24 Aprile 2024
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Salvatore Veca, Il senso della possibilità. Sei lezioni, Feltrinelli, Milano 2018

Questo libro è «Una ricerca sul senso della possibilità entro il quadro di un’interpretazione filosofica della modalità». Salvatore Veca scrive questo Il senso della possibilità. Sei lezioni (Feltrinelli, Milano, 2018) con l’intento di porre a termine «Un rinnovato elogio dell’Illuminismo».

Ma che cos’è la possibilità? Che cos’è la modalità? E, come scriveva Kant: che cos’è l’Illuminismo? Dice Veca: «Il senso della possibilità presuppone la libertà per le persone di esplorare, immaginare, delineare i tratti di mondo sociali possibili, più degni di lode del mondo attuale». Questi «Mondi sociali possibili» sono le utopie – ed ecco che il «Senso della possibilità» vira subito verso quella dimensione del tempo chiamata futuro. Ma, il nostro autore aggiunge subito dopo: «Il senso della possibilità ci induce a prendere sul serio la contingenza del passato come repertorio o archivio di possibilità». Ecco che la ricerca in atto gira la propria natura ed essenza verso la considerazione del passato.

 

Ma oggi che cosa succede? «Oggi questa libertà è minacciata, negata e coartata da una famiglia di poteri che evoca lo spettro di un qualche ancien régime, vestito con i panni della falsa necessità». Dunque Veca parte da una quadruplice implicazione: possibilità, libertà, utopia e recupero del passato. E giunge a stabilire che nell’ attuale esiste un nesso tra libertà e alcuni poteri che la negano: c’è una sorta di retrocessione dei valori. La cura? «Le ragioni dell’Illuminismo non poggiano sulla roccia della necessità. Le ragioni dell’Illuminismo poggiano sull’argilla della contingenza». Che è un’altra specificazione della modalità. «In tempi di intenso romanticismo politico, nelle circostanze in cui sembrano prevalere le politiche della chiusura e dell’inimicizia, del terrore e dei muri, l’elogio dell’Illuminismo sembra a me un semplice atto dovuto, se vogliamo mantenere lealtà a quel nucleo di valori in cui campeggia l’ideale di uguale dignità di qualsiasi vita umana».

 

Il «Senso della possibilità» ci fa considerare sul serio e attentamente il passato «come repertorio o archivio di possibilità». Il delineare «mondi possibili» ci fa considerare una «possibilità» legata a un futuro ancora tutto da immaginare e che comunque prende il suo avvio dalla considerazione della realtà attuale. La «possibilità» ha un carattere situato e condizionale. La necessità ha un carattere situato e condizionale.

Nel corso del suo discorso filosofico Veca innesta due figure: «L’esploratore di connessioni» e il «Coltivatore di memorie». E dice: «Il coltivare memorie è, alla fin fine, una pratica intellettuale che mette a fuoco questioni, dilemmi, enigmi e problemi, avvalendosi del repertorio della diversità, delle somiglianze e delle differenze, dei variegati tipi di alterità nel tempo. E anche l’esplorare connessioni è, alla fin fine, una pratica intellettuale che induce ad acquisire prospettive inedite e inaspettate, immergendo i nostri oggetti abituali in un intorno di possibilità». Perché Veca introduce queste due figure? Perché entrambe hanno a che fare con il «Senso della possibilità».

Esse sono due esemplificazioni del modus operandi della «possibilità» nella storia e nella teoria (di qualsiasi teoria si tratti in questo caso). Cioè nella pratica e nel regno dell’astratto. Nel concreto e nella speculazione. «Il carattere situato della possibilità dipende in ogni caso dalla priorità dell’attuale, come unica via d’accesso sia al possibile sia al necessario». Insomma da qualche parte si dive pur partire: e allora Veca decide di partire dall’ «Attuale». «Adottando lo sguardo degli occhi del resto dell’umanità, siamo indotti a mettere a fuoco il fatto dell’ingiustizia della Terra.

È questo lo spazio appropriato per esercizi di immaginazione e di esplorazione di possibilità alternative, che presuppongono la libertà fondamentale delle persone di impegnarsi in indagini su mondi sociali possibili.

