20 Aprile 2024
Sun

Massimo Cacciari, Dell’inizio, Adelphi, Milano 2008

Qual è l’inizio di questa recensione?
Forse le due parole «Qual è», oppure meglio, è l’inizio del libro che si deve recensire: «A.- Ecco… la lettera rubata».
Il volume di Massimo Cacciari Dell’inizio (Adelphi, Milano, 2008) è così composto: «Ogni parte del libro è espressa (e pensata) secondo tre “scritture”. La prima è quella del dialogo, ma del dialogo discipuli ad discipulum. Gli “antagonisti” (di cui A è solo latu sensu l’autore) rimangono sempre i medesimi: essi si incontrano, allo scaturire di ogni nuovo problema (o, meglio, ai punti di svolta della ricerca, che uno soltanto è il problema qui sistematicamente indagato), al fine di misurarne, per così dire, le dimensioni … Nella seconda “scrittura” si tenta la trattazione sistematica del tema che il dialogo ha problematicamente-ironicamente delineato. Nella terza, infine, ho raccolto parerga e paralipomena strettamente connessi a quanto già affrontato nelle precedenti sezioni della medesima parte».

Una e trina questa «scrittura» come uno e trino è l’inizio che, insieme, è arché, fondamento e assoluto. Ma torniamo alla «Lettera rubata». Qui è in gioco l’inizio in quanto «Principio di ogni filosofia». Quella cosa che Aristotele chiamava «La meraviglia». E se si aggiunge il dettato di un proverbio ebraico («Quando l’uomo pensa, Dio sorride») si ha che questa «meraviglia» unita alla hilaritas (che farà capolino nelle ultime pagine del libro di Cacciari) produce nel filosofo Cacciari (che «pensa») un sorriso di Dio che pone la «Meraviglia» davanti ai suoi occhi e da inizio a tutto quanto e a tutto quanto il filosofare.

Ma perché interrogarsi sull’ inizio? Non sarebbe meglio partire dall’inizio è interrogarsi sul soggetto che pensa? E se poi Dio sorride? Non sarebbe meglio tornare all’inizio e ripartire da quella «Lettera rubata»? E poi quella «Lettera» sarà la A, la B o la C? Chi l’ha «Rubata»? Come era lo stato della lettera all’inizio, prima di venire rubata? Occorre trovare un inizio. Occorre necessariamente trovare un inizio ed ecco che tutto assume una forma e si denota con contorni precisi. Senza un inizio non ci può essere una fine. E senza un inizio non ci può essere processo, divenire, accadimenti. Ma l’inizio non si confonde con la fine e non è necessariamente processo.

Che cosa è dunque questo inizio? «Qual è» e la «Lettera rubata»: ovvero «Qual è la lettera rubata»? Che sia una lettera scritta da Cacciari all’inizio di questo libro, ovvero prima di cominciare a scrivere questo libro? Che sia una lettera dell’editore milanese di questo libro che annuncia la sua pubblicazione nella collana «Biblioteca Filosofica»? Che sia una lettera aperta a un giornale della sera? E che cosa ci sarà scritto in questa lettera? Che sia una lettera a noi lettori?
Che tutto il libro sia in realtà un’unica grande lettera nella quale si afferma che l’inizio è hilaritas di fronte alla meraviglia della lotta fra gli opposti: della lotta incessante fra le opposte domande. Della lotta indefettibile fra le opposte tesi sulle quali si confronta la filosofia. Il principio dell’interrogare. Quella parola che precede il punto interrogativo finale. Insomma siamo solo all’inizio ma tante questioni rimangono ancora aperte.

L’interrogare non ha mai fine ma forse ha un inizio. Che cosa muove la domanda? Semplicemente si ha davanti a sé un problema, una questione, un busillis. Ma se la questione è l’inizio stesso? Allora la domanda è mossa dall’interrogativo sull’inizio della domanda. Ma quanti inizi ci sono? Andiamo con ordine: riportiamoci all’inizio del libro.

