27 Luglio 2024
Culture Club

La memoria dopo il 25 aprile

Sergio Mattarella in occasione del 75° anniversario della Liberazione ha pronunciato un discorso, partendo da una constatazione di tipo storico. Ovvero ha evidenziato “la sconfitta del nazifascismo”. Ha detto che è avvenuta soprattutto grazie agli americani, ai quali dobbiamo eterna riconoscenza, rispetto e stima. È vero che gli alleati sono stati supportati dalle forze dell’Unione Sovietica e dagli altri alleati, ma durante il periodo dello sbandamento sono stati soprattutto gli americani a “liberare” l’Italia e a renderla finalmente un Paese civile, libero e adatto al Novecento.
Mattarella ne ha concluso: “l’idea di superiorità della razza lasciò il posto a quella di cooperazione”. E Altiero Spinelli, Eugenio Colorni e gli altri di Ventotene, di lì a poco, potevano far nascere quella che oggi – dopo vari cambi di nome – è chiamata Unione Europea.

Ma il dato in questione non è soltanto storico; c’è anche un dato politico. Infatti il nostro Paese dopo il nazifascismo ha saputo edificare una “democrazia”. Noi ci siamo dati infatti una Costituzione. Siamo diventati un paese democratico e contrario a ogni forma di razzismo, di prevaricazione, di difesa di valori di razza, religione, sessualità, promiscuità, dolore e diritti negati (che furono propri di regimi totalitari inumani e illiberali). Mattarella ha aggiunto, arrivando all’oggi: noi italiani in questo attimo doloroso e triste – della pandemia – abbiamo manifestato uno spirito che onora la Repubblica. Ma la Repubblica è andata avanti.

Grazie a Vittorio Colao, Giuseppe Conte e all’Unione Europea stiamo cercando di uscire da questo “stato di crisi” con un assetto radicalmente adatto ai tempi che stanno per arrivare. Infatti, ha detto anche Mattarella che ciò è avvenuto “nel segno della continuità dei valori che hanno reso straordinario il nostro Paese”. E quali sono questi valori?
Libertà, eguaglianza e pace – diceva Norberto Bobbio. Gli uomini si dividono e si oppongono l’uno all’altro (politicamente) solo quando hanno a che fare con questi valori. Si tratta, dalla Rivoluzione Francese a oggi, dei tre “valori” che hanno da sempre contraddistinto l’agire politico. Se è vero, come è vero, e come ci insegna Carl Schmitt che il “politico” è quello spazionel quale si confrontano l’amico e il nemico, e se è vero che tutti i concetti politici sono concetti teologici secolarizzati: allora si ha che in Italia lo spazio del “politico” – almeno negli ultimi 26 anni (dal 1994) è contraddistinto dalla contrapposizione fra un centro-destra e un centro-sinistra.
Ma seguiamo ancora Mattarella: “Fare memoria della Resistenza, della lotta di Liberazione, di quelle pagine decisive della nostra storia, dei coraggiosi che vi ebbero parte, resistendo all’oppressione, rischiando per la libertà di tutti, significa ribadire i valori di libertà, giustizia e coesione sociale, che ne furono alla base, sentendoci uniti intorno al tricolore”.

Anche in Italia c’è una “Giornata della Memoria per non dimenticare e una “Memoria Condivisa”: Liliana Segre è l’esempio e lo stigma di questa memoria non più liquida, ma dura, rigida, proteiforme, che fa sì che gli italiani – ricordando o come diceva Heidegger «rammemorando» – si sentano tutti uniti e solidali intorno a un concetto che li rende omogenei, duttili, plastici: qualcosa in comune e da mettere in comune e da gestire in comune.

Facciamo un esempio. Io dieci anni fa ho acquistato un pennello Cinghiale. Uno di quei pennelli che: “per dipingere una grande parete ci vuole un grande pennello”. Ora, dieci anni dopo, non abito più quella casa (della quale ho dipinto la parete con un “grande pennello”) ma ho il ricordo di quel “grande pennello”. La casa non ce l’ho più, ma mi è rimasto il ricordo di quando l’avevo dipinta. Quel ricordo, nella mia mente, era quella casa – che non c’è più. Quel ricordo è tutto il mio passato. E tutto il mio passato – come ci insegna Francesco De Gregori – sono tutti quei “padri” che ho incorporato dentro di me. Che siano Piero Gobetti, Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Giorgio Almirante, Enrico Berlinguer, Benigno Zaccagnini.
Questa “memoria” incide anche sulla mia scelta elettorale di oggi.
Quindi un Paese che non ha memoria è un paese senza eroi. Dunque quella “memoria”, di cui ha parlato Mattarella, è quella di un Paese sconfitto, umiliato, assassinato dal nazifascismo e che ha trovato la forza – anche grazie ai partigiani e alla Resistenza – di trovare la forza di uscire da un periodo (durato vent’anni) di contraddizioni.

Come si coltiva la memoria? Se mi ricordo di un fiore io non ho il fiore stesso in mano. Ne ho solo il ricordo. Ma cosa ho in mano – avendo il ricordo? L’idea che un fiore esista da qualche parte. Ma cos’è questa idea? L’idea che l’Unione Europea possa nascere dalle macerie della Resistenza. L’idea che un’Italia diversa, più gentile, più umana, più garbata (a Reggio Calabria si dice: Reggio negli anni che furono era “bella e gentile”) potrebbe nascere dalle rovine e dalle macerie di un’esperienza di guerra, di lotta e di orrore che ha attraversato il mondo (non solo l’Europa) dal 1939 in poi.
Quali furono le cause della Seconda Guerra Mondiale? Perché il conflitto da europeo divenne globale? Tutte domande buone per gli storici. Noi ci portiamo dentro solo questa memoria, che poi è la memoria soprattutto di Liliana Segre e dei tanti partigiani che ancora sono viventi e che raccontano la loro esperienza e il loro sacrificio.

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.