9 Dicembre 2024
Sun

Sara Taylor, Il contrario della nostalgia, Minimum Fax 2018, pagg. 295, € 18,00

Lo dico subito: non ho letto il libro di esordio di Sara Taylor, Tutto il nostro sangue (titolo originale The Shore), che tutti dicono ancor più magnifico, ma basta questo suo secondo, Il contrario della nostalgia (titolo originale The Lauras, traduzione italiana di Assunta Martinese) per non aver dubbi sulla statura di questa giovane scrittrice americana.

Dopo un litigio con il padre di Alex, Ma trascina Alex fuori dalla camera da letto fino a compiere insieme un lungo pellegrinaggio dalla Virginia alla California, passando per svariati stati degli USA e per il Canada, ripercorrendo vicende e incontri di un suo enigmatico e avventuroso passato. È una storia di fughe, avventure, genitori inaffidabili, famiglie in affido, collegi religiosi, amori bisessuali e lavori di ogni tipo, rivelata ad Alex di volta in volta a ogni nuova destinazione e a ogni nuovo incontro, nel corso di due anni on the road. Nel frattempo Alex, in piena pubertà, si cala sempre più profondamente alla scoperta della propria identità androgina, basata su un estremo rifiuto di connotarsi come maschio o femmina  e, scoprendo progressivamente il passato della madre, avvia il proprio futuro verso un orizzonte sconfinato. In un certo senso è proprio il viaggio all’indietro di Ma a liberare Alex nella direzione indicata anche dal titolo italiano, opposta alla nostalgia. Il libro racconta così, intrecciando i due destini, un’epopea  di libertà, lirica e struggente, capace di farci riflettere, stupire, preoccupare, sorridere ed emozionare.

La cosa rilevante più di ogni altra è come la Taylor, con delicatezza e spavalderia insieme, sappia mantenersi in un miracoloso equilibrio tra la ricerca letteraria e la capacità di coinvolgere e avvolgere il lettore con la narrazione. Nel caso specifico riprende e varia il racconto per episodi sperimentato nel libro d’esordio, seppure in un contesto più uniforme, concentrato su pochi personaggi principali, e, soprattutto, disegna in modo sperimentale e virtuosistico la personalità di Alex. La sua vicenda è raccontata senza tradire mai con un pronome maschile o femminile il suo genere, donando così alla storia tutta la forza perturbante di un’identità sfuggente e libera, ma anche il chiaroscuro del suo dramma di crescita, di scoperta di sé e di difficile integrazione. Una sfida per la scrittrice, ma anche per chi legge e interpreta, tanto che, nelle prime due recensioni uscite in Italia, in una si parla di Alex come di un ragazzino e nell’altra come di una ragazzina.

«Piantala di prendermi per il culo. Sei maschio o femmina?»
Se chi conduceva l’interrogatorio riusciva ad arrivare fin lì, a quel punto era a disagio esattamente quanto me o, in alternativa, cominciava a incazzarsi, quindi di solito tagliavo corto dicendo: «Nel caso stessi confondendo sesso e genere, il genere non ce l’ho».
All’inizio trovavo snervante dover rispondere a quegli attacchi: poi cominciai a irritarli di proposito e a prenderci gusto. Tanto per cominciare dovevano essere proprio coglioni se pensavano che le mie faccende private li riguardassero in qualche maniera, e poi cosa importava se mi stavo evolvendo in un uomo, una donna o una specie completamente diversa? Conoscere il sesso di una persona non rivela proprio niente. Niente riguardo a quella persona, quantomeno. In compenso, se hai così tanto bisogno di saperlo, e se saperlo ti porta a trarre conclusioni su quella persona, su chi sia e come viva, e cambia il modo in cui ti comporti nei suoi confronti, suppongo che questo dica molto su di te.

Va detto che le personalità sia di Alex sia di Ma sono fondate sul desiderio di non conformarsi alle aspettative della società.  E che proprio il tema del rapporto tra identità, libertà e realizzazione personale è in definitiva il cuore palpitante del libro. Da questo punto di vista, il titolo originale appare un po’ sviante, ma merita di essere spiegato. The Lauras sono cinque donne incontrate da Ma nel suo passato. Cinque grandi relazioni che hanno segnato la sua storia e la sua personalità, in un misto di amore, amicizia, cameratismo e solidarietà femminili.  Sono i punti cardinali del passato che Ma sta ripercorrendo nel suo viaggio, preordinato nei dettagli su una mappa degli States, costellata di segni, stelline e annotazioni di ogni tipo.

