2 Maggio 2024
Sun

Riccardo Duranti, La metà dell’infinito, Edizioni ETS 2023, p. 104

“In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Giovanni 1:1, CEI): immediato il rimando alle parole di Giovanni, appena si legge di una scintilla primigenia che “si dirama/ si moltiplica e si diffonde”. Tutto è cominciato, scrive Riccardo Duranti, “con un balzo: /nel vuoto, nel silenzio”. Gli ostacoli non fermeranno il dilagare dell’energia creatrice.

Suddivisa in quattro sezioni, più l’Interludio. Piccola suite greca, la silloge è una conferma della importanza fondamentale della parola, per dare luce e senso alla vita.
Motivando More geometrico, Duranti riconosce che la sua vocazione alla traduzione e alla poesia nasce dal “senso del mistero provocato da una lingua altra” e dalla “tormentata relazione con la matematica “che gli ha fatto trovare rifugio nella poesia – Duranti è traduttore di tutta l’opera di Raymond Carver.

Contro il “linguaggio astratto e universale della matematica” i versi di Duranti racchiudono la ricerca continua del senso, sia pure attraverso il dolore: “A volte / un taglio netto all’Equatore / intercettato / da un paio di fendenti /meridiani /rivela del nucleo interno / del dolore /più di quanto si è disposti / a sospettare”.  La realtà diffonde un disagio strisciante e “qualche inquietante anomalia”, le vicende umane sono “caotiche” e “in questo chiostro scuro/ vagano monaci a capo chino”; la verità verso cui si tende rimane elusiva e irraggiungibile, negata è la possibilità di “mettere a nudo / il cuore della pietra”. Maschere sono i volti dove gli “occhi /contraddicono il sorriso”.

Nello scorrere ineluttabile del tempo che un “angusto imbuto” inghiotte voracemente mentre la strada si accorcia, l’unica pietra sicura a cui appoggiarsi sono i legami costruiti, anche se l’assenza ha il peso di un macigno: “ci sono legami / infrangibili /anche se non c’è modo / di tenerli insieme”. Contro la  “miccia lenta dell’abitudine” meglio andare alla ricerca di “ancore smarrite”, meglio galleggiare “libero alla deriva”: ancora un balzo, per sopravvivere e far sopravvivere i ricordi, accogliendo anche la nostalgia.
La parola di Duranti ci porta in mezzo ai colori dell’autunno, alla pioggia uggiosa dell’inverno, al crepitio di legna che arde nel camino, a cani e gatti, a cornacchie che “remigano calme / foriere di pioggia”, agli ulivi con l’edera che si arrampica sui tronchi, alla rosa sensuale e alle lucertole, in una “cadenza/ di luce piena e di erbe infestanti”, di nuvole bizzarre e grappoli di stelle.

In una silloge dove la materia, presente e viva, è pervasa da una profonda spiritualità e dalla consapevolezza della preziosità del tempo della vita – il sonno accelera il tempo, perciò è necessario vegliare -, si ascolta il vento – quasi simbolo di un soffio superiore -, arrivano i sogni a offrire una via di fuga, mentre nella solitudine consolatrice  “chiamano gli uccelli” e “cantano i grilli”. Non è la perfezione, ma è una condizione possibile di vita: “verso la perfezione manchi solo tu”. Il balzo non basta ad annullare la distanza e a recuperare l’assenza: resta l’attesa fiduciosa di un Altrove che permetta di “riammagliarmi con te”.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.