27 Luglio 2024
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La storia manomessa e negata

La memoria ha i suoi tempi. Entrambe le cose — memoria e tempo — , si possono manipolare, manomettere, trasformare. A maggior ragione dopo una “sconfitta”. La Grande Sconfitta, da qualcuno mai digerita, del 25 aprile 1945. In questo processo revanscista di rewriting, anche la storia, insieme alla memoria, diventa materia plasmabile. Non occorre essere campioni di revisionismo: basta muoversi dentro il cavallo di Troia della democrazia, coperti dal mantello dei diritti che essa garantisce, ed ecco che la verità storica è piegabile alla propaganda.

In un anno e mezzo di governo-Meloni la destra e il partito di maggioranza relativa hanno portato a compimento il più duro attacco politico e “ideologico” mai mosso, dal Dopoguerra ad oggi, ai fianchi della Memoria; la memoria di chi ha dato la vita per liberare l’Italia dal nazifascismo e restituirci l’aria tolta dal regime di Mussolini. L’operazione condotta dal melonismo bifronte — postura neoconservatrice e insieme mantenimento della matrice identitaria di una comunità politica che da settantotto anni si tramanda il simbolo della fiamma che arde dalla tomba di Mussolini e che, ad eccezione di Forza Nuova, è stato utilizzato da tutti i partiti neofascisti e post fascisti — appare come un combinato di revisione storica e di omissione sul ventennio fascista. Così come sul neofascismo degli anni ’70. Le note ambiguità, ogni volta rilanciate come successo l’ultimo 25 aprile che ha confermato l’indisponibilità a dirsi antifascisti; gli affondi mirati, l’esaltazione dei “nostri morti” — formula cara anche ai gruppi di ultradestra; modifiche e atti legislativi, toponomastica; il tutto all’insegna della surreale equiparazione tra fascisti e comunisti italiani, i repubblichini al servizio dei nazisti e i partigiani, e dunque boia e vittime, Salò e Resistenza. Obiettivo: slavare la Memoria, spiantare l’antifascismo. Ovvero sradicare la radice della nostra democrazia e della Costituzione.

Un “cambio di narrazione” previsto. Finanche annunciato dalla premier Meloni quando ancora non era a palazzo Chigi e già prometteva. «Sogno una nazione nella quale le persone che hanno dovuto abbassare la testa per tanti anni, facendo magari finta che la pensavano in maniera diversa, sennò sarebbero stati tutti cacciati, possano dire come la pensano e non perdere il posto di lavoro per questo». E ancora, sempre Meloni: «Noi non tradiremo». Già. Sfrecciando su un terreno già arato dall’afascismo di altri — prima Berlusconi, quindi il più estremista Salvini — , il gruppo dirigente post-fascista del partito locomotiva della destra ha messo la marcia a tutta dritta. Lo stesso hanno fatto, a cascata, le organizzazioni giovanili.

Per avere conferma di questa azione erosiva della memoria non c’era bisogno di attendere l’ultimo dribbling di Giorgia Meloni che ha furbescamente sbrigato la pratica 25 aprile senza dispiacere ai suoi. Né occorreva registrare la scomposta polemica contro gli “antifa” uscita dal cilindro nero di Lollobrigida, quello del monumento al maresciallo Graziani e del mito della “sostituzione” diffuso tra suprematisti e neonazi. Scontate anche le sgrammaticature equiparazioniste su «anticomunismo» e «dittatura comunista in Italia» (quale?, quando?) di Sangiuliano seguito a ruota dal collega leghista Valditara («fascista è oggi una certa estrema sinistra»). Ci ha pensato Mattarella a richiamare — chissà con quale esito — i revisionisti al «dovere dell’antifascismo».

E però va detto era già tutto scritto. Se questa destra affamata di rivalsa nel 2024 emette un francobollo dedicato a Giovanni Gentile che il ministro Urso accosta a Matteotti in forza di «una memoria collettiva da ricomporre», non è solo perché fingono di non ricordare che il filosofo e ministro della Pubblica istruzione del governo fascista — oltre a ideare il Manifesto degli intellettuali fascisti — , giurò fedeltà al regime, aderì alla Rsi e fu ammiratore di Hitler. Lo fanno perché c’è un filo nero da seguire. Una linea. È la direzione indicata anche ai baby-meloniani. Eccolo dunque, Giovanni Gentile. La foto su una parete nel video con cui il responsabile del circolo di Gioventù Nazionale di Mazara del Vallo mostra pochi giorni fa la nuova sede. Il “filosofo idealista” è una delle figurine di arredo. In buona compagnia. C’è Evola, c’è il picchiatore missino Grilz e un altro santino più impegnativo, Ernst Junger in divisa nazista della Wehrmacht. I famosi “cambi di narrazione”.

