6 Dicembre 2024
Words

L’oro torna di moda…

Oggi tutte (o quasi) le banche di emissione, stanno comprando oro. La banca centrale russa, per esempio, nel 2018 ha già comprato 230 tonnellate d’oro, sommatesi poi alle 224t. già acquistate nell’anno precedente e alle 199t. del 2016 e perfino alle ulteriori 208 tonnellate acquisite nel 2015. Per un totale, prevedibile, di oro russo di 2037 tonnellate.

 

Cina e Mosca

La Banca di emissione polacca ha comprato anche lei molto oro, cioè 13,7t. La Cina, oggi, arriva a 1400 tonnellate di oro già nei depositi della Banca Popolare Cinese, quella di emissione. Che non è la Bank of China, puramente commerciale. Ovvio, qui si tratta di far diventare lo yuan-renmimbi una grande valuta mondiale, contro il dollaro e scontando la definitiva sconfitta dell’euro. Che non viene letto, giustamente, dai mercati come Prestatore di Ultima Istanza, quindi viene lasciato ai margini.

In questo momento storico Mosca compra comunque oro perché, come afferma il vice-presidente della sua Banca di emissione, Dimitri Tulin, “l’oro è una garanzia al 100% contro tutti i rischi legali e finanziari”. Poi, magari i russi pensano anche, come oggi i cinesi, a un futuro “rublo-oro”, che possa far uscire i loro idrocarburi dal circuito del dollaro. Senza quindi pagare le oscillazioni, spesso onerose, del foglio verde e senza il costo di acquisizione della divisa americana. Sappiamo cosa è successo, però, a Gheddafi quando ha pensato al suo “dinaro-oro”, per uscire dal dollaro e dal franco CFA… Certe monete fanno male alla salute. E ve la ricordate la pistola, guarda caso dorata, che fu – si dice – utilizzata per uccidere “il tiranno” libico?

 

Oro unica sicurezza

Soprattutto oggi l’oro è, in primo luogo, una sicurezza molto credibile, forse l’unica, contro le oscillazioni del dollaro. O contro il dollaro tout court più esattamente. I russi, guarda ancora il caso, hanno iniziato a comprare oro proprio quando abbandonavano buona parte delle loro quote di investimento negli Usa.

E ancora oggi, dopo la fine del gold standard decisa da Nixon nel ferragosto del 1971, ovvero del rapporto fisso tra 44 monete primarie con il dollaro e tra quest’ultimo e l’oro; anche lo scambio tra la moneta Usa e il metallo prezioso è, sostanzialmente, ancora quello degli accordi del Mount Washington Hotel di Bretton Woods, quelli del 1944: si torna ai santi vecchi quindi. Fu lì che il delegato americano Harry Dexter White accusò John Maynard Keynes di essere uno “che piscia acqua di colonia”, mentre il Lord gli rispondeva che “l’oro è un residuo tribale”.

Keynes pensava infatti a una nuova moneta universale, il bancor, non a un dollaro che diventava l’architrave del sistema post-bellico. Ma la Gran Bretagna era sopravvissuta, e anche molto male, solo e unicamente con i prestiti Usa e canadesi e, quindi, Washington chiese indietro sia l’area commerciale del commonwealth che i tutti soldi, e anche piuttosto rapidamente. L’Anglo-American Loan Agreement è iniziato il 15 luglio 1946 con 57 miliardi di Usd (a valore 2005) e è cessato, con un interesse al 2%, nel 2006.

Ma è sempre privilegio dei vincitori imporre la loro moneta, dai fenici ai tedeschi del Terzo Reich. Moneta è sempre Imperium. Ed è bene ricordarlo: ai tempi di Bretton Woods gli Usa avevano più della metà dell’oro monetato disponibile al mondo.

 

L’oro dell’Italia

La nostra Banca di emissione ci dice oggi di possedere 2452 tonnellate di oro, siamo quindi, per riserve, il quarto Paese al mondo. Gioacchino Rossini e il suo “Barbiere di Siviglia” ci hanno aiutato: all’idea di quel metallo, portentoso, onnipossente, un vulcano la mia mente incomincia a diventar!

2452 tonnellate con 95.493 lingotti e, per il rimanente, da monete. Quarti dopo Usa, Germania e Fondo Monetario Internazionale. Ma il fatto che l’oro sia in Bankitalia non ci deve far pensare che il nobil metallo sia di proprietà del famosissimo “popolo”. Vendita o acquisto dell’oro in Bankitalia possono essere giustificati per motivi finanziari, l’oro può anche essere dato in deposito per ricavarne un reddito, può ovviamente essere dato in garanzia. Niente di più. Il “residuo tribale” è anche piuttosto sacro. Come accadde nel 1974 per buona parte del nostro oro, proprio come prestito a garanzia, quando 650 tonnellate partirono verso la Germania, perché Bonn ci aveva concesso un prestito per tirare avanti. L’oro italiano partì, 650t. appunto, con il controllo dei nostri Servizi, nascosto in casse ricoperte dai residui ferrosi della Fiat.

