26 Aprile 2024
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Paolo Zardi, La gente non esiste, NEO Edizioni 2019, pag. 216, €14,00

Il racconto -sembra- non è il genere letterario più ricercato, almeno in Italia. Altrove no, basti pensare alla canadese Alice Munro, Nobel per la letteratura nel 2013. E se penso allo scrittore Giulio Monteiro Martins, precocemente scomparso, brasiliano che ha trovato in Italia, a Lucca, la sua seconda patria, mi tornano le sue parole sull’importanza del racconto nell’America latina, che suonano pressappoco così: “il racconto là è amato più del romanzo, perché vuole una tensione interna ed un epilogo contenuti in un arco breve, una struttura tesa, e perciò richiede grande maestria”.

Ecco, leggendo La gente non esiste, di Paolo Zardi sono più che mai convinta del valore del racconto, quando è ben fatto, bello. I suoi racconti, in questa raccolta che ne recupera alcuni già pubblicati in antologie o riviste, danno una visione caleidoscopica dell’umanità, cogliendola in ogni sua piega.

Non gli sfugge niente e nessuno, segue il percorso della mente e del cuore, si sofferma sui gesti, sulla mimica, crea gli spazi e fa toccare i colori ed i suoni. Come se volesse raccoglierli dentro la cornice di un quadro mette a fuoco persone e situazioni, ed alla fine rimane quasi l’impressione di aver conosciuto un unico personaggio dalle molteplici sfumature, a cui siano appartenute tutte quelle vicende.

Ogni personaggio racchiude un mistero, ha una preziosità unica, ognuno ha un turbinio di emozioni, insicurezze, paure. Ed appare primo artefice della propria vita, senza niente togliere al destino, al DNA, o ad un Volontà superiore.

Sembra che Zardi abbia vissuto tante vite, abbia sperimentato una molteplicità di esperienze, reali ed emotive, concrete e spirituali; che abbia conosciuto ambienti e contesti sociali tra i più vari, fino a impossessarsi dei segreti di ogni esistenza e delle possibili contraddizioni umane.

Talora lo fa con umana pietas, talora con ironia garbata, con autoironia, oppure con una partecipazione complice alle vicende degli altri, senza escludere la capacità di gestire tecnologia, economia e scienza. Zardi sa creare quella tensione necessaria al racconto, quella tensione interna, come un arco teso. L’epilogo talora sorprende, talora chiarisce, altre volte Zardi ci regala, proprio come una fotografia, solo uno spaccato, un momento, ce lo fa vivere come se lo sentissimo sulla nostra pelle, rivelandone tutta la preziosità, per il suo stesso esistere, per essere vissuto hic et nunc. Un presente davanti al quale l’umanità si mostra sempre più distratta, catturata dalla velocità e dalla tensione-illusione verso il futuro, in una polverizzazione della bellezza e della vita stessa.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.