19 Aprile 2024
Words

Quirinalizie 2 – Verso la maggioranza assoluta

La guerra delle Due Rose durò trent’anni, devastò l’Inghilterra, distrusse la vecchia aristocrazia che l’aveva combattuta, e portò al potere un nuovo regime, la dinastia Tudor. Quella innescata ieri dalla rosa del centrodestra è durata poche ore, perché avrebbe potuto anch’essa essere l’inizio della fine per un sistema politico  già in affanno, e aprire le porte del castello a un novello Enrico VIII. Forse anche per questo il centrosinistra si è rifiutato di combatterla, snobbandola. Potrebbe perfino averla sabotata così. È infatti possibile che oggi il centrodestra voti il suo «campione», mettiamo Nordio,  e scopra di avere una trentina di voti in meno dei 453 su cui conta. Sarebbe il segnale che non ha i numeri per lo sfondamento, e potrebbe ricondurlo a più miti consigli.

Ciò che è rilevante della rosa di centrodestra diventano  a questo punto i nomi che non ci sono. Alcuni saltati all’ultimo momento. Dove sono spariti Casellati, Frattini, Tajani? Vuol dire che sono considerati invece spendibili per un colpo di mano al quarto scrutinio, quando basteranno 505 voti? Salvini potrebbe esserne tentato, con grave sprezzo del pericolo e dell’effetto Bersani di fare più o meno quello che provò a fare l’allora segretario del Pd nove anni fa, candidando a sorpresa e per acclamazione Romano Prodi. Sappiamo come finì. Solo che Bersani almeno sulla carta i voti ce li aveva. Salvini no. Deve cercare degli appoggi esterni. Può trovarli nel fantasmagorico gruppo dei Cinque Stelle e della sua diaspora?
Potrebbe provarci con Casellati, che in fin dei conti fu votata dal Movimento alla presidenza del Senato (ma allora in cambio di Roberto Fico a quella della Camera, e da allora i rapporti si sono guastati non poco). Oppure potrebbe provarci con Frattini, così gradito a certi ambienti pentastellati che ieri il Pd e Renzi hanno dovuto fare la voce grossa per toglierlo al più presto dal tavolo. Ma Salvini potrebbe aver presentato la rosa anche per un’altra ragione: prender tempo, dodici ore. E tornare così a sperimentare una via unitaria, un candidato che possano votare tutte le forze della maggioranza di governo.

Casini è l’ultima spiaggia, ci si deve arrivare col paracadute quando tutto dovesse sembrare perso. Ma c’è anche qualche altro nome in cui ancora spera Letta: gente come Amato, Severino, Belloni. Da lontano, sulla riva del fiume, Draghi osserva e aspetta.

[di Antonio Polito, tratto da Corriere della Sera – immagine da Openpolis]