10 Ottobre 2024
Sun

Aldemaro Toni, Al Sara Hotel, Edizioni Dell’Erba 2018, pag. 224, € 15,00.

 

Aldemaro Toni, direttore della rivista “Erba d’Arno” fondata nel 1980, raccoglie in un unico volume, “Al Sara Hotel”, racconti pubblicati solo in rivista ed altri già editi, tra cui “Taccuino del quinto amore” che è stato tradotto e pubblicato anche in tedesco nel 2011.

I primi racconti sono degli anni ’70 del secolo scorso, e ricostruiscono la vita, la cultura, il pensiero degli anni del secondo dopoguerra, con riferimento ad una realtà di paese dove le abitudini sono ancora sicurezza. La donna si apre lentamente al mondo del lavoro, ma con iniziale timidezza, quasi stupita da una realtà diversa da quella del suo limitato contesto costituito dalla famiglia, dalle amiche, dalle frequentazioni di parrocchia ed i primi pretendenti del posto. E da quell’ambiente riceve indicazioni nuove sulla sua femminilità.

L’amore rimane comunque un elemento trasversale, ed acquista preponderanza addirittura al di sopra della ricerca di libertà ed autoaffermazione della donna (Delia).

La parrocchia detiene il controllo sulle scelte – siamo negli anni ’50 -, i preti gestiscono la censura dei film, mettono all’indice quelli che ritengono inopportuni e dannosi  per purezza morale dei parrocchiani, soprattutto delle donne. Il senso del peccato è forte e sentito.

Ci si muove in un ambiente assai ristretto e la bicicletta è il mezzo di locomozione più diffuso e indispensabile. Ci si trova sulla piazza del mercato di paese. La gente parla, conversa, si confronta, discute. Socializza. Si ascolta il juke box.

“Al Sara Hotel” riproduce i ritmi di vita dei vacanzieri estivi, la spiaggia, la pineta, le passeggiate, le conversazioni, le relazioni umane quando la gente non è ancora dipendente del cellulare e quando si scrivono le lettere invece dei messaggini o whatsapp. Conversare, ascoltare, significa condividere le storie personali, così la Storia passa attraverso i racconti, in questo caso la cacciata degli italiani dalla Libia di Gheddafi, con il ricordo di ambienti lontani dai nomi italiani, e la nostalgia. Ma ritornano anche riferimenti alla Storia come coinvolgimento politico sempre maggiore delle masse e come riferimento a grandi eventi.

L’avvicinarsi della donna al mondo del lavoro vede, d’altra parte, ancora un irrigidimento del pensiero maschile, con le sue riserve sulle nuove conoscenze, con la gelosia nei confronti di chi crede sia sua proprietà esclusiva. Tema che del resto oggi vede un incrudimento delle stesse posizioni, con episodi di violenza sempre più frequenti, quanto più la donna mostra la sua forza e la sua volontà decisionale.

Belli sono gli scorci di paese, i luoghi del mercato, le voci delle persone – tante- che pur rimanendo in sottofondo, sono delineate e caratterizzate. Belle le pennellate descrittive del paesaggio toscano, con le suoi campi, le sue colline, le montagne ed il mare che si intuisce da lontano nelle giornate chiare: “Dalla piazza si vedevano le punte delle torri e in alto un cielo azzurrissimo. La via della valle, in ombra, aveva nello sfondo il verde dolce delle colline”.

Aldemaro Toni usa inizialmente un linguaggio paratattico, fatto di frasi brevi, con cui fissa immagini ed azioni, come nella tradizione letteraria toscana. Ne scaturiscono quadretti dove non c’è una parola di troppo ad indulgere alla retorica, non si fanno commenti ma si lasciano parlare i fatti e le persone: “Un vecchio fumava la pipa sui gradini dell’ex pretura; dall’ombra della fiaschetteria giungevano le voci”.

Non cerca la suspance, racconta finché c’è materiale da raccontare, poi si ferma lasciandoci le immagini negli occhi, ma anche i suoni ed i profumi . Delinea comunque personaggi a tutto tondo, anche pensatori un po’ filosofi, come il Falorni.

Ci regala il suono di parole desuete, note a chi, per età, ha conosciuto un po’ di quella realtà. Troviamo, tra le altre:  la peretta della luce, le mezzine, chi sta chiotta chiotta, chi ha le mani gronchie, chi ha le albagie per la testa. E non si fa sesso ma si fa all’amore.

Piano piano il linguaggio cambia, il narrare si fa più introspettivo, passa dal fuori al dentro di sé. La paratassi cede qua e là alla ipotassi. Cambia anche l’ambiente, ora arricchito di bar e vetrine e di ristornati: Ormai si viaggia in macchina, veloci.

Allo stesso tempo, e proprio per il passare del tempo – se i primi racconti sono degli anni ’70, l’ultimo, “La baracchina”, è del 2002, – si sente il bisogno di una nuova libertà, riconosciuta nella pace della campagna, nella solitudine; questo non per sfuggire, ma per ritrovarsi pienamente nel rapporto con se stesso e con gli altri.

La Toscana risplende ancora una volta nelle sue tinte più belle: “Non è ancora estate, ma il grano ha un po’ di doratura, i campi di lontano non sembrano più prati. Il trillo o agitarsi delle foglie, dei tralci, è più svogliato. Un filo di fresco è nell’aria ma in certe parti si sente, riverberano superfici, il calore. Le macchie sono più folte, i pruni mischiati alle erbe alte”. La capacità pittorica si unisce alla poesia.

 

 

 

 

 

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.