27 Luglio 2024
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Lorenza Foschini, L’attrito della vita. Indagine su Renato Caccioppoli matematico napoletano, La nave di Teseo 2022, pag. 266, € 20,00

 

Ne porta il nome, Caccioppoli, -con riferimento anche a quello di un suo lontano cugino Francesco che dedicò la vita alla osservazione del cielo- un asteroide scoperto nel 1985 da un astronomo americano, di 7,8 chilometri di diametro.

Nato nel 1904 e morto nel 1959, Renato Caccioppoli è figlio di Giulia Sofia Bakunin primogenita dell’anarchico russo, e del celebre chirurgo napoletano Giuseppe Caccioppoli.

Imparentata con la stessa vasta famiglia, Lorenza Foschini, giornalista napoletana già conduttrice del Tg2 e autrice di documentari di successo, ha indagato nella vita del matematico, con la chiara volontà di separare i fatti reali dalla leggenda.

Perché molto si è costruito liberamente e con fantasia intorno a questo matematico, conosciuto a Napoli come o’ Genio, un uomo alto, di una magrezza spettrale, ribelle, anarchico, vittima della dittatura e pedinato a vita, che se ne andava tutto solo per le vie, col solito impermeabile in estate e in inverno legato in vita, e l’Unità o Paese sera in tasca,

La genialità è “la luce, se appare, è lampo improvviso, intuizione”, e Caccioppoli era la genialità. Ne fu subito colpito il noto matematico fascista Mauro Picone per cui  Renato ebbe sempre grande stima, al di sopra di ogni schieramento ideologico.

Bambino affetto da una specie di tormento interiore, a venti anni gli si aprì il mondo della conoscenza infinita, come se si squarciasse un velo, tanto che in cinque anni pubblicò una trentina di lavori ed a ventisei aveva già la cattedra di analisi matematica, influenzandone lo sviluppo, pur in un’epoca stagnante come quella fascista.

Una forma di inquietudine esistenziale lo ha sempre perseguitato perché quel velo squarciato sulla conoscenza gli ha dato sì una felicità immensa, ma subito dopo gli ha spalancato davanti un vuoto terrificante. A dirlo sono le parole che Sciascia dedicò a Ettore Maiorana “nel genio precoce la vita ha come una invalicabile misura: di tempo, di opera. Appena toccata, nell’opera, una compiutezza, una perfezione […] nella scienza, nella letteratura o nell’arte – appena dopo è la morte”. Con l’uso sempre più abbondante di alcol il Caccioppoli ha cercato di colmare quel vuoto che diventava sempre più profondo e attraente.

Costretto a convivere con la violenza del regime, cerca ogni modo per irriderlo, come quando cammina per le vie di Napoli con un gallo al guinzaglio, dopo che una legge fascista proibiva ai maschi di portare a passeggio cani piccoli, non adatti alla virilità. Spiato dal regime insieme alla giovane moglie Sara Mancuso, donna anticonformista, libera, ribelle come lui, nel 1938 viene chiuso in una clinica psichiatrica, con diagnosi di squilibri mentali, in seguito a esternazioni di lei con la polizia fascista, presente il marito, subito portato in Questura.

Il Caccioppoli avrebbe voluto fare il pianista o il direttore d’orchestra – ma per fortuna Benedetto Croce nel 1923 lo invitò a proseguire con la matematica- ed era eccellente pianista. Così in ospedale gli viene messo a disposizione un pianoforte e lui improvvisa concerti e intanto continua a studiare, non affatto dispiaciuto di quella curiosa esperienza di vita tra i matti.

Quello che Renato non tollera è la stupidità umana. Del resto la madre Sofia e la zia Maria, prima donna laureata in chimica in Italia, hanno sempre vegliato su di lui, fin da quando era “un adolescente intelligentissimo, insofferente alla banalità del mondo che lo circonda, fino a desiderare di non volerne più farne parte, fino a desiderare di morire”.

