2 Maggio 2024
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Marzia Callai, L’invention du temps, L’ours de granit, Mende (F) 2023, 120pp

In questo suo nuovo percorso (progetto) di scrittura, Mazia Callai partendo e portando con sé echi e temi del precedente lavoro ‘In questo mare, in questa pietra’, penso al rapporto tra natura, essere, destino, rafforza l’esito della parola nell’urgenza di sapere e dare compiutezza al tempo, di fatto indecifrabile, tuttavia sempre di fronte a noi, per versanti. Il titolo, offre una prima chiave di lettura dove l’essere e pensare vengono messi in una linea di tensione ben marcata, del resto la condizione, una delle condizioni più vicine alla poesia, sta nel comprendere come uniamo le cose, dare nome alle stesse, renderle prossime al nostro sguardo. Cosa dire della vita tra memoria e presente, vuoti e pieni, dimenticanze? Solitudini. Se Callai trova in momenti, (movimenti) alcune parole che avvicinano l’idea tempo, ‘perfezione, attesa, invenzione’, le stesse svelano lentamente quali condizioni animano il tessuto del vivere, assoluto e quotidiano, usuale ed entusiasmante, ripetitivo e affascinante. Si tratta allora di procedere per inserti. A esempio si veda a pagina 82 e 88 il tema dell’ombra. Inseguiamo ombre in un ‘lento scivolare’ e ancora le ombre assediano ‘nello straniamento di giorni/rinchiusi/avversi ad ogni ragione’, eppure le ombre stesse non sono altro che una luce disadorna che trema intorno alle giornate che ci dicono, nell’incertezza vissuta, qualcosa di cui avvertiamo la presenza. Pagina 90, ‘Passano ombre/e si voltano a compiacersi/nello specchio di nuove vanità/nell’assedio di spazi pieni/. Forse, la stessa pagina bianca amata dall’autrice, ‘Io amo la pagina bianca/con qualche segno appena’, cela un’ombra che apre a nuove prospettive di senso e passione perché la troppa luce acceca, mentre i chiaroscuri consentono di vedere meglio quello che ci sfuggiva; il non visto che a gradi si propone allo sguardo, un affiorare di cose a cui ogni uomo e donna sono legati tenacemente, per frammenti sparsi. Persone, paesaggi, quanto ‘sfila negli spigoli della notte’. Diversi scritti ci rimandano proprio ai frammenti dell’esistenza, labirinti in cui i mesi si sgranano davanti ai nostri occhi; ora è l’indistinto, parola che torna nei versi dell’autrice. E i bagliori, l’attimo, fianchi e bordi, a comporre une geografia capace nel sentimento di un’età matura di tenere vive le esperienze fatte, l’amore pur nella sua trasformazione. I battiti, un fremito che attraversa schiena e petto. Riprendendo da ‘Festa di nozze’ di Pasternak un verso a cui potrebbe riferirsi anche Marzia Callai, abbiamo l’occasione per estendere il campo del desiderio. ‘Anche la vita è un istante soltanto, /solo un dissolversi/di noi stessi negli altri/come in dono…’. È lo spazio dell’alterità, un io-tu inalienabile a ridare prospettiva alla vita, (dono) così quando cantiamo sul balcone, parliamo con il nostro vicino di casa, chiamiamo un amico al di là della strada, ritroviamo gli occhi della persona con cui abbiamo vissuto intensamente la nostra storia d’amore, ‘quando il futuro era l’attimo/e lo spazio finiva con noi’. Consegnarsi all’idea di un tempo in cui proprio ‘i barlumi di storia’, riprendendo il titolo di un bel libro scritto da Giovanni Raboni, seppur nelle ferite, lacerazioni, portano ad ‘abitare il silenzio ‘, pensando che l’oblio non sia la cancellazione di quanto è stato ma sia un modo per preservarlo lasciando trasparire dai fiordi della memoria, rovesciata nel presente verso il futuro, (Eliot) i molti attimi infiniti e mai persi. Come ricorda Marzia Callai, ‘le radici dei giorni’.

[di Massimo Daviddi]