8 Dicembre 2024
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Jaan Kross, Il pazzo dello zar, Iperborea 2016, pag. 448, € 19,00, traduzione dall’Estone di Arnaldo Alberti.

 

 

E’ considerato il capolavoro di Jaan Kross (1920-2007), uno dei più grandi esponenti della letteratura baltica contemporanea, Il pazzo dello zar. E’ un romanzo storico che si sviluppa nei primi decenni del XX secolo in Estonia, sotto lo zar Alessandro I e Nicola I, completato da una documentazione da parte dell’autore, che dimostra la veridicità di fatti, personaggi, situazioni. Kross è stato condannato ad otto anni di prigione per questa sua libertà di pensiero, prima della indipendenza dell’Estonia.

In una società divisa tra nobiltà terriera e servi della gleba, dove non era ammessa possibilità di contaminazione alcuna né di contatti, ma tutto si riduceva a ossequiosa obbedienza servile, dove i servi non erano abituati a pensarsi come persone con diritto alcuno, il fatto che il barone Timo von Bock scelga come sposa Eeva, la figlia di un contadino “cresciuta nel letame”, che prima di sposarla le permetta l’accesso alla cultura, affidandola per anni ad un precettore di fiducia, è considerato offensivo per la nobiltà. E che abbia strappato alla miseria anche il fratello di lei Jakob per non farla sentire sola, offrendo anche a lui le stese possibilità di crescita culturale, è considerato una ulteriore pazzia. I due fratelli si trovano a vivere in una terra di mezzo, lontani dalle origini in cui finiscono per non riconoscersi, ma rifiutati dal contesto sociale di Timo.

Ufficiale dell’esercito che ha combattuto eroicamente contro Napoleone, Timo è in rapporti così stretti con lo zar – tardi si scoprirà la ragione dell’interesse di Alessandro per lui- che lo zar si è fatto promettere sotto giuramento che il barone gli dirà sempre quello che pensa, con onestà intellettuale e rispetto della verità.

Timo ha dentro di sé un’idea ben chiara di giustizia sociale. di parità di diritti, di rispetto umano, idea che guida le sue azioni ed il suo comportamento sia verso chi sta più in basso che verso chi sta in alto, così mette su carta le critiche allo zar, ed espone tutto ciò che ritiene necessario per un Paese davvero migliore. Ma lo zar non può accettare che la sincerità arrivi a tal punto, di conseguenza scatta per Timo l’arresto nel 1818, quando si è sposato da poco ed Eeva aspetta un bambino. Rimane nove anni in carcere, in situazioni di estrema sofferenza, di isolamento totale da ogni notizia dei familiari, finché viene liberato ma costretto a vivere al domicilio coatto, questo solo perché è considerato pazzo.

Il lettore rimane a chiedersi fino in fondo se la pazzia sia reale, se il riconoscimento di questo stato non nasconda un atto di interessata generosità da parte dello zar, e soprattutto quale sia il confine tra le parole di un pazzo o di un fingitore nel quotidiano rapporto con i familiari e con gli estranei. Timo infatti oscilla tra manifestazioni di perfetta lucidità e capacità di lettura critica delle situazioni, e ammissioni personali di instabilità mentale. Nella sua residenza sa di avere intorno spie governative che relazionano sul suo comportamento e su qualsiasi elemento dubbio che possa diventare ulteriore accusa contro di lui o che possa indicare le sue intenzioni, soprattutto quella della fuga. Tuttavia per Timo rimanere in Estonia diventa una sottile forma di vendetta, in quanto vuole essere “un chiodo di ferro nel corpo dell’impero”.

Il figlio di Eeva e Timo è richiamato a corte fin da bambino per essere educato lontano dagli influssi negativi del padre, così lui sa di avere un figlio ossequioso del sistema, che non accetterebbe mai le idee progressiste di famiglia né tantomeno le accuse allo zar. In quel ragazzo che cresce sempre più lontano Timo riscontra il suo fallimento.

Kross fa raccontare la storia da Jakob attraverso le pagine di un diario tenuto nascosto con cura, in quanto contenente verità che sarebbero compromettenti. Si intrecciano a quelle di Timo le vicende personali di Jakob ed in contemporanea il romanzo si popola di personaggi minori a contorni netti, mentre si ricostruisce il contesto ambientale e storico. E si lasciano domande irrisolte.

 

 

 

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.