13 Ottobre 2024
Sun

Alessandro Canzian, Il Condominio SIM, Lacollanastampa 2020. pg. 104 € 14

 

Al tempo della società agricola nelle corti vivevano famiglie che condividevano spazi comuni, l’aia, il forno, il pozzo, e si scambiavano favori e liti – come succede tra vicini – ma erano presenti.
Un condominio le ricorda: tutti sono raccolti intorno alla stessa rampa di scale, a salire sullo stesso ascensore, a vivere gli stessi spazi comuni. L’abitudine e l’educazione portano il saluto, talora due parole e un sorriso, una condivisione. Regala, il condominio, la sensazione di non essere soli.
Alessandro Canzian, in Il Condominio S.I.M. ha recuperato volti e creato storie intorno ad Olga, Carlo, Anna, Giulia, Silvio, Alberto, Alina, Aldo: l’immaginazione cammina oltre le pareti sottili che lasciano passare voci, passi, vita; “Non conosco la ragazza di nome Olga, ma la penso”.
Delle creature femminili – tra il reale ed il sognato – segue il ticchettio dei tacchi, sente il fruscio degli abiti, il respiro, il grido di piacere, il grido di dolore: “dolore è pari al suo piacere/oltre il tappetino che divide/il tessuto molle dalla vita”.
Poca felicità e concessa: “Misurano cinque passi/ le sue felicità”.
Eppure non percepiamo il peso della corporeità: “Giulia, è tutta un’invenzione./Una finzione che si pensa/il luogo delle sue ginocchia”. Sentiamo le figure femminili leggere come i sogni, ma di una conturbante femminilità che si esprime in ogni  gesto. Della loro vita fuori dal condominio non si sa nulla, compaiono solo rari cenni: “le gambe lunghe,/gli shorts, spesso, e i tacchi/la sera quando esce”.
Tuttavia immaginarle racchiuse in spazi ben definiti estende la fantasia e forse il desiderio: “Olga il lunedì la penso/con un vestito ampio, colorato,/il martedì con un qualcosa/di più aderente, alla sua pelle”.
Le creature maschili sono più cariche di pathos, di assenza, le caratterizza la ricerca e l’attesa: “in attesa/di qualcosa che non passa”. Ma “è inutile attendere l’attesa”. L’orecchio si tende, l’occhio coglie e apprezza le forme: “Guarda/solo la ragazza che pulisce,/quella nuova, quando/si piega in avanti e mostra/il motivo del suo dolore”. Arriva alle narici il profumo di donna: “Si vede da come le annusa/il seno quando passa/arrotondata in un caffè”.
La bottiglia serve per “dimenticare/il tempo che ci è dato” e per confortare nella solitudine – che non è necessariamente isolamento dagli altri: “Non si può essere più soli/di quando non si è soli”.
Anche i libri servono per cercare tra le pagine, talora inutilmente, risposte alla vita ed all’amore: “libri accatastati/e scorpioni e scarafaggi. Credo/Silvio li tenesse apposta/per ricordare cos’è l’amore”.
Il dolore è ovunque presente: “Giulia esce sconvolta/anche quand’è compita”. Sembra echeggiare su per le rampe della scala e fa di ogni creatura un universo che contiene la sintesi delle difficoltà dell’esistenza: “Grida/a volte di notte perché/tutto ciò che è trattenuto/alla fine esplode”. Ma sono tutte figure molto dignitose, volti giovani o volti stanchi.
Questo condominio non tace, nell’ingresso i ragazzini giocano gridano si rincorrono, sulle scale ci si incontra quando l’ascensore non funziona e si ascoltano spiegazioni non richieste: “Finché guardandomi ha detto: «dai, mi scappa la pipì». E si segue la sagoma di che scompare dietro una porta, disponibili ad alleviare qualche solitudine: “ Non fa/differenza l’età, direbbe Aldo./La solitudine non invecchia”.
Sono creature raccontate per nome, ripetuto per tutta la durata della loro storia, per sottolinearne la concretezza, il loro esserci.
Un velo di umana pietas si stende su tutti: “Quel/che più conta è essere figli/prima che uomini”; assente il giudizio sugli errori umani, ché nella vita c’è spazio per sbagliare e per correggersi e dal perdono non si può prescindere: “Perché passare dal suo uscio/significa perdonare i suoi errori/…troppa serietà e posatezza/non fanno un uomo”.
Intanto le stagioni trascorrono e il ricordo della bellezza di un tempo diventa nostalgia: “Di quei giorni in cui/era giovane e bella/e aveva denti pieni e bianchi/e caviglie lunghe e strette”. Sfuggono rapide le occasioni della vita: “Fa’ tutti gli errori che puoi/perché poi non avrai più tempo”.
Il vento porta le foglie fin dentro il portone, per far dannare la ragazza delle pulizie.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.