motivi (e i mezzi) per replicare. Il ministero degli Scambi e Valute — dice il banchiere del duce — aveva costituito fondi neri in dollari «nonostante il divieto che faceva l’America di far utilizzare questi biglietti dai Paesi ostili».

È esattamente la domanda che si pone oggi per la Russia, visto che l’Europa e gli Stati Uniti le vietano di toccare gli euro e i dollari che riceve per l’energia venduta in Occidente a caro prezzo. Quali strade prende il tesoro di Mosca? Le banche russe libere dalle sanzioni in gran parte non applicano gli standard di contabilità internazionali (Ifrs), dunque sarebbero in grado di gestire fondi neri in valuta estera. E Catherine Belton ne «Gli uomini di Putin» (La Nave di Teseo) documenta come questa pratica sia corrente nella Russia di Putin.

In mancanza di prove però non restano che i dati dei conti pubblici, in sé ricchi di sorprese. Il ministero delle Finanze di Mosca rende nota fin qui l’esecuzione del bilancio nei primi quattro mesi dell’anno, inclusi i primi due mesi di guerra e di sanzioni. Non sembrano affatto i numeri di un’economia che, secondo il Fondo monetario internazionale, nel 2022 si ridurrà di quasi un decimo. Solo nei primi quattro mesi dell’anno le entrate del bilancio russo aumentano del 34% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, dell’equivalente di 43,8 miliardi di euro (il 3,3% del prodotto lordo del Paese). Se si riportasse il fenomeno alla taglia dell’economia italiana, è come se già in primavera il governo di Roma si trovasse con quello che da noi viene chiamato un «tesoretto» da 60 miliardi.

La chiave è alla riga 12 del foglio excel presente sul sito del ministero delle Finanze di Mosca, relativo alle «informazioni operative sul volume delle entrate»: quella sul gettito da petrolio e gas (in gran parte, tasse sull’estrazione e prelievi sull’export). Nei primi quattro mesi del 2022 questa voce cresce del 90% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, con un balzo sul 2021 equivalente a 27 miliardi di euro. Se Mosca riuscisse a mantenere lo stesso ritmo durante tutto il bilancio in corso — ipotesi non irrealistica, dato l’impatto ritardato delle sanzioni europee sul petrolio — le entrate in più basterebbero a finanziare quasi tutta la spesa militare e dell’apparato repressivo da circa 100 miliardi di euro per il 2023. Anche nel caso di un embargo totale di tutti i Paesi del mondo sull’energia russa dal gennaio prossimo. Grazie al gas e al petrolio rincarati a causa della sua stessa guerra, in altri termini, Putin oggi ha molti mezzi in più. «L’Europa sta pagando per la nostra morte», commenta la deputata ucraina Yulia Klymenko.

In realtà per ora sembra buona anche l’esecuzione delle entrate pubbliche slegate dall’energia, che pesano per circa metà del bilancio. Anche quelle ad aprile sono in crescita annua, del 5,4%. È plausibile che nella seconda parte dell’anno arrivi una frenata, ma già ora questo tesoro equivalente a molte decine di miliardi di euro offre a Putin nuove carte da giocare. In primo luogo diventa facilmente sostenibile una spesa militare che, fra esercito e apparati di sicurezza, solo nel 2022 è cresciuta del 12,7% e impegna 27 euro ogni cento spesi dal governo. Ma il tesoretto di Putin dà anche altri dividendi, inclusi quelli per mantenere il consenso sociale: in primavera il dittatore ha potuto far approvare un bonus una tantum equivalente a sette miliardi di euro per famiglie con figli fra gli otto e i 16 anni e un adeguamento delle pensioni all’inflazione da 25 miliardi di euro per quest’anno e il 2023.

Anche iniziare a pagare sussidi e pensioni nei territori ucraini occupati, come a Kherson, sta diventando agevole. Ma le entrate da energia offerte dall’Europa danno anche un’altra opzione, secondo l’ex funzionaria della Banca di Russia e attuale collaboratrice del Carnegie Endowment for International Peace Alexandra Prokopenko: fa sì che sia Mosca la prima a muovere, tagliando il gas e il petrolio ai Paesi europei per ritorsione dopo le sanzioni già approvate a Bruxelles. Prokopenko stima che le risorse di bilancio già accumulate permetterebbero a Putin di resistere. «La probabilità che sia Mosca a fare la prima mossa sta aumentando», sostiene l’analista.

[di Federico Fubini – tratto da Corriere della Sera]