C’è una lingua ricercata in questo strano romanzo che mette insieme la storia della religione cattolica con la fantasia più creativa dell’autore. E tuttavia la narrazione scorre veloce sotto gli occhi, come se ci addentrassimo in un luogo che conosciamo bene (la storia della Bibbia) dove però sono cambiati totalmente gli arredi. E la vicinanza con cui Driessen mette in scena Dio, in casa con la governante Bartje, ci rende immediatamente prossimo questo personaggio con le sue indecisioni e le sue risolutezze, i suoi capricci e la sua infinità capacità di modellare sogni, mondi, relazioni umane. Le tante citazioni e gli innumerevoli riferimenti dalle Sacre scritture, inseriti magistralmente nel romanzo, non appesantiscono minimamente la storia. Dio è un io che parla attraverso la storia e le storie dei Vangeli. Una specie di io che si inventa un padre: “Scacciò le mosche che ronzavano intorno alla faccia di Mosè e lo voltò sulla schiena. Provò a immaginarselo come il suo defunto padre. Riflettè su quanto sarebbe stata arida la sua esistenza se non avesse creato l’uomo”. E poi si inventa un figlio: “così sarebbe andato incontro al proprio destino con l’incedere a tentoni di un fanciullo umano, manchevole, ignaro, e legato soltanto da quel filo sottile al padre onnipotente […]”. Ma dentro a questo romanzo sorprendente ci sono anche i Vangeli apocrifi e le domande eterodosse su chi fosse davvero Gesù e quale fine reale abbia fatto, al di là della narrazione biblica. È qui che lo scrittore olandese ha un guizzo e mentre nelle prime ottanta pagine il libro ha l’andamento di una narrazione piana che racconta vicende “storiche” ben conosciute, con inserti di vita familiare, quella tra Dio e Bartje, nella seconda parte dà l’avvio ad un vero e proprio romanzo d’avventura. Dopo l’annunciazione e la nascita di Gesù Giuseppe, il padre/non padre, o meglio il padre dell’immanente. E “una volta riconosciuto Gesù come sui figlio, Giuseppe divenne incontenibile. Maria lo esortava a lasciare un po’ in pace il bambino, ma lui insisteva che Gesù era l’eletto e, quando era appena fanciullo, gli fece imparare a memoria il suo albero genealogico. […] A volte Giuseppe pensava di amare Gesù più dei suoi stessi figli. Ne aveva tre: due femmine e un maschio”. Ecco che allora, Giuseppe rapisce Gesù. Sapendo a quale fine è destinato, Giuseppe rapisce suo figlio e scappa con lui come un clandestino, come un imboscato, per terra e per mare. Tanto che il lettore apprezzando il ritmo narrativo, comincia anche a porsi dei dubbi. E cioè la domanda che si pone a questo punto del racconto è: chi ama di più Gesù? Dio o Giuseppe? Che è un po’ il grande quesito dostoevskijano. Decisamente Padre di Dio è un romanzo da leggere con gioia.