Quanto al tempo appropriato per esercizi di immaginazione ed esplorazione di possibilità alternative, esso coincide con il futuro e gli esercizi devono mettersi alla prova con i molti volti della sostenibilità e con le sue dimensioni plurali e globali». Partendo dall’ attuale la teoria deve rendere conto di «Chi è escluso e condannato al silenzio» mentre il passato (con le sue «voci d’umanità») dà libero sfogo all’ «immaginazione» che collega, in un colpo solo, passato e futuro dentro al cerchio di un presente rinnovato da questa inedita connessione. Quello che tutti noi, con le nostre teorie, cerchiamo è sempre verità e giustizia. E allora: «Verità e giustizia… esemplificano la giustezza possibile delle nostre risposte al mondo degli altri».

 

Ma cos’è questa giustezza? Dice Veca: «L’idea di giustezza è autonoma rispetto alla politica, perché presuppone le libere investigazioni che, a partire dall’attuale, delineano ed esplorano mondi sociali possibili» e «Essa è, per così dire, in attesa di una politica che eserciti le rare virtù della veridicità, della responsabilità e della lungimiranza». Dalla giustezza alla verità e alla giustizia al futuro e al passato alla teoria ed alla pratica, il percorso della «Possibilità» giunge a una nuova considerazione del realismo (e quindi, come sue controparte) dell’idealismo.

Veca afferma: «Il mondo, nella sua indipendenza dalla mente, può dire no alle nostre teorie o, in modo più sofisticato, può dire che le nostre teorie sono incoerenti. Preservando l’attrito con il mondo indipendentemente dalla mente, il senso delle possibilità e delle alternative… persiste». Emerge così una «Possibilità» sovrumana che supera realismo e idealismo per reificarsi – in tutta la sua interezza – come matrice costitutiva dell’attuale. La «Possibilità» viaggia come sospesa tra passato (archivio) e futuro (utopia). Si tratta di una «Possibilità» aerea, fluttuante; che sta più in alto. Non coincide mai perfettamente né col passato e neppure col futuro ma è schiacciata sull’ attuale che determina la contingenza del possibile.

A proposito di questo Veca prende in considerazione quattro «Modi di intendere la modalità»: il possibile, l’attuale, il contingente e il necessario. L’ attuale (oltre che «Via d’accesso» al possibile e al necessario) è la pietra di paragone di passato e futuro. E’ il punto di non ritorno attraverso il quale Illuminismo, modalità, possibile, necessario, contingente, impossibile, utopia, immaginazione, giustezza, verità giustizia, esploratore di connessioni, coltivatore di memorie planano e vanno a fermarsi definitivamente. È un muro. E su questo muro Veca imbastisce la sua ricerca sul «Senso della possibilità». Possibilità che il muro venga abbattuto? Possibilità che il muro (trat)tenga il necessario? Il muro come «Via d’accesso» al passato e al futuro? E se è così: in che termini? Secondo quali prospettive? Utilizzando quali categorie? L’ attuale è un punto di vista, è un’ottica, è un punto d’osservazione. All’interno di questo muro ci si può girare e voltare di 360 gradi. E questo giro costituisce la modalità. E la modalità conduce alle due figure dell’esploratore di connessioni e del cercatore di memorie. E queste due figure conducono all’immaginazione. E l’immaginazione conduce al luogo entro cui stanno verità e giustizia. Cioè alla giustezza.

È giusto il nostro punto di vista? È giusto che ci sia un punto di vista sul mondo? È giusto che ci sia un punto di vista privilegiato sul mondo? Altrimenti, se esso non ci fosse, non avremmo teorie e pratica, passato e futuro, verità e giustizia. Avremmo un mondo nel quale la «Possibilità» regnerebbe sovrana. E quindi non un mondo reale ma un mondo fatto di infiniti possibili che mai potrebbero diventare reali. Una specie di «Possibilità» assoluta. Ma può essere assoluta la «Possibilità»? Esiste Dio? È possibile. Non esiste Dio? È possibile. Un mondo, questo, privo di finestre ma senza vita. La vita infatti è costituita dalla caratteristica di avere un limite. Il trionfo della morte (anch’essa possibile) sulla vita (che reclama la sua realtà). «Nella prospettiva di una interpretazione filosofica delle modalità emerge l’idea di una sorta di relativizzazione del concetto di necessario e, quindi, di possibile». «Possibile» (che è il giro del cerchio) è un concetto relativo a necessario. Quell’assoluto di cui si diceva non può esistere.

