27 Luglio 2024
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Recovery Fund approvato

L’accordo del consiglio europeo raggiunto alla fine della notte del 23 luglio scorso, fa permanere, e la cosa non era affatto scontata, il totale dei 750 miliardi Next generation EU da tempo ipotizzati nel primo incontro franco-tedesco, ovvero della locomotiva tedesca e del vagone francese. Alla fine cambia il rapporto tra grants e funds, doni e prestiti, 390 i denari a fondo perduto, 360 i funds. Peraltro, all’inizio delle trattative, anche l’Olanda pensava a un rapporto quasi paritario tra prestiti e fondi.
Tra questi finanziamenti-doni, la Resilience and Recovery Facility sarà di 312,5 miliardi, mentre sono stati ridotti i fondi per i trasferimenti relativi a specifici e preesistenti programmi europei, che vanno tutti a un totale di 77,5 miliardi, rispetto alla somma iniziale di 190 miliardi. È stato azzerato anche lo EU4Health. Chi vuole finanziare il suo sistema naturale si rivolga quindi al MES, o meglio allo specifico programma PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programm), specifico per gli apparati sanitari. Sono rimasti con pochissimi soldi il Just Transition Fund e il Fondo Agricolo.
Il totale del bilancio europeo rimane a 1074 miliardi, a garanzia dei prestiti futuri.

Si noti bene che la Commissione Europea non mutualizza il debito, anzi chiede al mercato i finanziamenti in funzione dei vari Paesi dell’Unione, che poi sono titolari dei prestiti acquisiti con la garanzia della Commissione.
Solo il fondo perduto UE è una parziale mutualizzazione del debito degli Stati, visto che solo con la garanzia sovrana della Commissione i titoli di debito che andranno sul mercato saranno definiti con la Tripla A.
L’Italia, ormai lo sanno tutti, ha preso teoricamente 209 miliardi, più dei 172,7 indicati all’inizio, ma è aumentata solo la quota dei prestiti (da 91 a 127). Non crediamo che, con questa classe politica e questa burocrazia, l’Italia sarà capace di spendere tutta questa quantità di denaro, anche se speriamo in un nuovo clima tra classe politica e popolazione, e tra governo e apparati burocratici.
Si noti bene che il “fondo perduto” generato dalla Commissione Europea sarà, appunto, ripartito tra i Paesi membri come debito, e quindi tanto quanto arriverà all’Italia, per esempio, tanto allora l’Italia sarà valutata con il proprio debito pubblico in rapporto anche a come si comporta con il ripiano dei titoli emessi con la garanzia della Commissione. I mercati finanziari votano tutti i giorni e a tutte le ore.
Poi, c’è un altro elemento da osservare con attenzione: l’accensione di un debito (soprattutto se tra Stati o tra Stati e Organizzazioni internazionali) va direttamente nel calcolo del rapporto debito/Pil. Quindi, tra grants, loans, titoli del debito pubblico nazionali, andremo dai 137,6% attuali, con l’aggiunta successiva di altre aste dei nostri titoli, a un probabile livello di 161% alla fine di quest’anno, con un tasso che rimarrà sopra il 145% nei prossimi anni. Il tutto, con un Pil a -9,5% e, forse, del 13% in meno alla fin del 2020, come affermano gli esperti di Bankitalia.
Pensare che non ci sia un accumulo di debiti, un glut tale da allarmare fortemente i mercati, è del tutto illusorio. Anche prevedendo dei miracoli, che non si possono mai escludere, la eventuale riduzione dell’indebitamento con l’aumento del solo Pil (altro miracolo!) pone tutta la questione legata al rientro in azione delle norme del Patto di Stabilità.
È vero che la Presidentessa della BCE ha stabilito che il PSPP, Public Sector Purchase Program, il programma della Banca Europea che acquista sul mercato secondario i titoli del debito pubblico dei Paesi Ue, il vecchio Quantitative Easing, acquisterà anche titoli del debito pubblico che i mercati definiscono junk bonds. Ma i “titoli spazzatura” (ad alto livello di insolvenza) incorporano sempre un alto tasso di interesse. Certo, la questione di un Paese importante della UE che inizia a emettere junk bondsdiverrà un bel problema anche per la Tripla A dei titoli garantiti dalla Commissione.

C’è poi ancora un altro problema, anche questo serissimo. Gli sconti maggiorati richiesti dai “frugali”, i rebates, sono notevoli: 322 milioni di sconto accordato alla Danimarca, 1921 milioni all’Olanda, 565 all’Austria, 1069 milioni alla Svezia.
Si riduce la propria quota nella finanza UE, in questo modo, ma si impone un aumento implicito delle quote per i paesi non “frugali”, senza contare la quota della Gran Bretagna, da ripartire ancora tra tutti.
Ci sarà anche la “condizionalità politica” sulla concessione dei crediti: i piani presentati dai vari membri UE saranno approvati dal Consiglio Europeo a maggioranza qualificata, mentre ci sarà anche un Comitato Economico e Finanziario, formato da tecnici di tutti i Paesi UE, che valuterà il livello di esecuzione e efficacia dei Piani approvati dalla Commissione.

È nata, con questo Consiglio, una UE a “geometria variabile”. Il premier olandese Mark Rutte (buon pianista che va sempre a pranzo dalla sorella) non ha affatto perso, mentre si consolida la rete dei Paesi detti “frugali” che ormai hanno creato un gruppo autonomo all’interno della Unione.
Poi, si è rafforzato anche il Gruppo di Visegrad, con Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, mentre il Gruppo UE-Sud è l’unico a non mostrare efficace coesione. Troppi debiti, sia pure inevitabili e necessari, una classe politica incapace di gestire una tabella di marcia finanziaria e di farla obbedire agli apparati, una crisi che certamente non finirà qui. Ecco tutto.