26 Aprile 2024
Words

Sinistr*

Tanto l’aria s’ha da cagnà
Prima o poi s’ha da cagnà.
Ora viene da pensare a quanti ci hanno lasciato prima. Magari anche quello che hanno attraversato loro non era granché ma forse non pensavano al peggio, a ciò che appena hanno girato le spalle si è messo ad accadere. Scivolone dietro scivolone. Una guerra a uno sputo da casa. Ma che guerra. Che Putin non battesse pari lo pensavano anche loro. Bastava avere avuto occasione di passare da Mosca anche solo una volta negli ultimi quindici anni. Ricordo una guida, traduttore, accompagnatore, che dopo qualche Vodka tracannata al volo, conversando mi disse: “se chiudiamo le valvole voi patirete un freddo che non conoscete”. Nemmeno lui immaginava quel che si preparava. L’aria aveva un colore tetro, erano vistosamente armati i butta fuori del cafè Pushkin, le borsette delle belle ragazze contenevano spray urticante, ai ceceni – si diceva – meglio non dare la mano, valutano l’orologio che indossi e nel caso sono pronti e lesti.

Mosca ora non fa testo, un uomo la nasconde in una tasca della giubba da pazzi. Ma non di questo volevo parlare. In testa ho la perdita diffusa di senso e di relazione tra le cose. Quel che vien detto, quel che vien fatto. È tutto un recinto fuori dalle righe, di nascondigli. In piccoli gruppi si immaginano grandi, si parlano addosso, si scambiano pacche sulle spalle, fingono, e c’è uno che tiene una riunione dell’organo direttivo – tutti da remoto e lui che introduce, segue e conclude dondolando – sulla cyclette.

Allora la questione è dove sia la sinistra: stamani ne parlano Paolo Mieli e Massimo Giannini. Due a cui piace ricordare agli altri il ridicolo e l’urgenza, la parabola di Cristo morto dal sonno. Quando non si sa cosa dire si corre ad evocare il cambio delle lenzuola. Si guarda ai giovani, si chiamano come fu fatto con Debora Serracchiani, si provano, si finge, si invecchiano e per quell’andare il filo di Arianna si stringe. Non si vede l’uscita ma si può sempre simulare un’uscita. Ci sarà sempre qualche elezione che prima di essere persa dovrà essere corsa. E in quel tratto ci sentiremo per un attimo vivi.

E ora il punto: potremmo essere semplicemente quel che siamo? Potremmo unirci e trovar voce semplicemente a partire da quello di cui abbiamo bisogno?
Potremmo confrontare le preoccupazioni con le soluzioni. Sostituire le cure palliative che prendono atto e in carico la nostra dipartita con cure per condizioni soddisfacenti di vita. La grande prateria di cui non si parla e che è ricca di occasioni è la vecchiaia. La nostra oggi e la vostra domani. Un domani che non è solo prossimo ma anche veloce.

Quindi come dissero e scrissero molti per fare la sinistra non occorre un granché, occorre solo essere quel che siamo. Tutti. Dal giovane ucraino che difende la sua terra e la sua famiglia dalla prepotenza di aggressori che avendoceli sganciano missili in casa d’altri; alla ragazza iraniana che piuttosto si fa ammazzare di botte; al freddo che avanza abbracciato ad una nuova ondata di povertà che pensavamo sconfitta per sempre; alla precarietà del lavoro. Ma pure e soprattutto alla precarietà della condizione umana in cui galleggiamo. Lontani, soli, malati, annoiati e con davanti agli occhi solo cretini che ballano aspettando i tramezzini.

Il venticinque per cento di un qualsiasi gruppo dirigente della sinistra con qualche speranza deve aver compiuto 80 anni. Questo produrrebbe una vera e rara possibilità.