27 Luglio 2024
Voice of JerusalemWords

Israele, mai più come prima

In Israele si è votato lo scorso primo novembre. Sono le quinte elezioni negli ultimi tre anni e mezzo. I risultati da ieri sono definitivi. Non sono poi cambiati molto rispetto alle precedenti elezioni, ma c’è stata lo stesso la rivoluzione. Proviamo a interpretare qualche spunto.

Anzitutto, ha vinto di nuovo Netanyahu. Dopo l’intermezzo di Yair Lapid, che per alcuni mesi ha guidato un governo del blocco anti-Netanyahu, ecco che il nostro ritorna. La coalizione che guida avrà 64 seggi su 120, ma soprattutto è la sua composizione interna che è molto cambiata. Il vero vincitore è infatti il listone del Sionismo Religioso; per chi l’ha votato sarà sicuramente una cosa positiva, ma secondo molti commentatori è una distorsione del progetto sionista che lo trasforma dalla casa nazionale del popolo ebraico in un progetto rivoluzionario di suprematismo ebraico di destra, religioso, razzista, autoritario. È il segno di un terribile spostamento estremista di Israele negli anni recenti, che nessuno può dire che non sia stato coltivato sin da quando l’assassinio di Rabin nel 1995 non fu indagato fino in fondo.

Ora Netanyahu sarà costretto a mandare giù un bel programma: arretramento sui diritti civili, espulsione degli arabi da Israele, rischio di bloccare gli investimenti dall’estero (soprattutto dagli Stati Uniti). Ma in cambio gli permetterà di bloccare il processo penale per corruzione a suo carico, dando un colpo fatale al sistema giudiziario. E molti temono un futuro nero: politicizzazione della magistratura, indebolimento dei controlli e degli equilibri esistenti tra i vari poteri della democrazia israeliana, restrizione della libertà d’espressione, persecuzione di giornalisti, sinistra, arabi, comunità LGBTQ. Insomma, la fine della democrazia così come in Israele è stata conosciuta sin dalla sua nascita. È un diluvio di retorica? È la realtà che attende Israele?

L’altro blocco è distrutto, fermo a 51 seggi. È vero che ci sono stati molti errori di ‘tecnica elettorale’, diciamo: la scarsità di aggregazioni e una moltitudine di liste, dovuto ad arroganze, megalomanie, euforie ingiustificate. È vero che il partito di centro-sinistra del premier uscente Yair Lapid è aumentato, ma a spese degli altri partiti del blocco, tutti molto stanchi, come il partito degli ebrei russi di Liebermann, che si ferma a 6 seggi e arretra in tutto il paese. Ma soprattutto è la sinistra che è sopraffatta: il labour, il partito che ha costruito il paese e lo ha guidato dal 1948 al 1977, è poco sopra la soglia del 3,25% e porta a casa 4 miseri seggi; addirittura il partito più a sinistra, Meretz, rimane fuori dal parlamento. Eppure era nell’aria sin dall’inizio della campagna elettorale, e in molti avevano spinto perché il Meretz si presentasse assieme al partito laburista, ma la leader di quel partito, Merav Michaeli, non ha voluto anche se, a leggere i programmi dei due partiti, è difficile trovare delle differenze. L’altra vera notizia insomma è questa: la sinistra in Israele è scomparsa. Ma è un tema non solo israeliano, qui da noi lo sappiamo bene.

Ora la sinistra deve pensare a riorganizzarsi. Non c’è più spazio per frammenti di partiti, per minuzie semantiche o per una ricerca microscopica di differenze reali o immaginarie tra centrosinistra e sinistra. La battaglia è ormai tra blocchi ideologici e la guerra all’interno dei blocchi, principalmente in quello di centro-sinistra, significa il suicidio e asservire l’opposizione.

Servono idee nuove. È chiaro a molti che senza un cambio delle relazioni tra ebrei e arabi all’interno di un campo democratico, questo campo non esiste. L’argomento che il centro-sinistra sia dipendente dal voto degli arabi – che sono il 20 per cento della popolazione – non è una paura sventolata dalla destra, è invece la realtà per fermare i pericoli che la destra pone, anche se basata da un comune interesse che non cancella le vere, grandi differenze d’identità e di ideologia e le disparità sociali. È un argomento enorme, che non può certo essere affrontato qui, ma un processo deve partire, e certo non solo quando si vota.

L’alternativa a quest’atto di coraggio della sinistra – la fusione e non la dispersione – è adesso sotto gli occhi di tutti: che lo Stato d’Israele sia trasferito all’amministrazione di bande e milizie politiche, che piazzeranno mine esplosive sotto ogni istituzione democratica, e trasformeranno Israele in uno Stato per due diverse nazioni ebraiche. È una lezione che da Israele arriva a tutti noi.