25 Aprile 2024
Sun

Richard Lloyd Parry, Fantasmi dello tsunami nell’antica regione del Tohotu, Exorma Editore 2021, pag. 324, €18,00, traduzione di Pietro Del Vecchio

L’undici marzo 2011, dopo una forte scossa di terremoto, un’onda di tsunami di trentasei metri colpisce la regione del Tohotu, a nord del Giappone, e uccide 18.000 persone.
Il corrispondente a Tokyo del “The Times”, Richard Lloyd Parry, per sei anni frequenta quel luogo sperduto, incontrando i sopravvissuti, ascoltandoli e trascrivendo le loro storie. Aveva sentito parlare, nell’estate dopo lo tsunami, di “una piccola comunità sulla costa che aveva subito una tragedia eccezionale. Si chiamava Okawa, giaceva in una piega dimenticata del Giappone, sotto le colline e tra le risaie, vicino alla foce di un grande fiume”.

Purtroppo sono così numerose e frequenti le tragedie che colpiscono questa nostra Terra e l’umanità intera, che non ne rimane notizia a lungo sui media, perché urgono altre informazioni, così il pensiero si acquieta, senza più pensare alle conseguenze lunghe, dolorose, del disastro e della tragedia. Come se tutto fosse risolto quando non se ne parla più.
E’ successo senza dubbio anche nella primavera del 2011, dopo che la TV aveva fatto arrivare nelle case immagini dello tsunami, degli allegamenti, della distruzione, notizia dei reattori fusi della centrale nucleare di Fukushima. Con un numero di vittime che cresceva, ma per noi, sia pur sconvolti e addolorati, senza nome e volto. Invece a Okawa, come nel resto della regione del Tohotu, la tragedia era senza fine.
In particolare la scuola di Okawa è stata oggetto della attenzione di Lloyd, o meglio quello che ne rimaneva, perché l’onda aveva sradicato alberi, case, aveva rivoltato e trascinato tutto ciò che si opponeva, scaraventando persone e cose anche a chilometri di distanza, sotto una coltre di fango nero e maleodorante.

E’ stata proprio la massa di pini strappati via a fare diga e deviare l’onda di tsunami nel fiume Kitakami, immensa, terrificante, che va ad abbattersi sulla regione del Tohotu. Scompaiono intere famiglie, i sopravvissuti non hanno casa. Vivranno a lungo in case di lamiera.

Dei bambini che frequentavano la scuola si sono salvati solo quelli che i genitori sono andati a prendere, rapidi, dopo la scossa di terremoto, per riportarli a casa, e pochi altri fortunati. Eppure in Giappone c’è esperienza di terremoti, di come affrontarli, di come mettersi in salvo; ed anche di tsunami che periodicamente di sono abbattuti su quelle terre dopo un forte terremoto, inoltre nella scuola come altrove ci sono regolamenti precisi da rispettare. Eppure un altoparlante stava percorrendo le strade avvisando di ritirarsi in alto, sulle colline intorno, perché cresceva la certezza dello tsunami.
I bambini sono stati messi al sicuro nelle vicinanze della scuola e poi addirittura guidati involontariamente nella direzione sbagliata, in bocca allo tsunami, nonostante alcuni di loro implorassero gli insegnanti di salire in collina. Trascuratezza? Eccessiva fiducia e non giusta valutazione del pericolo? Il preside dov’era o chi per lui?

Ma le colpe e responsabilità, anche se a lungo indagate e sottoposte a giudizio, e nemmeno i compensi che ogni famiglia riceverà, non restituiscono i figli.
Inoltre non si tratta solo di elaborare la morte di un figlio -e non basta per questo una vita intera, anche se si impara a convivere con l’assenza- il fatto è che non si trovano i loro corpi.
Si cerca dentro il fango per giorni, mesi, in mezzo alle macerie di case, alberi, di tutto ciò che prima esisteva, si scava sul fondo – una mamma sale sull’escavatore ogni giorno- e magari si trova solo una scarpa del figlio, o un corpo devastato di cui rimane un troncone difficilmente riconoscibile. Nient’altro.

E’ abitudine in Giappone, quando ci si allontana da casa pronunciare una formula rimasta invariata: itte kimasu, vado e torno, a cui si risponde itte rasshai, torna presto. “Lungo il corso del fiume Kitami, dalla laguna a est delle colline a ovest, con diversi gradi di alacrità e riluttanza, i giovani allievi della scuola elementare di Okawa e i loro genitori stavano producendosi nello stesso dialogo: itte kimasu, itte rasshai”, per la maggior parte di loro per l’ultima volta.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.