27 Luglio 2024
Movie

Prima della rivoluzione: “Marx può aspettare” (di M. Bellocchio, ITA 2021)

Il 27 dicembre 1968 Camillo Bellocchio, fratello gemello di Marco (ma fisicamente diverso e dall’aspetto più efebico), si tolse la vita ventinovenne nella palestra che aveva allestito nella casa di famiglia. Nel 2016, tutti i Bellocchio (anziani, generazione intermedia, nipoti) si riuniscono sotto le feste di Natale: si ritrovano per passare una giornata di festa insieme ma nella mente di molti di loro c’è ancora quella tragedia, al cui protagonista, anzi vittima, è dedicato questo interessante e durissimo documentario, costruito su una fitta serie di interviste condotte da Marco ai suoi (dove una gran parte hanno un altro fratello, Alberto e la simpatica e intelligente sorella Letizia, sordomuta) e a Giovanna, la sorella della fidanzata di Camillo, quel giovane così ‘normale’ e sorridente in apparenza che aveva il baratro dentro di sé. Intervengono anche lo psichiatra Luigi Cancrini e il padre gesuita Virgilio Fantuzzi, per fornire la loro lettura di aspetti della vicenda. “Marx può aspettare” è una frase già pronunciata in film precedenti di Bellocchio perché già in film precedenti Bellocchio ha fatto riferimento alla scomparsa di Camillo e “Marx può aspettare” è la terribile risposta e, per così dire, la sentenza pronunciata da Camillo proprio a Marco quando quest’ultimo – sollecitato dal fratello in preda a una grave forma depressiva di cui tutti i suoi più stretti congiunti, come lui, non vollero o seppero rendersi conto – cercò di cavarsela invitandolo a iniziare a militare nell’estrema sinistra e a solidarizzare col popolo, svolgendo attività politiche che gli avrebbero dato un centro, e nuovi stimoli. Invece no, era altro dalla politica ciò che chiedeva Camillo a Marco, già giovane regista affermato a livello internazionale dopo I pugni in tasca e La Cina è vicina e l’altro che chiedeva (il grido di aiuto per essere aiutato a realizzarsi, a non vivere male i confronti, il sentirsi supportato e amato dai suoi cari) suona ancora più disperato in una lettera nella quale domandava nel 1964 a Marco stabilitosi da anni a Roma per fare cinema se per caso c’era qualche possibilità anche per lui in quell’ambiente: uscire cosí da casa, superare le frustrazioni di studente fallito di istituto per geometri dove lo aveva mandato il padre e la falsa ‘sistemazione’ alla quale la famiglia faceva finta di credere quando Camillo divenne studente ISEF e poi professore di ginnastica: un titolo, quello di “prof.” che compare beffardo e ipocrita, borghese, di facciata, nella iscrizione della lapide funeraria.
Non ne esce benissimo Marco da questa intervista né il fratello maggiore Piergiorgio (fondatore dei Quaderni Piacentini e critico d’arte), né gli altri congiunti, né i genitori, malissimo la loro madre, bigotta, misticheggiante, capace di fare 8 figli, trascurandone alcuni, educandone all’antica altri. Camillo, ci dice Marco, visse per anni ragazzino nella stessa camera col fratello grande ‘matto’ e bestemmiatore: il fratello che urlava, era violento, incontenibile tanto da spaventare tutti in casa. Una figura in parte assimilabile a quella interpretata da Lou Castel de I pugni in tasca, lo straordinario film di esordio (1965) dove Marco venticinquenne rappresenta con crudezza vivissima le dinamiche torbide di casa sua. Incredibilmente, in una sorta di tacito accordo, tutti in famiglia dopo la perdita di Camillo tentano per lenire il dolore della madre (che dopo aver visto il figlio urla “lui è morto ma io non muoio!”) di ridimensionarne (si fa per dire) la meccanica della morte, fingono di credere a un incidente, a un esercizio estremo in palestra…Questo documentario, che ha ottenuto la Palma d’onore a Cannes 2021, è impietoso. Marco che lo conduce nel ruolo di regista e di intervistatore non sembra sofferente e pieno di sensi di colpa come lo spettatore un po’ ingenuamente attenderebbe. Ha quasi un ghigno sottile quando qualcuno gli ricorda che ha avuto successo nella vita, che lui e Piergiorgio erano i giovani brillanti, le star di quella famiglia ricca e borghese così numerosa e anche così infelice. Ben presenti in questo film – sullo sfondo dei primi anni Sessanta e del Sessantotto e con il montaggio che ci offre ogni tanto sequenze da vecchi e sofferti film di Bellocchio, oltre al suo film d’esordio, Salto nel vuoto (1980), Gli occhi, la bocca (1982), L’ora di religione (2002) – sono le scartoffie e gli oggetti desueti, ma soprattutto l’indifferenza di un intero gruppo di famiglia verso il povero Camillo ripreso in scene di repertorio, da molte fotografie, così sofferente, insoddisfatto, incapace di reggere il confronto con il suo gemello volato a Roma dopo le superiori per iscriversi al Centro sperimentale di cinematografia. Però è probabilmente in questo modo che Marco si riscatta, e per certi versi si discolpa e discolpa i suoi: tutti si fanno ritrarre impietosamente, tutti ricordano, attaccano pezzi di storia familiare, ammettono le loro dimenticanze (come in tutta la ricostruzione di una lettera lasciata da Camilllo prima di uccidersi, una lettera di cui i più stretti congiunti del giovane non sembrano avere memoria né si sono occupati di conservare copia, mentre Giovanna, mezzo secolo dopo ancora durissima verso la famiglia Bellocchio, ne ricorda per filo e per segno i contenuti e le lacrime che l’avevano rigata). Così Marco, protagonista di una seduta psicanalitica collettiva, come inevitabilnente vien fatto di notare, espia i suoi sensi di colpa (espressione che torna nel film), con quel finale immaginato di lui che cammina nei pressi del cimitero di Bobbio vede e segue con lo sguardo un ragazzo che corre, ripreso di schiena, con la giacca dell’ISEF: il suo Camillo. Verso il quale sin dall’inizio lo spettatore non può che nutrire affetto e simpatia, nel senso greco e stoico (Posidonio) del termine sympatheia: l’interazione e la corrispondenza tra natura e individui, il “soffrire insieme” delle anime umane, e dunque per qualcuno. La colonna sonora è tratta da musiche del compianto Ezio Bosso.

[Si veda anche l’eccellente recensione di M. Donzelli <https://www.comingsoon.it/film/marx-puo-aspettare/61267/recensione/>]

Giovanni A. Cecconi

Professore di storia romana e di altri insegnamenti di antichistica all'università di Firenze. Da sempre appassionato di cinema, è da molti anni attivo come blogger su alleo.it per recensioni, riflessioni, schede informative, e ricordi di attori e registi. È stato collaboratore di Agenzia Radicale online e di Blog Taormina. Ama il calcio, si occupa di politica e gioca a scacchi, praticati (un tempo lontano) a livello agonistico, col titolo di Maestro FIDE.