Il suo matrimonio finisce perché Sara incontra Mario Alicata, giornalista, poi parlamentare, direttore dell’Unità e nella segreteria del PCI.  E va a vivere con lui.

La fine del fascismo e della guerra aumenta la sua delusione e il disgusto, dal momento che niente è cambiato: “L’insofferenza di Renato ha radici profonde. Non nasce solo dalla esasperazione nei confronti degli stupidi, di quelli che “non ci arrivano”. Ma anche e soprattutto dalla delusione, dal fallimento di una speranza, forse coltivata alla caduta del fascismo, che qualcosa sarebbe potuto cambiare. E dall’amara constatazione che tutto era rimasto come prima” e che a Napoli si doveva contare solo sulla furbizia, per sopravvivere.

Questa insofferenza ha senz’altro esacerbato il suo atteggiamento nei confronti degli allievi al momento degli esami, momento peraltro sempre temuto per la incapacità del Caccioppoli di tollerare l’ignoranza, ma allo stesso tempo ormai divenuto un rito che attirava spettatori. Ne è stato  testimone il suo fedele assistente don Savino Coronato: “Voi pretendete di andare avanti senza meritarlo- ha detto Renato con estrema calma ad una studentessa al termine dell’esame- e poi ottenete un posto mediante raccomandazioni democristiane”. E ad uno studente che cercava di strafare per ottenere un voto più alto: “Lei è tenuto a dire delle fesserie obbligatorie ma non quelle facoltative”.

Sarcastico, tagliente, crudele, “un istintivo, uno che vive delle sue contraddizioni” secondo Ermanno Rea, sempre più in preda all’alcol, ma anche tenero e infantile, intelligentissimo, amante del cinema, tormentato sempre, trovava pace nella musica e nella matematica. Cercava la bellezza dell’ armonia.

Lo adorano i napoletani di ogni categoria sociale, perché “il matematico anticonformista e irriverente, insofferente a ogni forma di autorità, rappresenta con i suoi gesti non solo un esempio, ma anche una occasione unica per la città di uscire dal provincialismo in cui è precipitata. A lui, cosmopolita poliglotta e al tempo stesso così intensamente napoletano, fa riferimento un gruppo di giovani che trae dal confronto con una personalità così estrema una occasione di crescita e di fuga dal piccolo mondo in cui sono nati e cresciuti durante la guerra e dopo la caduta del fascismo”.

“Renato non nega le regole della borghesia napoletana, ma ha una necessità esistenziale, vitale di infrangerle”. Il suo è un “inane tentativo di serietà” dice di lui a distanza di anni una cronista dell’epoca.

Piace alle donne perché quella figura tormentata è carica di fascino, perché sa essere spiritoso e infantile, perché “i matematici puri sono strani, hanno il senso del gioco. Il gioco di una mente che non può affondare pienamente nella realtà”. Sono parole della cronista.

Sarà una giovane allieva a trovare il suo corpo in un bagno di sangue, nella sua abitazione di Palazzo Cellammare, l’otto maggio del ’59. Del resto l’aveva apertamente spiegato come si fa ad uccidersi.

Lorenza Foschini ha fatto rivivere non solo un personaggio indimenticabile, ma ha dato concretezza e voce ad una città, aprendo il portone di palazzi borghesi a cominciare dagli anni venti del secolo scorso;  ha seguito gli ospiti illustri che si aggiravano nelle sale e nei giardini facendoci incontrare i nomi più noti della cultura e della politica, tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscere Renato, tra i tanti: Gaetano Salvemini, Giustino Fortunato, Alberto Moravia, Pablo Neruda, Henry Gide, Eduardo De Filippo. Senza dimenticare Ettore Maiorana!

Ma ci guida anche per i vicoli, per i bassi, ci fa entrare nelle osterie, tra la gente semplice, ci fa sentire la bellezza e il profumo della città. Porta chiarezza e ordine nella vita leggendaria di Renato Caccioppoli su basi concrete, attraverso ricerche scrupolose di documenti, epistolari, luoghi, persone, e il risultato è un romanzo che trascina ed affascina.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.