Del resto lo stesso Cacciari ironizza su queste tante valenze del termine inizio quando scrive: «A.- Dunque, lei pretende di riprendere il nostro discorso proprio da dove lo si era lasciato: dall’Inizio!». Ma vediamo meglio che cos’è questo inizio. «Si tratta del pensiero dell’Inizio (o del pensare tout court) nella sua radicale distinzione dall’idea di origo». L’inizio del pensare è quando Dio sorride ed ecco che accade la meraviglia del pensiero pensato che scaturisce per la prima volta dalla mente del soggetto ed ecco che accade ancora che questo pensiero pensato sia un pensiero dell’inizio. Non solo esso è il primo pensiero pensato ma, altresì, esso stesso pensa l’inizio.

Ma cosa pensa questo duplice inizio? Cacciari analizza in successione pensieri di Kant, Schmitt, Kafka, Hegel, Schelling, Cusano, Plotino, Wittgenstein, i Vangeli, buona parte della patristica cristiana, alcuni quadri e specialmente uno del pittore Friedrich. Rispetto a un pensiero di Damascio, Cacciari scrive: «Dell’Inizio è impossibile propriamente dire che è arché. Se iniziamo da ciò che inizia, allora, nell’Inizio è ogni partecipazione e ogni génesis. Se l’Uno è inizio-arché avrà bisogno di ciò che dall’inizio proviene, così come la “causa” è bisognosa” dell’effetto…. Se è principio-di non potrà concepirsi senza l’ente che lo esprime, che lo manifesta. E nulla cambia se si manifesta proprio come assenza . Così, infatti, come in sé incatturabile, si manifesta nella figura del cerchio quel centro oggetto della pura máthesis. Si potrà dire, allora, che l’Uno partecipa di ciò che è, unicamente sussistendo identico e immobile in tutti i partecipanti? Ma in che cosa si distinguerebbe dalla loro stessa sussistenza? Da ciò che costituisce l’unità di ogni singola cosa e fa, ancora, per quanto si proceda all’infinito a dividerla, di ogni suo frammento un frammento? Ma se, per salvare l’Uno dal suo rovinare nella processione degli enti, lo ipostatizziamo come assolutamente separato, l’Uno verrà posto come parte, e precisamente come ciò che non è posto dal pensiero. E nulla impedirà, poiché esso è parte, di nominarlo attraversi definizioni: dunque anche di dirlo arché, aitìa, principio-di»: Insomma per tirare un po’ le fila di tutto il discorso: e se ci fossero più inizi? Insomma ancora: una cosa è pensare l’inizio altra cosa è pensare ciò che inizia.

L’inizio della partita è il fischio dell’arbitro ma quello che inizia è la partita… L’inizio non pare essere il fondamento e neppure il principio e neppure l’Uno. Fino ad ora abbiamo solo a che fare con connotazioni negative dell’inizio! E se fosse importante sapere che cosa inizia (il pensiero) per approssimarsi a un’esatta definizione dell’inizio. Ma l’iniziante è assolutamente altro dall’inizio. Infatti dice Cacciari che l’inizio rispetto all’iniziante è distinto dalla «libertà» di non procedere «Alla creazione di un mondo». L’inizio allora pare come una materia floscia, mobile, duttile, elastica. Qualcosa come la Plastilina. Dice ancora Cacciari: «Analizzando l’intrinseca “cronologicità” dell’ Aión e l’immanente carattere aionico delle forme del tempo-chrónos (non ne sarebbe concepibile alcun logos altrimenti) noi presupponiamo il parteciparsi delle due dimensioni come orizzonte necessario e intrascendibile. Presupponiamo questo parteciparsi come l’Inizio, l’unoduità dell’istante appare come il solo possibile pensiero dell’Inizio: l’istante, infatti, è simultaneamente principio e fine, e su tale sua natura si regge lo stesso carattere ingenerato e indistinguibile del tempo». Ci accorgiamo adesso di una cosa: «Certamente, dal punto di vista dell’analisi intellettuale, l’Inizio non può essere pensato senza contraddizione».

