27 Luglio 2024
Culture Club

Mariolino Corso, ala sinistra

Mariolino Corso giocava la sua partita in un metro quadrato di campo e non correva. Da quell’avamposto scrutava l’orizzonte, cercando nell’aria il varco sottile, la crepa impercettibile nella postazione avversaria. La palla arrivava a lui come a un padrone naturale: coccolata, vezzeggiata, domata, sapeva ripartire quando lui voleva, infiltrarsi tra le schiere avversarie, offrirsi a piedi alieni, ancorché amici, per portare a compimento quell’insolita costruzione, recare il danno ambito, penetrare nella rete.

Tuttavia la palla non sempre riusciva a separarsi da lui, perdeva di vista la mèta, naufragava nei meandri tiepidi dei calzettoni srotolati, nei giochi pure dei tunnel e dei dribbling a rientrare, restava lì, in quel metro quadro, vivacchiava lieta e non voleva nient’altro che lui, o meglio i piedi suoi, assurti a sfinge, trastullo, poema.

Mariolino Corso giocava da solo, traccheggiava, si divertiva, tuttavia all’improvviso succedeva – variazione fissa del copione – che la palla si alzasse in volo e ricadesse proprio lì dove l’avversario tace e guarda la terra nudo, incapace di ogni altra azione. Mariolino Corso questo lo sapeva, e lo sapevano anche i suoi compagni, che restavano come in attesa. Perché prima o poi succedeva.

Mariolino Corso aveva anche la pancia, che in un calciatore è segno inequivocabile di classe superiore.