10 Novembre 2024
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Maria Zambrano, Verso un sapere dell’anima, Raffaello Cortina Editore, 1996

Al principio c’è l’interesse. Che interesse ho io ad ascoltare la tua voce? C’è un interesse metafisico tra l’ascoltato e l’inascoltato (e forse anche tra l’inascoltabile). Porsi all’ascolto vuole dire manifestare un qualche interesse. Interesse che è del tutto assente nell’inascoltabile oltre che nell’inascoltato. E’ come se ci fossero un silenzio e una voce – la voce di Kierkegaard.

Scrive María Zambrano in questo suo mirabile (ma confuso) libro (edizione italiana a cura di Rosella Prezzo, traduzione di Eliana Nobili): «Non solo esiste una forma di esperienza che non si lascia innalzare al cielo dell’oggettività, ma che addirittura reagisce di fronte a essa. A ogni sontuoso movimento in filosofia risponde sempre una voce di tono grave, a volte amara e altre burlona, che ne denuncia la vanità mostrando qualcosa di più umile, sordido perfino, ma indissolubile. E’ la voce di Tommaso di Kempis che risponde a Tommaso d’Aquino, di Epitteto ad Aristotele, di Kierkegaard, disperato, a Hegel. E’ la nudità dell’uomo, la sua essenza irriducibile che reclama. E’ in un certo senso cinismo, se il cinismo non fosse disperazione totale e sconfitta».

Dove andare, dunque, a pescare questa voce? Nel passato. E perché nel passato? Perché «In Grecia ritroviamo gli oracoli a parlarci dell’anima, o almeno ad alludervi. Che cosa rappresentano gli oracoli nella vita greca? Se la Filosofia inizia con Talete a interrogarsi sull’essere delle cose, l’oracolo soddisferà quest’altro interrogativo: chi sono io? Qual è il mio destino? Che cosa devo fare di fronte a questa o quella situazione?», ovvero: «Presi dal coltivare distinzioni e differenze, abbiamo dimenticato l’unità che risiede nel fondo di ogni uomo che crea attraverso la parola: la poiesis, espressione e creazione al medesimo tempo, unità sacra dalla quale nasceranno, per rivelazioni successive, separandosi alla nascita – la nascita è sempre una separazione -, la Poesia nelle sue differenti tipologie, e la Filosofia».

Ecco che quell’«unità che risiede nel fondo» – rintracciata nel passato della filosofia, del pensiero, della storia della filosofia, della contemplazione e della meditazione (oltre che della riflessione) è propriamente «la voce di Kierkegaard» che parla del singolo, di questo singolo, di questo uomo, di questo uomo qui. Come fa la poesia. Al principio dunque è presente un’«unità che risiede nel fondo»; poi: «La Filosofia, il pensiero in tutta la sua purezza, si lancia con l’impeto della passione non per divorare sé stessa, come solo la passione fa, ma per indugiare opportunamente e portarci intatta la preda, prima che questa possa sfuggirle».

Ecco svelato il «perché» di cotanta acrimonia nei confronti della filosofia (a proposito: «perché?» – non se ne vede il motivo) da parte della Zambrano: «Da differenti punti di vista l’uomo ha squarciato i veli che coprono l’ordine occulto della propria anima. E’ accaduto nelle religioni greco-orientali, nel cattolicesimo (il protestantesimo, quasi sempre puritano, avvertiva probabilmente una certa repulsione verso questo scrutare le viscere umane), in qualche filosofo che volle lasciare la propria anima intagliata come un brillante, incastonando le passioni in geometrici cristalli di teoremi, chiose e postulati.
In quelle carte postume che oggi possiamo leggere anche nella nostra lingua: o in un altro pensatore ebreo, Spinoza, che andò vagando di religione in religione, errando per le differenti credenze, come altri fratelli della stessa stirpe per vari paesi». L’interesse è un fatto metafisico: o c’è o non c’è. L’interesse che la Terra ha per sé stessa, l’interesse che l’uomo ha per la sua Terra …

Ma la voce non può rimanere inascoltata. All’ascolto della voce – principalmente per la Zambrano – del «cuore» non entra in scena solo il singolo kierkegaardiano ma anche: l’«ombra», «ciò che c’è e non c’è», l’«altro», l’«altro indefinibile e impercettibile che circonda qualcuno», la «realtà», un «fondo di mistero», le «viscere», il «desiderio», l’«invidia», un «dentro allucinatorio» e la «molteplicità». Ecco a cosa dà voce quella voce.

La filosofia, invece: «E’ quindi, come diceva Platone parlando di Pitagora, “cammino di vita”, la verità è l’alimento della vita, che tuttavia non la divora ma la tiene in alto, fissandola infine nel tempo, perché “il tempo passa e la parola del Signore resta”». Quell’ «unità che risiede nel fondo» è la verità – là dove la poesia coincideva con la filosofia, la parola con la cosa e «Prima che il demone della Filosofia, quello stesso demone che mise in fuga tutti gli altri, prendesse possesso dell’uomo, la Terra era piena di déi, di angeli; era abitata e piena di senso».

Poi accadde qualcosa come un «interesse» e due cose: un silenzio (la filosofia sistematica cioè razionale) e una «voce del cuore»: ragione e sentimento si sono separate «Finalmente un giorno in Grecia ci si decise a non rimanere più sottomessi, a smettere di vivere passivamente sotto il giogo terribile di angeli e demoni».
Quell’ «unità che risiede nel fondo», per la Zambrano, è composta da due forme di «ragione» (si badi bene: di «ragione», non di sentimento o di emozione) che sono: la ragione «mediatrice» e quella «poetica». Si tratta di ricostruire questa «unità» – e quindi implicitamente di affermare che la storia della filosofia (per come è stata) non va bene…

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.