16 Ottobre 2024
Words

Il caso Regeni e la politica mediterranea italiana

Ai tempi di Giulio Andreotti, il turpe assassinio del giovane ricercatore friulano sarebbe stato risolto in un quarto d’ora. Siccome è ovvio che la tragedia di Regeni è nata all’interno degli apparati di sicurezza del Cairo, che Al Sisi non controlla completamente, il Divo Giulio avrebbe mandato la persona giusta in Egitto, lo avrebbe fornito di credenziali imbattibili, questi avrebbe parlato a quattrocchi con il rais e si sarebbe trovata una verità indistruttibile, valida per entrambi i Paesi. Non era necessario che il tramite fosse un italiano, sarebbe anzi andato meglio un capo di Stato arabo amico di entrambi. Sempre ai tempi di Andreotti, c’era infatti disponibile Gheddafi, che non avrebbe certo negato un favore allo statista ciociaro. Ora, invece, in Libia c’è la democrazia…

Probabilmente Andreotti avrebbe aggiunto alle richieste un congruo risarcimento alla famiglia Regeni, una lettera di scuse dello Stato Egiziano all’Italia e tutto il  resto sarebbe andato liscio come l’olio. Invece, con questa repubblica italiana delle giovani marmotte tutte le tensioni internazionali finiscono per mandare i dilettanti allo sbaraglio nel pallone.

Ma qual è, poi, la situazione dell’Italia nel quadrante mediterraneo? Pessima. Chi osserva il caso Regeni da fuori capisce che il nostro Paese non reagisce bene a nessuna crisi e quindi c’è il pericolo di qualche altro colpo basso. Le relazioni internazionali non sono argomento per educande, la lotta per la vita nel mondo globalizzato è un gioco a somma zero, vinco quello che tu perdi. La British Petroleum sta infatti facendo pressioni per un contratto energetico con l’Egitto. E François Hollande sta   per recarsi  al Cairo per firmare numerosi contratti, tra cui  una fornitura per la Difesa egiziana che vale almeno un miliardo di Euro. Inoltre, l’Egitto non partecipa con sufficienti  truppe alla guerra saudita contro lo Yemen e non ha richiesto l’esilio per Bashar El Assad.

Questo, come si può immaginare, fa arrabbiare sia Riyadh che Washington, che stanno per bollare il regime di Abdel Fattah Al Sisi come, ahinoi, “non democratico”. I sauditi, peraltro, sono i primi investitori in Egitto, con otto miliardi di Usd per anno. E, per rinsaldare questa tiepida amicizia tra  gli egiziani e i sauditi, quest’ultimi forniranno al Cairo ben 20 miliardi di prodotti petroliferi e un accordo sugli investimenti, da parte di Riyadh, di 1,5 miliardi di Usd per il Sinai.

Nel frattempo, la Cina ha concluso l’acquisto del maggior porto greco. Il Pireo quindi diverrà tra poco il maggior porto per container del Mediterraneo. Israele sta raggiungendo accordi energetici con la Grecia e Cipro per realizzare la East-Med Pipeline, che andrà dallo Stato Ebraico a Cipro fino alla Grecia. E’ un accordo antiturco, come è facile immaginare. Proprio la Gran Bretagna, il Paese nel quale lavorava Giulio Regeni, ha già  concluso un accordo con il Cairo per lo sfruttamento del giacimento di gas naturale Atoll a nord di Damietta, ad est del Delta del Nilo.

Ecco, questi sono i risultati della imperdonabile leggerezza con la quale è stata gestita la questione Regeni, che doveva essere risolta con una telefonata, da Capo di Stato a Capo di Stato. E l’uscita di fatto dell’Italia dal mercato egiziano prefigura le pessime figure che  presto ci faranno fare in Tunisia, in Marocco, perfino nella ormai “democratica” Libia, dove l’ENI potrà scordarsi il suo primato. Era questa, d’altronde, la motivazione del sostegno francese alla rivolta dei jihadisti di Bengazi, si trattava di portare, naturalmente, la “democrazia”.