9 Dicembre 2024
Words

Candidati indagati

Luciano Passariello, di «Fratelli d’Italia», è stato indagato – da candidato alla camera nel collegio di Secondigliano, per una storia su corruzione e finanziamento illecito ai partiti nel settore dello smaltimento dei rifiuti. Si è dimesso da assessore a Salerno pure Roberto De Luca, figlio del governatore della Campania, per un’inchiesta di fanpage che mette a nudo il sistema clientelare ancora nel settore rifiuti. E fin qui niente di nuovo. Candidati indagati e indagati che diventano candidati. Candidati poi eletti che vengono indagati e arrestati – come a Messina. Candidati non eletti che vengono indagati lo stesso. Indagati che diventano Presidenti del Consiglio. Uno strano connubio; una strana cosa. In questa nostra Italia: magistratura e politica sembrano inseguirsi a vicenda.

Perché? Non perché c’è stata Tangentopoli con cui la magistratura ha fatto politica. Attenzione, non dico che ha fatto politica con le sue sentenze, dico invece che ha cambiato la politica: l’ha fatta nuova…

Adesso però non c’entra Tangentopoli, siamo in una fase diversa. Basta un avviso di garanzia e subito ne parlano i giornali. Quando va bene seguono scuse, lacrime e dimissioni. Sembra un tragico rituale nel quale è incappato ora Passariello. Un tragico e drammatico rituale al quale non si può sfuggire. Al quale nessun indagato può sfuggire. Al quale nessun candidato indagato può sfuggire. Al quale nessun deputato, sia pure con l’immunità parlamentare, può sfuggire. Cioè ci sono almeno tre fatti: il primo fatto è un dato politico (qualcuno si candida), il secondo è un fatto di legalità (qualcuno viene indagato), il terzo è un fatto mediatico (se ne parla). Conseguenza di questi tre fatti è il discredito e lo sconcerto. Poi la politica ne prende atto: e ritira i suoi candidati. Candidati massoni nei Cinquestelle. Candidati immischiati in storie poco chiare. Insomma la magistratura non c’entra niente. Come al solito, e come si sa, essa segue logiche sue proprie e fa il suo dovere. C’entra il fatto mediatico e c’entra il reato. A questo punto si inserisce la politica e prende atto: candida o scandida. Insomma alla fine non resta che sperare, se si è candidati, di non venire indagati. Non resta che sperare di non commettere reati (si spera!). Non resta che sperare che la tv, la radio o Internet non ne prendano atto.

È un circo nel quale – e la magistratura non centra niente – si situano tre personaggi: il politico, il giornalista e l’opinione pubblica. Che genera e causa sconcerto e delusione. Mai una buona notizia! Mai una buona notizia in questo paese! Che un candidato abbia fatto una buona azione: come in quel film di Totò che si buttava nel Tevere e c’era uno che lo salvava… No. Niente buone notizie. Candidati indagati e reati. E allora il giornalismo ne prende atto e l’opinione pubblica condanna o assolve. E alla fine? In questo circo politico-giornalistico-collettivo (l’opinione pubblica è un fatto collettivo) c’è posto per una domanda: chi indagherà gli indagatori? Chi candiderà i candidati? Chi giudicherà i giudicati? L’applauso allo spettacolo del circo a chi deve essere fatto? Al candidato salvo che non aveva commesso il reato? Al giudice che comunque l’ha indagato? Al giudizio della gente che si bea della propria correttezza e onestà? È tutta una burla.

I fatti, i fatti. Non le interpretazioni.

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.