16 Ottobre 2024
Words

Arrestato uno degli assassini di Emanuele Scieri

Uno degli assassini del giovane parà Emanuele Scieri si chiama Alessandro Panella e l’hanno preso mentre stava per andare negli Stati Uniti.
Ormai è chiaro che Emanuele, 26 anni, una laurea in giurisprudenza prima della leva, è morto perché vittima di violenti atti di nonnismo. Quella sera del 13 agosto 1999 Scieri fu prima svestito e poi percosso con pugni e calci. Poi fu costretto a salire su una scala alta 10 metri, utilizzata per l’asciugatura dei paracadute da dove, “in conseguenza degli atti di violenza e minaccia in atto”, precipitò. Secondo gli inquirenti Panella e gli altri indagati nascosero il corpo di Scieri sotto un tavolo per non farlo notare. Tanto che il parà vennne trovato solo tre giorni dopo, il 16 agosto.
Nell’accusa nei confronti dell’ex parà Alessandro Panella ci sono anche intercettazioni ambientali. In particolare una conversazione con il fratello è risultata secondo il gip di Pisa che ha firmato l’ordinanza, Giulio Cesare Cipolletta, di particolare rilievo. Commentando la perquisizione che Panella ha appena ricevuto, l’indagato dice che gli anfibi che gli sono stati sequestrati non sono quelli che indossava nell’agosto del 1999, ma un altro paio più nuovi. I “vecchi” erano stati buttati via appena una settimana prima. “Davvero?”, chiede il fratello. E quanto ottiene conferma da Alessandro Panella, il fratello risponde sollevato: “Che culo”. Panella chiede inoltre al fratello perché sono stati presi gli anfibi e non il basco. “Mica l’hai preso a bascate”, dice ancora l’interlocutore al telefono.

La morte di Emanuele Scieri fu dal principio spacciata per suicidio e le vere responsabilita’ sono state coperte per anni dalla catena di comando della brigata Folgore. Questa la
conclusione cui era giunta la Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso nella passata legislatura.
“Gli elementi da noi riscontrati dopo aver acquisito quasi seimila pagine di documenti e svolto 45 audizioni – le parole della presidente della Commissione, Sofia Amoddio (Pd) – consentono di escludere categoricamente la tesi del suicidio o di una prova di forza alla quale si voleva sottoporre Emanuele scalando la torretta, tesi che nel ’99 la catena di comando della Folgore suggeri’ alla magistratura. La consulenza cinematica di tecnici specializzati ha accertato che la presenza di una delle sue scarpe ritrovata troppo distante dal cadavere, la ferita sul dorso del piede sinistro e sul polpaccio sinistro sono del tutto incompatibili con una caduta dalla scala e mostrano chiaramente che Scieri e’ stato aggredito prima di salire sulla scaletta”.
La commissione ha fatto dunque emergere “le falle e le distorsioni di un sistema disciplinare fuori controllo e ha rintracciato elementi di responsabilità”. Elementi che sono stati consegnati lo scorso anno alla procura di Pisa, che ha riaperto le indagini fino agli sviluppi di oggi.

“La vicenda ha avuto un’accelerazione nella giornata di ieri perché una delle tre persone da tempo
indagate stava per lasciare il territorio nazionale e sarebbe stato complicato riportarcelo”. Lo ha detto il procuratore di Pisa Alessandro Crini in merito all’arresto effettuato dalla polizia per la morte di Emanuele Scieri, il 26enne parà di leva trovato morto il 16 agosto 1999 nella caserma Gamerra a Pisa.
L’accusa contestata è concorso in omicidio volontario. “L’indagine ha consentito di perfezionare la conoscenza relativa al nonnismo: questo dato emerge anche con modalità tali da ritenere che contro Scieri ci sia stata un’aggressione da parte dei ‘nonni’ anche mentre era a terra. Si tratta di ipotesi indiziarie che sono suffragate anche dalle consulenze tecniche allegate alle conclusioni della commissione parlamentare d’indagine”. Ha detto ancora il procuratore Crini.

“Sono incredulo, è stata un’emozione fortissima…”. Non riesce a dire altro per la commozione Francesco Scieri sugli sviluppi dell’inchiesta della Procura di Pisa sulla morte di suo fratello Emanuele, allora 26enne il cui corpo fu trovato il 16 agosto di 19 anni fa nella caserma Gamerra, sede del centro di addestramento della Folgore. Gli arresti domiciliari a un ex commilitone e l’iscrizione di altri due militari nel registro degli indagati per concorso in omicidio, con l’ipotesi di ‘nonnismo’, aprono la “speranza che si arrivi finalmente ad avere verità e giustizia”. “Ho sempre avuto fiducia che prima o poi si riuscisse ad afferrare il bandolo della matassa – afferma Isabella Guarino, madre di ‘Lele’ – adesso vedo finalmente la luce della verità in fondo al tunnel”. Sono forti le emozioni che le attraversano mente e cuore: “Sono emozionata, frastornata, incredula: è un insieme di sentimenti, in questa giornata in cui penso a mio marito che ha tanto lottato alla ricerca della verità”. Ma il dolore resta forte e insopportabile lo stesso per la donna, e nessuna inchiesta o sentenza potrà cancellarlo: “Siamo soddisfatti – dice con voce bassa – ma nessuno ci potrà ridare Emanuele: è un  dolore costante, non ho più mio figlio che amavo”. Ha ricevuto la notizia degli sviluppi giudiziari nella casa al mare, a Noto, dove è in vacanza e dove si trovava 19 anni fa quando ricevette la notizia della morte di suo figlio Emanuele. Dalla scomparsa del marito, nel 2011, si è trasferita al Nord Italia per stare vicino all’altro figlio, Francesco. “Sapevo che la Procura di Pisa stava indagando e questa mattina – conferma – sono stata informata dai magistrati, ma non conosco i dettagli dell’inchiesta. Da 19 anni chiediamo verità e aspettiamo le risposte alle nostre tante domande. Mio marito – ricorda commossa – ha lottato fino alla fine, anche se stava male, per chiedere giustizia”.
E al papà di Emanuele si “sente di dedicare questa giornata” Carlo Garozzo, presidente dell’associazione ‘Giustizia per Lele’. “Corrado – sottolinea – che non c’è più, è stato un vero combattente per la verità”. Gli amici di Emanuele dopo solo un mese si costituirono in associazione per ricercare la verità su quanto accade nella caserma Gamerra di Pisa quel 13 agosto 1999. “E’ una notizia che premia la società civile – sostiene Garozzo – quella che ha chiesto la commissione parlamentare d’inchiesta e non si è arresa, mai, perché sapeva che Lele era stato ammazzato in quella caserma: l’hanno lasciato morire e qualcuno l’avrebbe potuto salvare…”.

(fonte ANSA)