Tre anni dopo, nel 1977 il criminale nazista Herbert Kappler (colui che aveva materialmente portato l’oro di Bankitalia a Berlino, 120 tonnellate) scappò dall’ospedale del Celio, senza alcun rumore. O meglio senza alcun Rumor. Al ritorno di quell’oro asportato dai nazisti ne mancarono ben 29 tonnellate e Schmidt, il cancelliere socialdemocratico tedesco, ci ammorbava, anche durante le trattative finanziarie, con la richiesta di liberazione per Herbert Kappler.

L’accordo tra Schmidt e Rumor era, in sostanza, che la banca tedesca di emissione avrebbe messo a disposizione, per un biennio, con un interesse pari a quello dei titoli di Stato Usa al momento, due miliardi di dollari, detenuti nelle riserve tedesche. L’Italia non ce l’avrebbe fatta a rientrare dal debito, che fu rinegoziato, ma intanto gli interessi statunitensi volavano…

E ora ci risiamo. Una proposta di legge la n. 1064 del 6 agosto 2018, propone che la “proprietà delle riserve auree sia dello Stato italiano”. I politici non si fidano di Bankitalia? Senz’altro, ma se non c’è una nettissima e assoluta separazione tra autorità politica e chi appone la garanzia sui titoli del debito pubblico, i nostri BOT e CCT non ce li compreranno nemmeno nello Zimbabwe.

Perlatro, l’art. 123 del Trattato UE certifica che l’oro non può far parte del finanziamento monetario, perché esso fa parte unicamente di un baluardo contro le crisi valutarie, e serve per rafforzare la fiducia nei sistemi finanziari ai quali apparteniamo. L’oro, si afferma nel testo di legge che abbiamo citato, “è gestito e detenuto dalla Banca d’Italia, ma non posseduto”. Intanto, la banca di emissione italiana, come tutte le altre europee, è comunque un istituto di diritto pubblico. Ma gli azionisti di Banca d’Italia sono le 124 banche che potete trovare a questo link https://www.bancaditalia.it/chi-siamo/funzioni-governance/partecipanti-capitale/Partecipanti.pdf.

E ancora, l’art. 127 del trattato UE attribuisce alla BCE di Francoforte di “detenere e gestire le riserve ufficiali dei Paesi aderenti all’Eurozona”. Comunque facciamo un gioco: diciamo che i trattati si “superano” sempre e il Governo del cambiamento (e dell’incompetenza, termine più adatto) possa vendere tutto o in parte l’oro di Bankitalia. Bene, mai notizia volerebbe più velocemente, destabilizzando il valore dei titoli del nostro debito e mettendo in forte crisi perfino il valore del nostro Euro che verrebbe oggettivamente deprezzato. Una inflazione interna, con la stessa moneta “ufficiale” degli altri, ma che si svaluta anche con l’Euro “del Nord”. Un disastro.

Ad oggi le le nostre riserve auree valgono circa 90 miliardi. Ottimo per chi sta cercando di salvarsi dalle clausole UE sull’IVA… Che però scatteranno, certamente scatteranno. Queste sono le reazioni ad un governo che agisce guidato da un pensiero piccolo.

Poi un mistero certamente doloroso è quello che riguarda i contratti derivati che questo governo, come i suoi predecessori, ha firmato. A quanto ammontano? Qual è il loro coefficiente di rischio? Nessuno ci dice niente. E se nessuno ci dice niente io temo il peggio.

L’oro di Palazzo Koch, con tutti i suoi affreschi esoterici, aveva già svegliato gli appetiti di Tommaso Padoa Schioppa, e poi nel 2009 di Tremonti, che tentò di tassare le plusvalenze dei depositi aurei di Bankitalia, ovviamente senza riuscirci.

Nel 2011, Trichet, l’uomo che davvero distrusse la Grecia, e Alberto Quadrio Curzio, proposero invece la costituzione di un Fondo Finanziario Europeo, con le riserve auree dei vari Paesi dell’Eurozona, per abbattere il debito pubblico. Con i mulini da vento Don Chisciotte avrebbe fatto prima. È curiosa l’idea di usare la gallina oggi per distruggere ogni uovo domani.

Pensate che quando si costituì la Banca Centrale del Regno d’Italia, nel 1893, c’erano 78 tonnellate di oro fino a disposizione, ma nel 1926 (quando la Banca Centrale diventa l’unico istituto di emissione) l’oro era già a 70 tonnellate, quasi tutte provenienti dal Sud – dato che spiega molto Risorgimento. Nel 1979, fu poi trasferito al FECom (Fondo Europeo di Cooperazione Monetaria) il 20% di tutte le riserve auree dell’Eurozona – evidentemente Prodi e Quadrio Curzio non ne erano stati ancora informati…

Ecco, sarebbe bene fermare presto questi politici pazzi che, con i 90 miliardi dell’oro di Bankitalia, vorrebbero guarire la febbre prodotta dai loro governi, ma non certo il tumore finanziario del nostro Paese.