27 Luglio 2024
Sun

Manuel Bonomo Morzenti, Abu Avraham. Incontrarsi oltre la storia, Enrico Damiani Editore 2024, pag. 208.

 

“Aveva quindici anni e anche lui lanciava le pietre. Perché aveva le idee chiare: loro erano arabi palestinesi, gli altri erano ebrei israeliani. Loro erano le vittime, gli altri erano il nemico”: dopo avere partecipato alla prima Intifada del 1987 Sami ha lasciato la terra di Palestina perché ricercato dalla polizia israeliana, e in Italia ha studiato medicina, grazie a una borsa di studio. Suo zio Isma aveva già raggiunto l’Italia dopo la Guerra dei sei giorni del 1967.

Il romanzo di Manuel Bonomo Morzenti, “docente, giornalista, scrittore e viaggiatore”, ispirato a una storia vera, ruota intorno al 1993, anno degli accordi di Oslo che prevedevano l’autogoverno palestinese sulla Cisgiordania e sulla striscia di Gaza, con l’OLP come interlocutore di Israele, problema ancora insoluto e gravissimo. Eppure già dall’inizio del secolo scorso, quando “l’Impero ottomano era ormai in bancarotta, gli Inglesi non erano ancora arrivati, e nel Paese dello Sham, la Grande Siria – attuali Siria, Libano, Israele, Palestina e Giordania – si parlava arabo e i documenti ufficiali erano in turco”, “un’idea di Palestina c’era già nell’aria […] e benché Beirut e Damasco facessero a gara per chi fosse più influente su quello stato in potenza, […] laggiù ci si sentiva abitanti di una terra che aveva già confini, colori, profumi e sapori propri”.

Nel 1993 Sami è al terzo anno di Medicina. Di notte gli arriva una telefonata sconvolgente dello zio Isma: devono andare in aeroporto dove sta arrivando Avraham da Gerusalemme. Ma quello è un nome ebraico, pensa Sami, e “volavano le pietre e gli insulti verso chi aveva un nome come il suo; si scappava sudati e insanguinati da chi aveva un nome come il suo; Sami era fuggito in piena notte da chi aveva un nome come il suo”. Eppure Avraham, mai conosciuto, è suo zio, ed è fratello di Isma.

Quando l’ebreo si manifesta al terminal degli arrivi, Isma cade svenuto perché ha visto la reincarnazione del proprio padre Yussuf, e Sami ha ritrovato il nonno.

Come è possibile? Era successo che nel 1915, quando in Europa si combatteva ma a Gerusalemme ancora convivevano ebrei arrivati dall’Europa, arabi musulmani, drusi, circassi, Yussuf, bambino che alla morte di suo padre era stato affidato ad un fratello odioso e insopportabile, a nove anni se ne va dalla sua terra di Palestina, percorre a piedi ottanta chilometri fino a Gerusalemme, e trova ospitalità e lavoro presso un mercante ebreo, Adam, a cui non importa se il ragazzo sia arabo o ebreo, perché lui è capace di far dialogare i due mondi. Così Yussuf, arabo, più tardi sposò la figlia ebrea del suo datore di lavoro, Leah dagli occhi verdi, ed ebbero sette figli di sangue misto, che parlavano due lingue. Il primogenito Avraham era musulmano.

Dopo vent’ anni, quando ormai Adam era scomparso, il numero degli ebrei provenienti dall’Europa aumentava sempre di più e i parenti plaudevano al sionismo, Yussuf lasciò Leah e i sette figli e tornò a casa. Ora arabo tra gli arabi, riprese la sua vita come se fosse partito il giorno prima, face pace col fratello, sposò la giovane Maryam che gli diede sette figli, Isma il primogenito. Attraente, di mente libera, sciupafemmine nella consapevolezza e pazienza della moglie, Yussuf era un mito.

Curiosità, stupore, rabbia, si respirano nel salotto di Isma, ora che due popoli nemici sono seduti su comodi divani: “Ma ti rendi conto – grida Sami – di quanto dolore ci avete provocato?”  Ci si interroga, si spiega, si ricostruisce, si ride, forse si perdona: dopo quella notte si aprono spiragli, si cercano contatti, perché, al di sopra della Storia e nonostante le azioni cruente del potere, il legame di sangue rimane un legame d’amore.

 

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.