Dunque qualcosa c’è che frena il mare magnum di tutti i possibili. Ma quand’è che un possibile è impossibile? Quando incontra il suo contraddittorio. E’ possibile che Napoleone fosse un coccodrillo. E’ impossibile che Napoleone fosse un coccodrillo. La seconda impossibilità è più saliente, urgente, rilevante.

Dunque l’impossibilità è l’attuale; è quel muro. È il contraddittorio, l’opposizione, la contraddizione, il materiale di cui è costituito quel muro. C’è qualcosa che tocca il suo limite estremo. L’attuale è contraddittorio – ma questo lo sapeva già Hegel. Ed Eraclito parlava dell’ordine/disordine in cui stanno gli opposti.

Ma l’attuale è anche «L’unica via disponibile» per il necessario. Sembrerebbe che l’attuale ammazzi il possibile! Il possibile trova il suo freno nell’attuale. Ma anche l’attuale, del resto, non poteva essere uno dei tanti possibili pensati dal possibile prima che si manifestasse in quanto attuale? Dunque da quel muro emerge il necessario: qualcosa che è in quanto è e non può essere altrimenti. Il necessario (non potendo essere altrimenti) annulla il possibile. Il possibile infatti può, per sua natura, sempre essere altrimenti da come è.

Ma è necessario che il necessario annulli il possibile? Tutto il nostro mondo è necessario – come voleva Spinoza? È necessario che il possibile immagini mondi possibili? La modalità, nel possibile e nel necessario, trova la sua esplicazione e la sua configurazione più vera nel transito, dal passato al futuro, della giustezza. E qui si conclude la fatica di Veca. Verità e giustizia, sotto l’ombra dell’immane sofferenza degli oppressi, sono ora due modalità dell’attuale. Ci sono in quanto ci sono. Almeno questo lo dobbiamo ammettere …

Ora, «Il mondo attuale è uno fra i mondi possibili che… ha per noi carattere indicale: è il mondo possibile in cui accade che noi ne siamo abitanti, punto e basta. Per il resto… esso è esattamente dello stesso genere di qualsivoglia mondo possibile, che è o sarà a sua volta attuale per i suoi abitanti».

Dunque qual è il «Senso del possibile»? «L’attualità di un mondo non esemplifica alcuna proprietà peculiare di quel mondo che ci consenta di distinguerlo da altri mondi. Possiamo dire che l’attualità di un mondo diviene così una questione relativa. Il nostro mondo è attuale per chi lo abita. E ciò è contingente. Fra contingenza e necessità si situa così» il «Senso della possibilità». Scrive ancora Veca: «Il possibilista è convinto che l’attuale circoscriva i confini di un sottoinsieme di enti che esistono o in un senso almeno vi sono, mentre oltre agli enti che appartengono al sottoinsieme dell’attuale vi sono enti meramente possibili che avrebbero potuto o potrebbero esservi». Il «Senso della possibilità» non rifiuta ma abbraccia l’attuale. In esso si realizza quella possibilità che si realizza.

Ma perché si realizza proprio quella e non un’altra? Siamo alla famosa domanda di Leibniz: «Perché c’è l’essere piuttosto che il nulla»? Quella possibilità che si realizza era la migliore? Siamo al postulato di Leibniz (non a caso uno degli «eroi» citati nel libro di Veca a piene mani) secondo la quale questo è «Il migliore dei mondi possibili». «Kant sosteneva che l’attuale rispondeva al nostro dire sì a come stanno le cose».

Ma come stanno le cose? «Ora, se il mondo è uno stato di cose, non è detto che un qualsiasi stato di cose sia un mondo possibile». Cosa identifica, dunque, un mondo possibile? Il «Senso della possibilità» è l’attualità dei mondi possibili? Ma la modalità è «Ricombinazione» di stati di cose … Qual è la modalità che «Ricombina» la possibilità? E qual è la possibilità che, essendo ricombinata, diventa necessità? Dice Veca: «Com’è noto, Wittgenstein nelle prime proposizioni del Tractatus introduce la nozione di mondo come “totalità dei fatti” e il fatto e identificato con “il sussistere di stati di cose”. Gli oggetti occorrono in stati di cose e, secondo Wittgenstein, “se sono dati tutti gli oggetti, sono dati con ciò tutti gli stati di cose possibili. Quindi “ogni cosa è come in uno spazio di possibili stati di cose. Questo spazio posso pensarlo vuoto; ma non posso pensare la cosa senza lo spazio».