La melodia del «non restaurare, non rinnegare», ché poi qua e là un po’ di restaurazione, se si pensa a cos’erano il Msi e Colle Oppio, la si vede. Il punto è che, a colpi di contro-racconto, la memoria repubblicana antifascista l’hanno messa nel mirino. Prima e dopo il giuramento al Quirinale del 22 ottobre 2022. Esempi. Il 9 marzo 2022 il Comune di Orbetello intitola l’ex idroscalo all’aviatore e gerarca Italo Balbo, uno dei quadrumviri della marcia su Roma. Cinque giorni dopo si scopre che a Balbo è intitolato l’Airbus blu dell’Aeronautica che fa volare le alte cariche dello Stato nato dall’antifascismo. Clamore. Il nome di Balbo viene rimosso e sulle chat di FdI montano le proteste. “Chi vola vale!” scrivono citandolo. Miti da onorare. Grosseto, Massa Carrara, Pescara, Gioia del Colle, Teramo, Sant’Anastasia. Sono solo alcuni dei Comuni che, con la destra al governo, hanno sentito l’urgenza di avere almeno una strada o una piazza o una rotonda dedicata a Giorgio Almirante. Il segretario di redazione della Difesa della razza, fucilatore di partigiani e collaborazionista dei nazisti.

Laddove ci si mettono di traverso quei rompiscatole degli antifascisti la destra usa l’escamotage subdolo e peloso delle soluzioni “pacificatrici”. A Grosseto alla fine delle polemiche è saltata fuori via della Pacificazione: una strada a Almirante e una a Berlinguer. Con il melonismo le commissioni toponomastiche hanno un gran daffare. Perché si sa, la storia la (ri)disegnano anche le targhe sull’asfalto. A Lucca ci sono voluti mesi, e una vergogna nazionale, prima che la giunta ostaggio di una destra estrema rinunciasse alla pregiudiziale contro l’intitolazione di una strada a Sandro Pertini. L’altro giorno, festa della Liberazione, quegli stessi assessori neri sono usciti dai radar per 24 ore. La titolare FdI all’Istruzione Simona Testaferrata non ha partecipato a iniziative e come lei anche i consiglieri comunali del partito. Se le «radici non gelano» — cit. Isabella Rauti in ricordo del Msi fondato da fascisti e repubblichini — quelle della Repubblica chissene importa. «Il 25 aprile festeggio San Marco».

A dare nuova linfa all’anti-antifascismo fu, nel 2021, con un cartello, una certa Rachele Mussolini. Idem Tommaso Foti, oggi capogruppo dei “patrioti” alla Camera. «Neanch’io festeggio il 25 aprile!», fece eco La Russa che nel 2020 propose di intitolare il 25 aprile ai «caduti di tutte le guerre» esortando a intonare la canzone del Piave. L’anno scorso, da presidente del Senato, ribadì: «La parola antifascismo non è in Costituzione». Quando non spara a palle incatenate la destra usa il fioretto delle mozioni. Strumentalizzando celebrazioni e doverosi ricordi. Prima in Friuli-Venezia Giulia e poi in Veneto FdI ha fatto approvare in consiglio regionale la sospensione di contributi a associazioni che «si macchiano di riduzionismo o negazionismo sulle foibe». Il nemico non dichiarato erano e sono la ricerca e la divulgazione sugli eccidi nazifascisti. «Sotto le insegne dell’Anpi si nascondo i crimini del comunismo», ringhiano i colonnelli veneti di Meloni. Di che stupirsi in fondo se, nel 2021, l’assessora regionale Elena Donazzan decide di celebrare la Liberazione alla foiba Buso de la Spaluga, sul monte Corno, dove furono uccisi 14 soldati nazisti. Lontani dal verdetto della storia, lontani dall’aula. Da poco il consiglio comunale di Vicenza ha reintrodotto dopo 8 anni la clausola antifascista per la concessione di aree e luoghi pubblici: i meloniani sono usciti dalla sala consigliare. C’erano tutti invece, il 20 agosto 2022, nel circolo FdI di Velletri inaugurato qualche anno prima dalla Lady M. Appeso al muro spicca il vessillo del Msi intitolato al gerarca Ettore Muti, segretario del PNF nel periodo delle leggi razziali. “L’uomo userà la velocità, non il contrario!” dicevano i futuristi. Velocemente, nel solco del “non restaurare non rinnegare”, era tornato persino Marcello De Angelis, ex terrorista di Terza Posizione, amico di Giorgia e autore del brano ‘Claretta e Ben’. Quando si sono accorti che era troppo l’hanno dovuto lasciare a casa. Per compensare l’album di famiglia un mese fa Lollobrigida ha assunto come portavoce Paolo Signorelli jr, nipote del cofondatore di Ordine Nuovo. E sì, la memoria ha i suoi tempi.

[di Paolo Berizzi – tratto da La Repubblica]