19 Aprile 2024
Movie

“Siccità” di P. Virzí (ITA 2022)

Sarà inevitabile nei prossimi anni che si studi in che modo la vicenda ancora in corso del Coronavirus abbia influenzato l’arte contemporanea. Al festival di Venezia edizione 2021 un’intera sezione documentaristica era dedicata al ‘cinema ai tempi del Covid’; vi spiccava Molecole di Andrea Segre, mediometraggio (68’) venato di introspezione e di critica politica, con alternate memorie familiari e rappresentazioni di Venezia durante il lockdown; il sequel in forma di fiction è stato Welcome Venice: una città espropriata ai veneziani. Ariaferma di Leonardo Di Costanzo rifletteva, portandosi dietro la sensazione di asfissia e di chiusura provata da molti (non da me) durante la pandemia, sulle condizioni di un lockdown perenne, quello delle carceri, mentre Stefano Calvagna raccontava direttamente con Covid 19 (2021) i possibili mutamenti indotti nelle relazioni interpersonali. Anche nella letteratura e nei talkshow si sono riscoperte, citate più o meno a proposito, le grandi epidemie, le grandi pesti: di Atene raccontata da Tucidide o di Costantinopoli del 541 d.C. in Procopio di Cesarea, quella ‘universale’ del 1348, Boccaccio e poi Manzoni. Così nelle sale e in tv sono stati riproposti vecchi film di differente qualità, sul tema dei virus come fenomeni spesso provocati dall’uomo spesso nel quadro di oscuri conflitti tra potenze, con uso di armi biologiche (G. Romero, – La città verrà distrutta all’alba, 1973; W. Petersen – Virus letale, 1995 e specialmente S. Soderbergh, Contagion – 2011).

Siccità di Virzí, presentato fuori concorso all’ultimo festival del cinema di Venezia, film che qualcuno impegnato a fornire definizioni confondenti ha chiamato ‘dramedy distopico corale’ , come ha spiegato in varie interviste il cineasta livornese*, ha senza dubbio profondamente risentito della pandemia ed è anzi nato sulla scorta di quel vissuto: è ambientato in una Roma sventrata e arida (dopo il lockdown?), sporca e invasa da nugoli di blatte, possibile causa del disastro sanitario. Non piove più infatti da lunghissimo tempo a Roma. Sequenze abbaglianti dell’Urbe svuotata dal Tevere, con i ponti ridotti ad archi infossati (per le riprese dall’alto), e negli interni quei brutti animaletti che infestano le stanze e che simboleggiano con efficacia la decadenza dell’uomo in questa fase storica, o in quella di un futuro ormai prossimo. In questo quadro di desolazione dovuta a una inaudita carenza d’acqua, Virzí ci fa seguire le vicende di una serie di personaggi in stato di ordinaria follia, o disperati, aridi come l’ambiente che li circonda (una proiezione tra le più evidenti), sostanzialmente incapaci di vivere con se stessi e con gli altri. Ma c’è chi ha più possibilità di sopravvivenza, come nella Roma imperiale ove i senatori utilizzavano più e meglio degli altri, col permesso dei principi, le strutture idriche per ottenere per sé il prezioso bene.
L’idea che sorregge l’opera di Virzí, fortemente metaforica, integra una serie di elementi, come l’imponderabilità della esistenza umana, le minacce dovute al riscaldamento globale (e il problema dell’uso democratico dell’acqua pubblica in situazione di emergenza), i rischi idrogeologici. Si uniscono a questi elementi le contese del quotidiano per ottenere i beni minimi per la sopravvivenza, in una sorta di vero e proprio ‘bellum omnium contra omnes’. Il film è anche un film sulle relazioni interpersonali (a tratti sull’amore come speranza e rifugio), di per sé spesso drammatiche al mondo d’oggi, quando ad esse si aggiunge il detonatore della calamità naturale. Vengono in mente persino le siccità menzionate a volte nell’ Ab urbe condita di Livio, quando lo storico patavino evoca (accompagnandole con liste di prodigi, portenta) le guerre di Roma in Italia, proprio come molti commentatori descrivevano la lotta comune contro il virus come una guerra per la sopravvivenza.

Siccità non è un film indimenticabile, né ti lascia dentro sensazioni forti né induce spunti di meditazione profondi. Se è una commedia, come è spesso definita, è del tutto sui generis, e la ricondurremmo forse al genere delle commedie amare e grottesche di un Ferreri. È comunque intelligente, ben girato, ben recitato. Tra gli attori del cast ci sono Silvio Orlando, Valerio Mastandrea, Max Tortora, Monica Bellucci, Claudia Pandolfi. Rimarchevole più di altre è l’interpretazione di Tommaso Ragno nel ruolo di un influencer vanitoso e egoista. Mastrandrea si conferma come uno degli attori di punta del cinema italiano.

* Intervista di P. Virzí a D. Bignardi, stralcio: “Oltre a fare i cori dai balconi e le pizze ci siamo forse un po’ interpellati sul senso del nostro lavoro ma anche sul senso del nostro futuro. Due anni tremendi, che cerchiamo anche di rimuovere perché la natura umana deve sopravvivere. Ma nello stesso tempo dobbiamo portarci avanti la consapevolezza che quello che è successo è anche connesso a questioni di habitat e che d’ora in poi dovremo fare i conti con questa cosa”. <https://www.capital.it/articoli/siccita-film-intervista-paolo-virzi-emanuela-fanelli-trailer/>

 

 

 

Giovanni A. Cecconi

Professore di storia romana e di altri insegnamenti di antichistica all'università di Firenze. Da sempre appassionato di cinema, è da molti anni attivo come blogger su alleo.it per recensioni, riflessioni, schede informative, e ricordi di attori e registi. È stato collaboratore di Agenzia Radicale online e di Blog Taormina. Ama il calcio, si occupa di politica e gioca a scacchi, praticati (un tempo lontano) a livello agonistico, col titolo di Maestro FIDE.