 

Tornando a Veca: lo «Stato di cose» è il sussistere di un fatto. E «Se sono dati tutti gli oggetti sono dati con ciò tutti gli stati di cose possibili». L’oggetto si trova, dunque, all’interno dello stato di cose esattamente come il fatto. Questa occorrenza esaurisce il «Senso della possibilità». Sorge una domanda: «E’ possibile che il possibile si chieda se esso è possibile»? E’, cioè, possibile una possibilità che prefiguri la sua impossibilità?

Citando Armstrong, Veca dice: «Tutto ciò che c’è è il mondo dello spazio-tempo». Dunque: tutto ciò che non c’è si trova oltre (prima? Dopo?) lo spazio tempo? Veca aggiunge: «La filosofia esplora il possibile; la scienza seleziona l’attuale». E, nel corso di un’indagine filosofica condotta magistralmente, Salvatore Veca giunge a identificare il possibile all’interno dell’attuale. Le due cose confliggono? Le due cose possono stare insieme?

«Tutte le possibilità sono combinazioni di elementi attuali». Nell’attuale, dunque, il possibile entra ed esce. Quel muro di cui si diceva ha confini – come afferma lo stesso Veca «Porosi». Il possibile è determinato dall’attuale. Questa è la sua modalità. E il necessario? Il possibile «non può eccedere l’attuale» mentre il necessario imprigiona e scardina l’attuale fino a ridurlo a nulla. «Una revisione del concetto di necessità. Un rifiuto, per esempio, della necessità metafisica, implica una revisione della nozione di verità». E quindi di giustezza. Noi «Non siamo mai certi che quel che riteniamo vero sia anche vero».

Ora, «Noi immergiamo oggetti – quali che siano – in un intorno di possibilità». E «Non vi è simmetria tra il mondo attuale e i mondi possibili». Introducendo il senso di realtà (e quindi di necessità, di verità e di giustizia) si introduce, al tempo stesso, il «Senso della possibilità». Ma la realtà, da parte sua, è immobile o mobile? E’ statica o dinamica? Il possibile, asimmetrico, mobile, relativo, condizionale, situato, diventa così un paradigma. Il finale di Veca è solo provvisorio: «La logica delle descrizioni di un singolo mondo si modalizza quando il nostro interesse mira all’indagine delle relazioni fra differenti mondi possibili». La modalità emerge quando c’è la possibilità. Ma c’è la possibilità? E che cosa mi assicura che, effettivamente, ci sia la possibilità? E quale possibilità fra le infinite possibili? «Le libere investigazioni su mondi possibili e su stati di cose affermativi, in cui si articolano le ragioni della normatività in etica e in politica e le ragioni lessinghiane della ricerca della verità nella scienza, a loro volta, fanno parte di (ed esemplificano) un’ideale di sviluppo umano come libertà.

 

Questo ideale elementare, etico e politico, di autonomia e di fioritura umana chiama in causa il retaggio del recente Illuminismo e ci induce, ancora una volta, a un suo elogio. Soprattutto nelle circostanze in cui accade che la libertà della ricerca sia temuta, minacciata e coartata da una variegata famiglia di poteri politici, religiosi, economici o culturali. L’elogio dell’Illuminismo va insieme alla consapevolezza della persistente e ricorrente possibilità della sua negazione da parte di un qualche ancien régime. Ma l’ideale elementare delle libere investigazioni persiste nella forma del senso della possibilità e risponde alle domande altrettanto ricorrenti sulla giustezza nei nostri modi di convivere. Qui, possiamo dire, la ricerca della giustezza coincide con la ricerca della giustizia».

Inoltre: «La versione epistemica del realismo, favorita in un’interpretazione delle modalità, implica la distinzione fra mondo e realtà, che preserva l’indipendenza del mondo della mente, e l’equilibrio fra l’intuizione costruttivistica che concerne la realtà e l’intuizione empiristica che concerne il mondo. Così come implica l’idea dei livelli di realtà, basandosi su un principio di pluralismo concettuale e sull’idea della possibilità di una varietà di mondo in cui, nel tempo, incontriamo qualcosa o ciò che vi è, e ci riferiamo a qualcosa o a ciò che vi è.

Qui, possiamo dire, la ricerca della giustezza coincide con la ricerca della verità. E verità e giustizia si connettono così nello spazio della giustezza». Questa è davvero l’ultima parola di Veca.

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.