«Perché si chiamano tutte Laura?» chiede Alex quando il loro viaggio è poco oltre l’inizio.

«Be’… Conobbi Laura da bambina, e quando sei una bambina di otto e nove anni, diciamo, e trovi la tua prima migliore amica, quella per te è la persona più meravigliosa del mondo e sai pr certo che sarà tua amica per sempre. Ma un giorno si trasferisce e lascia un vuoto. E poi incontri un’altra persona con lo stesso nome, e dato che hai otto anni una parte di te pensa… non dico che sia la stessa persona, non proprio, ma che magari le hanno fatte dallo stesso blocco di argilla. E allora prendi la nuova Laura e provi a ficcarla nel buco lasciato dalla vecchia Laura. E dopo, quando sei più grande, sai benissimo che le cose non funzionano in quel modo ma non ha più importanza, perché ormai le tue orecchie saranno condizionate e il tuo cuore batterà più forte a sentire quel nome. Spiccherà tra gli altri, e ti scioglierà qualcosa dentro, e dato che spicca tu presterai più attenzione a quella persona, e se presti più attenzione alla fine quasi sicuramente farete amicizia, finché non ri ritrovi a quarant’anni e ti guardi indietro e scopri che hai alle spalle una lunga fila di Laura e che erano tutte importanti, e non è solo una coincidenza, è quella bambina di otto anni che cerca di riempire il vuoto lasciato dalla prima Laura».

L’enfasi inevitabile che il titolo dona alla questione va dunque indirizzata verso il suo significato più profondo: l’importanza degli incontri, delle relazioni, della qualità umana di chi con la sua presenza e partecipazione è elemento fondante dello sviluppo della nostra personalità . Del riconoscimento di cui la nostra libertà d’essere ha bisogno per rispecchiarsi nell’altro. Naturalmente prima di tutto questo avviene (o non avviene) entro la propria famiglia e infatti, non per caso, questa è anche una grande storia di famiglie e prima di tutto del rapporto mother/child.

Quando tornai, dopo un’oretta, mia madre stava ancora dormendo, la nuca contro il poggiatesta liso, il viso rilassato ma il corpo ancora teso, i muscoli contratti. Mi sembrò di non averla mai vista prima, come se avessi continuato ad aggrapparmi a un’immagine di lei che era un’abbreviazione, per metà il ricordo di com’era quando avevo sei anni, e per metà l’idea di «madre» che a pensarci non era troppo diversa dall’idea di «Dio». E come Dio, non avevo mai davvero pensato a lei come persona, notando invece solo quello che poteva fare per me, le possibili conseguenze della sua ira. Era cambiato qualcosa, in macchina vicino al confine del North Carolina, ma non avrei saputo dire se era cambiata lei, o solo il modo in cui la vedevo io.

Senza stare a scomodare le pagine sull’amicizia di Aristotele, è l’esperienza di fondare il rapporto con l’altro proprio sulla sua libertà d’essere appunto se stesso, indipendentemente dall’utilità o dal piacere che soddisfa in noi, che scatena a sua volta il nostro rispecchiamento, che permette a noi stessi di essere liberamente noi stessi. E così è per Alex, che in questa vicenda, proprio attraverso la comprensione dell’unicità di sua madre, cogliendone la lezione più profonda, spalanca l’ampiezza della strada su cui incamminarsi una volta giunti al termine del loro viaggio, in un finale più che mai aperto, giacché

è raro che le vicende giungano a un atto conclusivo, come i finali che tanto ci piacciono nei libri e nei film. Più spesso nella vita le cose si evolvono fiacche, sfumano e infine si estinguono, senza quel clic così appagante, lo scatto di una scatola che viene chiusa. È per questo che leggiamo i libri, guardiamo i film, e ascoltiamo i racconti, perché vogliamo disperatamente sentire quel clic e la vita non ce lo concede mai.

E di quei clic che fanno innamorare i lettori, anche senza chiudere le scatole, anzi aprendone a ogni pagina una in più, la Taylor a chi vorrà leggerla ne offre molti.

Martino Baldi

Martino Baldi è nato nel 1970 a Pistoia. Già giornalista televisivo, organizzatore culturale e scrittore, suoi testi poetici, narrativi e di critica sono presenti e dispersi in volumi, riviste e antologie in Italia e all'estero. È caporedattore della rivista "The FLR - The Florentine Literary Review". Lavora come bibliotecario alla Biblioteca San Giorgio di Pistoia, per cui ha ideato e organizza il festival letterario "L'anno che verrà - i libri che leggeremo".