Dunque siamo di fronte a una «contraddizione». «Ma del tutto impotente è Chronos nei confronti dell’Inizio. Lungi dal poterlo negare, lo afferma nella sua stessa fine. Neppure sarebbe pensabile fine del tempo, se non si pensasse l’Inizio che il tempo non fagocita – tutto altrimenti sarebbe tempo, assolutamente inestinguibile». E, del resto, la moderna cosmogonia ha posto 13,7 miliardi di anni fa un inizio: il Big bang. A questo punto ci stiamo avvicinando all’inizio della nostra storia: «L’Inizio … non è affatto negazione della nascita e del procedere del determinato (che è sempre complexio oppositorum), ma In-differenza». Cioè un inizio che nella sua indifferenza toglie ogni differenza tra tesi e antitesi e ci riversa nella cosa creata, nella cosa che ha inizio la quale è intrinsecamente contraddittoria. «L’ek-sistere è il non dell’Inizio, l’Inizio è il nullum dell’ek-sistere. Non si può pensare l’ente altrimenti, e, dunque, non si può pensarlo come “altro” dal Ni-ente. Se l’Inizio fosse semplice origine, ek-sisterebbe e basta in ciò cui dà origine: del Ni-ente sarebbe nulla (neppure domanda). Se esso fosse astrattamente assolutizzato dall’origine, finirebbe con l’apparire parte, e parte “oziosa” (non certo nel senso della nostra scholè!) – e comunque non ne potremmo avere né nome, né scienza, né dòxa, come dell’Unum-Unum assunto ancora ad absurdum, non dispiegato aporeticamente.

L’Inizio è l’effettivo Ni-ente dell’ente effettivo: perciò è pensabile effettivo creare nell’effettivo contrarsi divino all’Inizio, che è ambitus di ogni potenza». Abbiamo a che fare con un inizio che non è sorgente, origine, cominciamento: a cominciare infatti è l’iniziante un attimo dopo che si è distaccato dall’inizio. Non resta che una strada per leggere la «Lettera rubata» (ma poi rubata a chi? Perché? Chi l’ha rubata?). Si tratta di una «lettera» che non sta nel posto dove dovrebbe stare. Forse che anche l’ilare inizio non sta nel posto in cui dovrebbe stare? Una volta individuato l’inizio ecco subito che esso non è più inizio. L’inizio dilegua non appena viene pensato, mediato, concettualizzato: E’ la meraviglia di trovare una «Lettera rubata» intatta nel posto dove la sia era lasciata. Conclude Cacciari: «L’Inizio non è l’astrattamente altro dall’origine e dal processo, l’assoluto Unum, su cui ci siamo a lungo soffermati». Sentiamo i due protagonisti del dialogo (A e B) tenendo conto che C potrebbe essere la «lettera» rubata (da A o da B questo non lo sappiamo). E C dunque rappresenta la verità dell’inizio finalmente «Ritrovata». «Qual è» l’inizio di tutto quanto? «B.- “Liberare” Inizio da origine, dalla necessità del dare-inizio, e origine dalla necessità del procedere, e il processo dalla necessità della restitutio – è questo, per lei, hilaritas? A.- Si, se questo pensiero significasse di per sé “vivere”. Hilaritas è vita, ma nessuna vita è prodotta dal pensare. Non si pensa l’hilaritas». Ma cosa si pensa, dunque? Si pensa il pensato di un pensiero. E se l’inizio, come pure si dice nel libro, è una forma «logica» si pensa anche la scatola che racchiude il pensiero: l’insieme delle regole e delle norme che rendono coerente e congruente un pensiero.

Alla fine rimane la meraviglia, che non è un pensiero. E rimane Dio che sorride di tutti gli sforzi di Massimo Cacciari spesi al fine di trovare un inizio. Ovvero di dare inizio alla propria riflessione filosofica. Che rimane, come la «lettera rubata» tale (e «Qual’è» il mittente della missiva? Chi è il destinatario?) ancorata a uno sforzo di pensiero davvero immane tutto teso a circoscrivere una contraddizione. Non si ha inizio di ciò che ha inizio. Si ha inizio di ciò che non inizia. Cacciari si destreggia come può ma alla fine deve ammettere che solo con il sorriso di Dio e con la grande hilaritas che ogni giorno ci rende la vita degna d’essere vissuta: si ha veramente inizio!

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.